Elia rapito in Cielo, capolavoro a Santa Sabina
Come racconta il Secondo Libro dei Re, Elia fu assunto in Cielo su un carro di fuoco. L’episodio si ritrova già nei primi manufatti cristiani. Notevole è l’esemplare sulla porta lignea della basilica di Santa Sabina, a Roma. Vi si vede tra l’altro la caduta del mantello (simbolo dell’eredità spirituale) di Elia, che viene raccolto dal discepolo Eliseo, per continuare la missione profetica del maestro. In attesa della venuta di Cristo.
Il ratto di Elia, Roma – Basilica di Santa Sabina
Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elìa salì nel turbine verso il cielo. Elisèo guardava e gridava: «Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suoi destrieri!». E non lo vide più. (2Re 2, 11-12)
Elia, il cui nome significa “il mio Dio è Yahvè”, annoverato tra i più influenti personaggi veterotestamentari, è considerato l’archetipo della figura di san Giovanni Battista che avrebbe poi preparato la strada al Signore predicando con la stessa forza e lo stesso spirito del grande profeta. Iconograficamente gli si addice l’aspetto di un uomo anziano, dalla folta barba: così lo vediamo, per esempio, nelle scene ambientate sul Monte Tabor dove compare, con Mosè, accanto a Gesù trasfigurato. Altrimenti, si riconosce dai suoi attributi distintivi: il corvo nel deserto e il carro di fuoco. Su quest’ultimo, come raccontano i versetti del Secondo Libro dei Re, fu assunto in cielo, scomparendo definitivamente alla vista e concludendo, così, la sua missione terrena. Da sempre questo avvenimento è stato interpretato quale segno premonitore della salvezza di ogni uomo a Dio fedele.
L’episodio fa la sua apparizione fin nei primi manufatti artistici cristiani. A Roma, la porta lignea della basilica di Santa Sabina, costruita sulla tomba della nobile martire, sopra il colle Aventino, ne conserva un prezioso esemplare. Prezioso, in realtà, è l’insieme dei rilievi dei battenti di cipresso che costituiscono l’accesso principale della chiesa, eccezionalmente conservatisi in ottime condizioni fino ai nostri giorni: le ante, infatti, sono contemporanee alla costruzione dell’edificio e risalgono addirittura al V secolo.
Dei 28 riquadri originari ne sono rimasti 18 che rappresentano, in ordine misto, scene del Nuovo e dell’Antico Testamento. Il programma iconografico introduce il fedele nello spazio sacro, rendendo la porta, non solo materialmente, strumento di questo passaggio. Nelle immagini intagliate nel legno sono tanti i simboli eucaristici, i riferimenti alla missione della Chiesa, a partire dall’origine stessa della fede, ovvero l’avvento del Figlio di Dio fattosi uomo: l’assunzione di Elia, che è figura dell’ascensione di Cristo, rimanda alla resurrezione.
La scena occupa tutta la superficie del pannello, sviluppandosi verticalmente e dimostrando, da parte del suo artefice, grande sapienza compositiva. Il paesaggio è arricchito da elementi naturalistici, quali le nuvole e il ramarro che si arrampica sulle rocce, mentre due uomini sui lati sono involontari testimoni dell’improvvisa teofania.
La biga trainata da due cavalli è il punto di raccordo dei personaggi distribuiti lungo l’asse centrale: Elia, l’auriga, è colto di sorpresa dal gesto dell’angelo che vola sopra di lui e che con un bastone crea il vortice, segno della potenza di Dio, che lo conduce fino in cielo. Dalle spalle gli cade il mantello che l’uomo in primo piano prontamente afferra. Costui è Eliseo, il suo discepolo prediletto.
E il manto è il simbolo dell’eredità del maestro che gli consentirà di continuarne la missione profetica, affinché il mondo sappia qual è il destino di ogni uomo, chiamato, prima o poi, a incontrare Dio, che, più potente della morte, ci farà risorgere in corpo e in spirito.