Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
REGNO UNITO

Elezioni, i musulmani inglesi dettano le loro condizioni

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I laburisti hanno vinto le elezioni amministrative in Inghilterra, stracciando i conservatori. Ma i veri vincitori sono i musulmani inglesi, che hanno eletto molti loro candidati e ora pongono le loro condizioni ai laburisti per le elezioni politiche..
- VIDEO: Il voto sotto ricatto islamico, di Riccardo Cascioli

Esteri 07_05_2024
Manifestazione palestinese a Londra (La Presse)

Per il partito conservatore inglese la tornata elettorale del 2 maggio è stato il peggiore risultato alle urne da quarant’anni.

Il risultato delle amministrative ha visto il sindaco musulmano Sadiq Khan conquistare anche il terzo mandato a Londra. E, a conteggio ultimato, i risultati hanno smentito le previsioni della vigilia e registrato una disfatta per il partito che guida il Paese da quattordici anni: i seggi nei consigli regionali ne escono dimezzati. Ma la vera novità di queste elezioni locali è la vittoria dei candidati indipendenti e dei Verdi. 

Tra questi, infatti, sono stati eletti decine di attivisti filo-palestinesi e musulmani che non hanno voluto scegliere il partito laburista, per questa volta e a dispetto del passato, in aperta opposizione alla presunta linea troppo morbida della sinistra inglese con Israele. Una vera prestazione senza eguali. A Oldham, i candidati indipendenti hanno vinto otto dei ventuno seggi disponibili, con molti di loro che hanno fatto esplicitamente una campagna a sostegno della Palestina. Nel Lancashire, a Pendle, gli indipendenti filo-palestinesi hanno vinto cinque dei 12 seggi in palio.

Un aumento simile si è verificato anche a Bradford, dove nove dei 30 seggi sono andati agli indipendenti che hanno criticato direttamente il partito laburista per la sua posizione su Gaza. A Birmingham, l’indipendente filo-palestinese Akhmed Yakoob è arrivato terzo con 42,923 preferenze, dietro al candidato conservatore, politico di vecchia data, che ne ha presi 66,296 di voti.

La questione palestinese è stata il fulcro di una campagna elettorale fatta di volantinaggio e pressioni. Anche ai seggi i candidati hanno indossato coccarde con i colori della bandiera palestinese. E hanno fatto, poi, il giro del mondo le immagini dei festeggiamenti in cui un tale Mothin Ali, quarantenne candidato per i Verdi, dopo essere stato eletto al Consiglio di Leeds, ha urlato, «Non saremo messi a tacere. Alzeremo la voce di Gaza. Alzeremo la voce della Palestina. Allahu Akbar!»

L’elettorato musulmano ha, così, voluto dimostrare tutto il disappunto contro un Labour che non è più quello di una volta. D’altronde, sembrano lontani i tempi in cui a guidare il partito era quel Jeremy Corbyn che, nel 2020, è stato cacciato dal partito perché accusato di antisemitismo. 

A prendere il suo posto è stato Sir Keir Starmer, leader dalle posizioni sfumate e dalle mosse felpate, che, intervistato sabato sul calo di consensi legato alla sua posizione su Gaza - a Birmingham, per esempio, il suo partito ha perso quasi 30mila voti sulla questione - ha replicato, «Sono determinato a soddisfare le vostre preoccupazioni e a guadagnarmi nuovamente il vostro rispetto e la vostra fiducia in futuro». Sir Keir Rodney Starmer è un avvocato, deputato alla Camera dei Comuni dal 2015, dal 4 aprile 2020 è capo del Partito Laburista e leader dell’opposizione parlamentare, e ha deciso di rivolgersi direttamente ai musulmani. Alla dichiarazione di Sir Starmer, pertanto, non ha esitato a replicare il Muslim Vote, proponendo il nuovo manifesto politico a cui la sinistra inglese deve convertirsi se vuole ancora il voto dei 4 milioni di musulmani. Sono ben 18 le richieste.

Il gruppo, sulla carta, è nato in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2024, ma nella sua orbita ci sono personaggi legati ad Hizb al-Tahrir, un’organizzazione politica internazionale pan-islamica e fondamentalista, e altre vecchie organizzazioni inglesi, tra cui l’Associazione Musulmana della Gran Bretagna (MAB), il Muslim Engagement and Development e il Forum Palestinese in Gran Bretagna. Quello stesso MAB, per intenderci, che lo scorso marzo, il governo ha riconosciuto come “affiliato britannico dei Fratelli Musulmani” e che ha suscitato nell’intelligence «preoccupazione per l’orientamento e le opinioni islamiste». 

Il Muslim Vote, senza tema, chiede apertamente al leader laburista di promettere di tagliare i legami militari con Israele, che il partito si scusi per non aver sostenuto il cessate il fuoco e la promessa di sanzioni alle imprese filo israeliane oltre che riconoscere lo Stato di Palestina. Ma anche di pubblicare linee guida secondo le quali i musulmani possano pregare a scuola, rivedere la nuova definizione di estremismo introdotta dal ministro per le relazioni intergovernative del Governo Sunak, Michael Gove,  lavorare sul concetto di islamofobia, aumentare i finanziamenti comunali e sanitari pubblici delle aree più povere del Paese, e, ancora, garantire pensioni conformi alla shari’a.  Come se non bastasse, chiedono la garanzia che i preventivi assicurativi non costino di più per quanti si chiamato “Muhammad” e impegnare il 7% delle pensioni del settore pubblico in fondi etici e islamici. Tutto questo ed anche l’abrogazione di una legge che vieta ai preti e agli imam di dire alle loro congregazioni come votare, insieme alla restituzione del “denaro sionista” che il partito, o i parlamentari, avrebbero ricevuto da gruppi filo-israeliani, promettendo, in cambio, però, i loro di finanziamenti. 

Il patto è chiaro: i musulmani inglesi chiedono una legislazione ancora più compatibile alle loro istanze, altrimenti non voteranno più il Labour. Ma il Muslim Vote assicura anche la disponibilità ad organizzare campagne elettorali e di portare in dote «migliaia di volontari». «Queste elezioni segnano un cambiamento per i musulmani: basta con l'apatia politica. Non tollereremo più di essere dati per scontati. Siamo una forza potente e unita di 4 milioni di persone che agiscono all’unisono», avvertono. «Ci concentriamo sui seggi in cui il voto musulmano può influenzare il risultato. Siamo qui per il lungo termine. Nel 2024 getteremo le basi per il futuro politico della nostra comunità. Non siamo solo un movimento di parole. Facciamo sul serio. The muslim votes matter», fanno sapere. E più chiaro di così è difficile. 

In base a una rilevazione di Survation già il 57% dei cittadini del Regno Unito di religione islamica, che aveva votato per il Labour nelle elezioni politiche del 2019, è certo di farlo nuovamente. Le infiltrazioni islamiche sono una tendenza non recente, ma certo oggi più prepotente che mai, e che tutta la classe politica occidentale, più che sottovalutato, ha ignorato. La virulenza delle manifestazioni, delle proteste e delle pretese non è un semplice campanello d’allarme, ma una minaccia per la tenuta della società oltre Manica. Ora il problema è inglese, e domani?