Enea e l'approdo nel Lazio, l'inizio di un nuovo poema
Risalito dall’Ade, Enea salpa con i compagni facendo rotta in direzione del Lazio. Inizia la seconda parte dell'Eneide che non ha più un carattere odissiaco (il vagare della nave dei troiani, come per Ulisse nell'Odissea), ma di natura iliadica, incentrata sulle vicende militari che hanno portato gli esuli a scontrarsi con le popolazioni autoctone.
Risalito dall’Ade, Enea salpa con i compagni facendo rotta in direzione del Lazio. La nutrice di Enea, Caieta (Gaeta), muore in quei luoghi e il suo nome conferisce rinomanza eterna al posto. Ivi sono celebrate le esequie funebri. Per la terza volta un esule troiano, morto in Esperia, lascia il nome alle località: già prima Palinuro e Miseno. Nei primi versi del suo monologo l’Ulisse dantesco ricorda quest’evento che apre il settimo libro dell’Eneide:
[…] Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
Dopo le esequie, i Troiani ripartono e finalmente attraccano presso un bosco alle foci del fiume Tevere. Virgilio attinge alla versione dello storiografo greco Ellanico di Mitilene che nel IV secolo a. C. indicava in quel luogo l’approdo dei Troiani (mentre un’altra tradizione indicava l’approdo venti chilometri più a sud), ponendo così in stretta connessione la fondazione di Roma con la storia troiana.
Se la prima parte dell’Eneide ha un carattere odissiaco, legata com’è alle vicende del continuo vagare per nave dei Troiani, la seconda esade è di natura iliadica, volutamente incentrata sulle vicende militari che hanno portato gli esuli a scontrarsi con le popolazioni autoctone dell’antica Italia. Per questo inizia un nuovo poema e il poeta sente la necessità di invocare le muse, e nella fattispecie Erato, musa della poesia erotica:
Orsù, Erato, narrerò quali re, quali tempi, quale stato
di cose ci fu nell'antico Lazio, quando lo straniero
esercito spinse la flotta alle spiagge ausonie,
e ricorderò gli inizi del primo scontro.
Tu, dea, tu istruisci il poeta. Dirò le orribili guerre,
dirò le schiere ed i re spinti dagli animi alla morte,
la truppa tirrena tutta l'Esperia raccolta
sotto le armi. Un più vasto ordine di eventi mi si prospetta,
mi accingo ad un impegno più vasto. […]
Nel Lazio regna in quel tempo re Latino, figlio di Fauno e della ninfa Marìca. La capitale del regno è Laurentum, mentre il re ha un’unica figlia di nome Lavinia per cui spasima il re dei Rutuli Turno. I responsi profetizzano, però, che Lavinia si sposerà con uno straniero:
Non provarti ad associare tua figlia a nozze latine,
progenie mia: non consegnarla al talamo che l’aspetta!
Verranno generi stranieri; mischiando sangue col sangue,
porteranno il nostro nome alle stelle; nipoti della stirpe
vedranno piegarsi ai loro piedi e sottomettersi il mondo.
I Troiani imbandiscono il banchetto disponendo le focacce di farro, ricolme di frutti selvatici. La fame li induce a mangiare anche i piatti, così come nota Iulo per scherzo. Enea comprende che si è compiuta la profezia indicata dal padre secondo la quale sarebbero giunti al luogo dove collocare la nuova dimora, una volta che avessero mangiato i piatti per fame. La profezia, qui attribuita ad Anchise, è stata, in realtà, proferita nel libro III dall’Arpia Celeno.
Giunta l’alba, si mandano ambasciatori a re Latino, che portino doni e chiedano la pace. I Troiani si recano alla reggia, vedendo fuori dalle mura ragazzi che si esercitano nel cavalcare, nel condurre i carri o misurarsi nella corsa. Re Latino accoglie gli ospiti troiani in un tempio e riconosce in loro la discendenza di Dardano, figlio della ninfa Elettra e di Giove, partito dall’Italia e insediatosi in Asia Minore. All’origine della stirpe troiana vi è addirittura il re dei tutti gli dei Giove, come ricorda Foscolo richiamando questi versi relativi alla nascita della città di Troia nella conclusione del carme Dei Sapolcri:
Ed oggi nella Tròade inseminata
Eterno splende a’ peregrini un loco
Eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
Onde fur Troja e Assàraco e i cinquanta
Talami e il regno della Giulia gente.
Il troiano Ilioneo porta i doni in nome del capo Enea e risponde a re Latino ricordando che molti popoli hanno chiesto loro di unirsi, ma i Troiani si sono sempre rifiutati ascoltando i comandi degli dei che indicavano l’Italia come nuova patria, proprio il luogo da cui proveniva il loro fondatore. Riconoscendo il compimento delle profezie, Latino invita Enea a recarsi di persona alla reggia perché sposi la figlia Lavinia.
Giunone, però, non può tollerare di vedere quel popolo contento e manifesta lo sdegno, sentendosi sconfitta da Enea, proprio lei che è l’augusta sposa di Giove, che nulla ha lasciato di intentato e che ha fatto ricorso ad ogni genere di escamotage. Se non può impedire ai Troiani di conquistare il Lazio o a Enea di sposare Lavinia, Giunone può però tramare una vendetta sterminando entrambi i popoli: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo» ovvero «Se non posso piegare i Celesti, mobiliterò l’Acheronte». Ed è l’inizio della guerra.