Ennio, il padre sconosciuto della lingua latina
Ennio riceve l’epiteto di pater linguae latinae, padre della lingua latina. Fu lui a trasferire a Roma l’esametro tipico della poesia greca, fu sempre lui a favorire l’ingresso a Roma della cultura greca, fu lui a creare il primo poema epico (diviso in diciotto libri) sulla storia di Roma.
Se Dante viene considerato padre della lingua italiana, Omero il padre della lingua greca, Ennio riceve l’epiteto di pater linguae latinae. Fu lui a trasferire a Roma l’esametro tipico della poesia greca, fu sempre lui a favorire l’ingresso a Roma della cultura greca, fu lui a creare il primo poema epico in esametri diviso in libri (diciotto) sulla storia di Roma dalle origini: gli Annales superati in fama solo dall’Eneide.
Nato a Rudiae (oggi Rugge in Puglia) nel 239 a. C., Ennio vantò sempre di possedere tria corda, tre cuori, il cuore greco, quello osco (autoctono) e quello romano. Durante la seconda guerra punica, conobbe in Sardegna Catone che lo portò con sé a Roma. Nella capitale fu gramaticus e autore di teatro come Livio Andronico. Amico di personaggi potenti romani, come Scipione l’Africano, imitò i poeti ellenistici, accompagnando Marco Fulvio Nobiliore nella campagna militare contro la Lega etolica per cantarne le gesta nel 189 a. C. Scrisse, così, la fabula praetexta Ambracia. Ricevuta la cittadinanza romana nel 184 a. C., morì nel 169 a. C. e gli venne dedicata una statua nel sepolcro degli Scipioni.
Composti da tre esadi per un totale di diciotto libri, gli Annales raccontano la storia di Roma anno per anno secondo la tradizione annalistica dei Pontefici massimi. Ci sono rimasti solo seicento versi delle migliaia. La prima esade tratta la storia di Roma da Enea alle guerre contro Pirro (280 -272 a. C.), la seconda è incentrata sulle guerre puniche, la terza documenta il periodo storico più vicino al poeta (dalla guerra contro Antioco fino agli scontri contro Etoli e Istri). Secondo la tradizione alessandrina Ennio si rivolge direttamente al pubblico nei proemi, collocati all’inizio della prima e della seconda esade. Essi hanno un ruolo fondamentale per l’interpretazione del poema.
Il proemio al I libro, che si apre con una solenne invocazione alle muse («O Muse, che con i piedi calcate il grande Olimpo»), presenta Ennio come un Omero redivivo. L’immagine non è da intendersi in senso metaforico. Il poeta afferma, infatti, che il sommo poeta greco gli è apparso in sogno rivelandogli di essersi reincarnato in lui dopo una serie di trasmigrazioni. Ennio sostiene qui la dottrina filosofica pitagorica che gli permette di dare pieno compimento al progetto di appropriazione del patrimonio culturale greco. In Omero è già presente il sogno, inteso come una sorta di fantasma, un’entità esterna autonoma rispetto alla nostra coscienza che riproduce parzialmente la realtà. Ennio ribalta, però, il rapporto tra anima e corpo già presente in Omero: per il poeta greco il corpo è l’essenza vivente dell’uomo e l’anima ne è una pallida effigie, mentre per Ennio l’anima immortale che trasmigra di corpo in corpo è la vera essenza che rimane.
Se il primo proemio presenta la visione filosofica e cosmologica del poeta, il secondo ha, invece, un carattere programmatico dal punto di vista poetico: «Altri scrissero su questo argomento;/ con i versi che una volta cantavano i Fauni e gli indovini,/ quando ancora nessuno si era accostato alle vette delle Muse…/ né prima di me vi era alcuno che fosse studioso della parola./ Noi osammo dischiudere le fonti della poesia…/ Nessuno ha mai veduto in sogno la sophia, quella che i latini/ chiamano «sapienza», prima di aver cominciato a studiarla». I versi hanno da un lato un carattere apologetico (difesa dalle accuse di quanti ironizzavano sui tratti soprannaturali dei sogni di Ennio), dall’altro si fanno portavoci dell’innovazione del poeta che è il primo ad abbandonare il rozzo verso saturnio (adatto alle divinità agresti) per il più raffinato esametro. L’ispirazione divina di Ennio non nasce dall’improvvisazione, ma da una lunga pratica di studio. Lo scrittore si definisce, infatti, dicti studiosus, calco dal greco philólogos ovvero «cultore della parola».
Gli Annales diventano portavoci di nuovi valori che fanno ingresso nella cultura romana. Ennio non attacca certo la tradizione, come ben si evince nel verso «moribus antiquis res stat Romana virisque» ovvero «forte dei costumi antichi e dei cittadini lo Stato romano sta saldo». Vi è in lui, però, la consapevolezza del valore del singolo. La storia e le grandi battaglie non hanno come protagonisti la grande massa informe, le anonime truppe di legionari, bensì personaggi di eccezione provvisti di grandi doti. Nella successiva storiografia liviana (Ab urbe condita) saranno eroi come Orazio Coclite, Muzio Scevola, Lucrezia a rappresentare l’ideale di riferimento per tutta la comunità. Ennio non contraddice certo i valori della tradizione romana: la virtus ovvero il coraggio, la fides cioè la parola data, la fedeltà, la lealtà, o ancora la pietas che è il sentimento di riverenza e ossequio nei confronti della divinità, dei genitori, del comandante. A questi valori si affiancano altri valori provenienti dalla civiltà greca: la cultura, il buon gusto, l’amicizia. Leggiamo, ad esempio, come è descritto un amico del console del 217 a. C. Servilio Gemino: «Un uomo sensibile, per nulla malvagio,/ colto, fedele, piacevole, garbato, contento del suo, sereno,/ avveduto, capace di dire a tempo debito parole convenienti,/ affabile, di poche parole, che ricorda molte antiche storie ormai/ sepolte dal tempo, che conosce costumi antichi e nuovi».
Ennio sa alternare versi solenni improntati ad arcaismi, allitterazioni ardite ed esagerate («O Tite, tute, tati, tibi tanta, tyranne, tulisti» o ancora «At tuba terribili sonitu taratantara dixit»), grecismi ad altri più discorsivi e sciolti (caratterizzati da enjambements). L’allitterazione in Ennio serve a trasmettere suoni ed immagini con un efficace fonosimbolismo. Se scarsi sono i risultati di Ennio nell’ambito della commedia, importante è il suo contributo nell’ambito della tragedia: per le fabulae cothurnatae il poeta predilige il ciclo troiano e altri miti celebri come quello di Medea, per le fabuale praetextae sceglie, invece, il tema della conquista della città di Ambracia da parte di Marco Fulvio Nobiliore (Ambracia) e del rapimento delle donne sabine da parte dei Romani (Sabinae). Purtroppo, di tutte le opere teatrali ci rimangono solo frammenti che ci permettono, comunque, di coglierne alcuni tratti: attenzione alla psicologia dei personaggi, toni patetici e passioni esasperate, stile particolarmente ricco di espedienti retorici.