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BIOETICA

Embrione artificiale, l'uomo che vuole farsi creatore

Un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge guidato da Magdalena Zernicka-Goetz ha generato il primo embrione sviluppato in provetta senza utilizzare un ovocita fecondato. E' stato così passato un confine molto pericoloso, il cui esito futuro (a questo punto possibile) è la manipolazione della vita. Anche umana.

Vita e bioetica 05_03_2017
Embrione artificiale

Mentre restiamo in attesa di sapere ufficialmente se i materiali umani da esperimento che salveranno i topi da laboratorio sono prodotti distruggendo persone (un esperto del settore sottolinea a La nuova Bussola Quotidiana che nelle pubblicazioni scientifiche che documentano questo tipo di ricerche ed esperimenti è obbligatorio indicare la provenienza di tutti materiali impiegati, dalla marca dei reagenti e delle apparecchiature alla provenienza delle cellule staminali), un gruppo di scienziati del Dipartimento di Fisiologia, sviluppo e neuroscienze dell’Università di Cambridge guidato da Magdalena Zernicka-Goetz ha generato (diversi giornali, compreso Avvenire, scrivono «creato», ma è un errore volgare) il primo embrione sviluppato in provetta senza utilizzare un ovocita fecondato.

Come spiegato su Science, si tratta di un embrione di topo ottenuto utilizzando due tipi diversi di cellule staminali assemblate su un tessuto biologico extracellulare di ancoraggio che ha fatto da impalcatura tridimensionale. I due tipi di staminali impiegate sono quelle embrionali, che formeranno il corpo, e quelle extraembrionali del tessuto cellulare che nutre l’embrione, il trofoblasto, che formeranno la placenta. In questo modo, si è indotto in vitro lo sviluppo di una struttura estremamente simile a un embrione naturale. Simile, ma non uguale.

L’embrione di topo di Cambridge non si sarebbe infatti potuto sviluppare in un feto sano poiché manca un terzo tipo di cellule staminali, quelle dell’endoderma che dà origine al sacco vitellino preposto al corretto sviluppo degli organi del feto; l’endoderma, infatti, è il “foglietto embrionale” da cui si sviluppano l’intestino primitivo, la trachea, i bronchi e gli alveoli dei polmoni, quindi le ghiandole e gli organi endocrini, dunque il sistema uditivo e infine la vescica e l’uretra dell’apparato urinario. Questo oggi. Ma se in futuro si potesse ottemperare a quella mancanza, si potrebbe realizzare un sogno: far crescere al di fuori dell’utero materno un embrione artificiale in un feto identico a uno naturale. Non certo la creazione della vita, perché di tutt’altro si sta parlando, ma il suo sviluppo del tutto artificiale. Oggi siamo ai topi e lo scopo è la ricerca sulle prime fasi della vita anche a scopo medico, ma se non ci si fermasse ai topi?

La tecnica elaborata a Cambridge prevede l’uso di cellule staminali embrionali e questo comporta la distruzione degli embrioni di partenza. Se quella tecnica fosse adoperata sugli uomini invece che sui topi torneremmo al paradosso di trovarci a sviluppare soluzioni per la cura di malattie embrionali umane attraverso l’uccisione di embrioni umani. Ma, per quanto aberrante, sarebbe ancora il meno. Se infatti venissero creati esseri umani artificiali per servire come ricambi per trapianti di organi e di tessuti? Se si producessero esseri umani in laboratorio per soddisfare precise richieste eugenetiche? Se fosse questo il futuro della fecondazione artificiale e della “provetta in affitto”, o in comodato d’uso gratuito, in sostituzione definitiva dell’utero? Se fosse questa la nuova umanità asessuata ma genderizzata in cui la procreazione è solo un protocollo tecnocratico?

Davanti alla ricerca dell’Università di Cambridge nessuno ne parla, ma chi sarà mai in grado, anzi, chi vorrà, tracciare la linea di confine? Non certo il nostro mondo che si trincera dietro una delle maggiori menzogne della storia, quella della neutralità della scienza e della tecnica. E poi in base a quale principio etico lo farebbe un mondo dove ciò che è tecnicamente possibile fare diventa automaticamente ciò che è giusto e persino doveroso fare? 

Ma a quel punto, anzi, a questo punto, giacché le premesse ci sono già tutte e senza alcuno che eccepisca dubbi il passo dalle premesse alle realizzazioni è brevissimo, a questo punto, dicevo, con quale faccia continuiamo a parlare di solidarietà, accoglienza, persino carità se abbiamo già perso completamente il rispetto per la più fragile e intima dimensione della vita, se non ci terrorizziamo più del sacro terrore che c’impone di fermarci, anzi d’inchinarci a rispettosa distanza dall’intangibile?

Fremiamo di orrore di fronte all’abisso del tentativo nazionalsocialista di manipolare la vita umana. Fremiamo meno, perché se ne parla meno, di fronte al tentativo del biologo sovietico Il’ja I. Ivanov (1870-1932), fissato con la follia dell’ibridazione tra uomo e animali, di creare, su ordine di Stalin, lo “scimpanzuomo”. Perché tacciamo di fronte all’orrore potenziale che la ricerca di Cambridge comporta? Ovviamente ogni processo alle intenzioni è indebito, ma sappiamo tutti come vanno a finire queste cose. E l’ostentata assenza di giudizio morale che accompagna notizie di questo tipo mette già seriamente i brividi.