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EDITORIALE

Emmaus, incontro con una Presenza

Come è possibile per noi fare l’esperienza dei discepoli che hanno incontrato il Signore risorto? Fino a qualche decennio fa sembrava bastare la famigia, la parrocchia, la scuola. Ma dal '68 tutto è cambiato.

Editoriali 04_05_2014
I discepoli di Emmaus

Come è possibile per noi fare l’esperienza dei discepoli che hanno incontrato il Signore risorto? La liturgia insiste ogni giorno a dirci che Cristo è vivo e presente, ma noi sembriamo navigare nel vuoto, e tentiamo invano di afferrarlo come Maria Maddalena mentre continuamente ci sfugge.

Fino a qualche tempo fa sembrava bastare il buon cammino della tradizione: Cristo consegnato dalla pratica religiosa delle nostre parrocchie, dalle buone abitudini delle famiglie che insegnavano a pregare ai bambini e seguivano il ritmo delle feste liturgiche, dalla scuola che riecheggiava le figure dei santi e cantava le melodie del Natale e l’alleluia della Pasqua. Ad ogni bambino che nasceva veniva consegnato il patrimonio della fede, come una riserva di cibo per il futuro, e lungo i sentieri della crescita ciascuno poteva incontrare la giusta dose di rifornimento.

Almeno dal ’68, e in seguito in maniera sempre più intensa e palese, s’è interrotta ogni conduttura capace di comunicare da una generazione all’altra l’energia della fede cristiana. L’ondata di moderno e postmoderno squalifica come vecchiume ogni forma di eredità – che non sia quella patrimoniale ed economica.

Ci troviamo soli con il nostro presente. Proprio nella svolta fatidica del ‘68 lo avvertiva con una particolare intensità don Luigi Giussani, come viene documentato nella sua recente biografia. Egli percepisce che non è più “motivo per aderire al cristianesimo né la tradizione, né una teoria; non la filosofia cristiana, non la teologia, non la concezione dell’universo che ha il cristianesimo”.

Un’osservazione così drammatica, invece di far cadere le braccia e sprofondare il cuore, rende più evidente che cos’è il cristianesimo e come si trasmette. Nello stesso anno Paolo VI afferma che nel rapporto tra la gioventù e la Chiesa è in gioco “un incontro prodigioso e stupendo, l’incontro con Uno”, l’incontro con Cristo. Il cristianesimo vive come un fatto presente e si comunica come incontro reale.

Come hanno creduto i primi discepoli? È accaduto aì due che tornavano via da Gerusalemme verso Emmaus: un incontro con Gesù, in un cammino lieto e convincente, ha preso il loro cuore e ha illuminato i loro occhi. Dice Giussani: “Credettero per una presenza, una presenza con una faccia ben precisa, una presenza carica di parola, cioè carica di proposta, di significato”.

Si diventa cristiani non per eredità, ma per un incontro personale con Cristo. Tutto questo coinvolge non libri e parole, non teorie e programmi, ma la realtà viva della Chiesa, nella quale reperire i tratti del Suo volto e gli accenti del Suo cuore. “L’organismo di Cristo nel mondo” vive nelle nostre persone afferrate da lui, nella tua persona abitata da Cristo. Genitori ed educatori, preti e laici, quanti desideriamo vivere e comunicare la fede, veniamo ricondotti alla verità originaria del nostro essere cristiani.