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USA

Ennesimo processo a Trump. Ma non sposta gli elettori

A Washington, giovedì, in prima serata, sono incominciate le audizioni pubbliche della Commissione della Camera sui fatti del 6 gennaio 2021. È l’inchiesta voluta da Nancy Pelosi, per indagare sul ruolo dell’ex presidente Donald Trump nell’assalto al Campidoglio. Testimoni, giuria e giudici sono tutti contro l'ex presidente.

Esteri 11_06_2022
La Commissione sui fatti del 6 gennaio, il video di Nick Quested

A Washington, giovedì, in prima serata, sono incominciate le audizioni pubbliche della Commissione della Camera sui fatti del 6 gennaio 2021. Si tratta dell’inchiesta fortemente voluta dalla presidente della Camera Nancy Pelosi, per indagare sul ruolo dell’ex presidente Donald Trump nell’assalto al Campidoglio, nel giorno in cui il Congresso stava certificando la vittoria di Joe Biden alle presidenziali. Il processo pubblico non ha conseguenze penali immediate, non si tratta dunque di un terzo impeachment (come i due del 2020 e 2021 che l’ex presidente ha scampato). Si tratta solo di far luce sugli eventi di allora e mostrarli all’opinione pubblica. Trump è accusato niente meno che di tentativo di colpo di Stato.

L’ex presidente non ha collaborato in alcun modo con la Commissione e non comparirà nelle audizioni. Ha rifiutato di mettere a disposizione i documenti della Casa Bianca. Sul suo social network, Truth, ha subito lanciato un’accusa di faziosità contro la Commissione sul 6 gennaio, visto che il procedimento non include nemmeno un esame incrociato delle prove, né testimonianze a favore dell’ex capo di Stato. I membri della Commissione sono tutti Democratici, tranne due soli Repubblicani di provata fede anti-trumpiana, fra cui Liz Cheney, una delle sue più assidue avversarie. Nancy Pelosi ha posto il veto alle scelte dei membri repubblicani indicati dal leader della minoranza alla Camera, Kevin McCarthy. La Commissione, insomma, è interamente scelta dalla leader della maggioranza democratica, anche nella sua componente minoritaria.

Nelle testimonianze, parrebbero tutti contro Trump, anche i membri più fedeli del governo. William Barr, allora ministro della Giustizia, conferma la sua convinzione che il voto fosse valido: «Dissi al presidente che non c’era stata alcuna frode elettorale, che tutta quella storia del furto era solo st***te». In un altro video si sente dire dalla figlia Ivanka Trump «Ascoltai Barr e gli credetti» e dello stesso parere parrebbe essere anche Jared Kushner, suo marito e consigliere preferito del presidente. Ma si tratta di video, appunto e mostrati solo parzialmente. Più articolata è invece la testimonianza di Liz Cheney, che parla anche di un “piano in sette punti” per ribaltare l’esito delle elezioni del 2020. Il primo punto era la “grande bugia”, cioè affermare che le elezioni fossero state rubate da Biden e convincere tutti i Repubblicani a sostenere questa tesi.

Nella sua reazione su Truth, Trump ribadisce che i membri della Commissione, «hanno rifiutato di ascoltare le numerose testimonianze positive e le dichiarazioni a mio favore, hanno rifiutato di parlare della frode elettorale e delle irregolarità che sono avvenute su larga scala e hanno deciso di impiegare un documentarista della Fake News ABC (rete televisiva, ndr) per selezionare solo i video più negativi». L’ex presidente si riferisce a Nick Quested, il cui documentario sul 6 gennaio è stato presentato come prova. Mostra i preparativi dei gruppi dei movimenti Proud Boys e Oath Keepers, i cui membri parlano di “azioni sul Campidoglio”. Poi li segue nelle manifestazioni del giorno successivo, dove si erano presentati disarmati, ma alcuni con giubbotto antiproiettile.

A proposito dei disordini, Caroline Edwards, agente della polizia del Campidoglio di guardia il 6 gennaio 2021, ha testimoniato sulla violenza subita dalle forze dell’ordine. Lei stessa è stata ferita due volte e ha perso conoscenza per qualche minuto. Dice anche di aver visto l’agente Brian Sicknick, «diventare bianco come un foglio di carta». Sicknick è morto il giorno successivo. Inizialmente si pensava per eventuali ferite riportate, anche se l’unica che aveva subito era una leggera intossicazione per uno spray urticante. Nell’aprile 2021, tuttavia, il capo medico legale della capitale, il dottor Francisco Diaz, ha dichiarato al Washington Post di aver riscontrato una morte per cause naturali, provocata da due infarti. Sicuramente lo stress del 6 gennaio avrà inciso negativamente, ma l’agente Sicknick non è stato “ucciso dai manifestanti”. L’unica persona uccisa nella giornata, con un colpo di pistola, è Ashli Babbitt, una manifestante, per mano della polizia.

Insomma, abbiamo un “processo” pubblico, in cui testimoni, giudici e giuria sono tutti scelti dal partito opposto all’accusato. Il 6 gennaio fu vero golpe? Oltre a dimostrare che Trump credesse di essere vittima di una frode elettorale, cosa che per altro dice anche in pubblico da quasi due anni, i membri della commissione devono a questo punto dimostrare che vi fosse un suo piano per la conquista del potere. Fare irruzione nel Campidoglio per poi farsi selfie in varie pose ed essere scacciati dalla polizia poche ore dopo, non parrebbe un piano perfetto per un colpo di Stato.

La mobilitazione dell’opinione pubblica avrebbe successo se coinvolgesse anche i Repubblicani (i Democratici sono già convinti di non votare Trump, né i candidati che appoggia), invece gli elettori repubblicani o gli indipendenti inclini al voto per il Partito Repubblicano, sono ancora con Trump. In un sondaggio YouGov del 25 maggio, risulta che il 50% voterebbe un candidato con l’endorsement dell’ex presidente, contro il 28% che voterebbe un candidato con l’endorsement di un altro leader repubblicano. Si tratta di un calo rispetto al 56% pro candidati di Trump del gennaio scorso, ma è comunque la metà dell’elettorato di destra che, a novembre, nelle elezioni di Medio Termine, voterà per candidati trumpiani, contro meno di un terzo che voterebbe i loro rivali.

Più ancora che i sondaggi, contano i voti già espressi nelle elezioni primarie. In quelle per la Camera hanno sinora vinto 75 candidati con l’endorsement di Trump, su 76. Per il Senato, tutti i candidati finora decisi dalle primarie, 7 su 7, sono appoggiati dall’ex presidente. Fra i candidati governatori, sono 5 su 8.