Erdogan costruisce rapidamente la sua dittatura
Con l'arresto dei vertici dell'Hdp - il partito filo-curdo, democraticamente eletto nel parlamento di Ankara - Erdogan ha lanciato l'ultimo assalto a ciò che restava delle istituzioni turche. E alza il livello dello scontro nel Sud del Paese. Sfruttando l'inimicizia fra Usa e Russia, il presidente/sultano edifica la sua dittatura.
Dalla guerra al Pkk alla guerra ai curdi tout court. Con l'arresto dei vertici dell'Hdp - il partito filo-curdo, democraticamente eletto nel parlamento di Ankara - Erdogan ha lanciato l'ultimo assalto a ciò che restava delle istituzioni turche. Oltre a far salire ulteriormente il livello dello scontro nel Sud del Paese, come l'autobomba esplosa a poche ore di distanza a Dyarbakir e le nuove minacce lanciate dal gruppo indipendentista hanno subito testimoniato.
Nella Turchia del dopo 15 luglio non ci sono ormai più limiti al potere del presidente/sultano. A fare i conti con la repressione è toccato per primi ai seguaci di Fetullah Gulen, l'imam che vive negli Stati Uniti, già alleato di Erdogan e ora accusato di essere l'ispiratore del tentato golpe: il suo movimento è stato azzerato attraverso migliaia di arresti e sequestri di attività imprenditoriali per miliardi di dollari. Poi è toccato alla stampa non allineata: pochi giorni fa sono finiti agli arresti anche il direttore e un gruppo di giornalisti di Chumhuriyet, il quotidiano della Turchia laica (tra l'altro appartenente allo stesso gruppo editoriale di CNNTurk, l'emittente televisiva che in luglio ha dato a Erdogan una grossa mano a rimanere in sella nella notte più lunga per l'Akp). E ora ecco il carcere anche per Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, i leader dell'Hdp, terza forza politica nel parlamento di Ankara. Il partito che nel giugno 2015 - nelle elezioni in cui Erdogan puntava alla maggioranza assoluta per riformare la costituzione con un presidenzialismo a suo uso e consumo - raccolse a sorpresa oltre il 13 per cento dei consensi, superando l'altissima soglia di sbarramento costruita ad hoc proprio per lasciare questa forza politica fuori dal parlamento.
Con l'arresto dei due leader dell'Hdp - e di altre dieci parlamentari insieme a loro - Erdogan mostra di non preoccuparsi più nemmeno di salvare le forme. Del resto aveva fatto modificare la legge sull'immunità parlamentare specificando che non varrà più per chi avrà legami con il Pkk; non ci voleva molto a capire contro chi aveva intenzione di utilizzare questa novità.
Ma il punto vero è che la deriva autoritaria in corso in Turchia non si ferma ai curdi; con il paravento della «lotta ai diversi volti del terrorismo», Erdogan sta spazzando via ogni espressione di democrazia nel Paese, attraverso un nuovo nazionalismo più vicino ai Lupi grigi che all'eredità di Ataturk. Una deriva che non promette niente di buono per tutte le minoranze, cristiani compresi. Tanto per farsi un'idea dell'aria che tira ad Ankara: qualche settimana fa uno dei giornali più vicini all'Akp ha pubblicato lo “scoop” delle fotografie dell'(oggi) odiato Fetullah Gulen in clergyman; le ha spacciate come la prova dell'accusa secondo cui l'uomo che trama contro Erdogan sarebbe stato nominato cardinale “in pectore” da Giovanni Paolo II (che ricevette l'esponente musulmano turco in udienza in Vaticano nel 1999). Si potrebbe sorridere su questo uso alquanto improbabile di photoshop, ma il problema è che stiamo parlando della stessa Turchia in cui nelle ultime settimane è stato scarcerato l'assassino di don Andrea Santoro. E a piede libero restano tuttora gli autori della strage di Malatya, costata nel 2007 la morte a tre cristiani evangelici sgozzati nella sede della loro piccola casa editrice.
Che in un Paese così si chiudano i giornali e si arrestino gli oppositori politici è una pessima notizia. Il prossimo passo di Erdogan sarà l'adozione del sistema presidenziale che gli elettori nel giugno 2015 di fatto avevano bocciato. Per portarsi avanti, nel decreto che proroga lo stato di emergenza nel Paese dopo il tentato golpe del 15 luglio, la settimana scorsa il presidente ha fatto inserire una clausola che gli permetterà d'ora in poi di nominare personalmente i rettori delle università. Non fosse mai che - nonostante le centinaia di rettori e docenti allontanati con l'accusa di legami con i gulenisti - qualche ateneo possa eleggere un rettore non in linea o non sufficientemente lesto nel seguire le giravolte del leader dell'Akp.
Già, perché l'aspetto più sconcertante di tutta questa vicenda è che se oggi in Turchia Erdogan può fare il bello è il cattivo tempo è anche perché può sfruttare in maniera spregiudicata per i propri interessi il braccio di ferro tra Stati Uniti e Russia in Medio Oriente. Ai ferri corti con Washington oggi il sultano flirta con Mosca, che non si fa troppi problemi sulla deriva autoritaria sul Bosforo. E sa di poter usare Erdogan come una propria pedina. Ad esempio chiudendo sorprendentemente più di un occhio sulla presenza dei turchi a fianco del Free Syrian Army nella regione a nord di Aleppo. Nonostante ufficialmente dentro la città siano schierati su fronti opposti, l'altro giorno il capo di Stato maggiore dell'esercito turco era a Mosca a parlare di «cooperazione» con il suo omologo russo. In gioco c'è anche il futuro di Raqqa, la roccaforte siriana dell'Isis: dopo aver fatto affari trafficando petrolio con i jihadisti, adesso Erdogan smania per «liberarla»; soprattutto perché non vuole che a farlo possano essere i peshmerga curdi, che Washington considera ormai gli unici alleati fidati.
La Turchia è uno dei Paesi che più attivamente in questi anni ha contribuito a far precipitare la Siria nel baratro. Ma in questo pazzo 2016 a Erdogan è bastato limare leggermente le proprie priorità e alleanze per trovarsi a incassare tutti i dividendi che tanti anni di discorsi sul neo-ottomanesimo non gli avevano permesso di ottenere. Miracoli della realpolitik sulla pelle dei siriani. Che l'uomo solo al comando, un passo dopo l'altro, si prepara a portare avanti anche sulla pelle dei turchi.