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GEOPOLITICA

Egitto contro Turchia, la sfida per il Mediterraneo

Mentre l'Europa chiacchiera, l'Egitto si oppone ai disegni egemonici della Turchia nel Mediterraneo orientale. La sfida è anche religiosa: alla riconversione di Santa Sofia in moschea, al Sisi ha risposto finanziando il restauro dell'antico monastero di Santa Caterina e puntando così sul Cristianesimo.

TUTTI I FRONTI DELLO SCONTRO di G. Gaiani

 

Esteri 16_08_2020 English Español
Monastero di Santa Caterina

Quando Erdoğan annunciava il sogno di trasformare la Basilica di Santa Sofia nella moschea che già era stata, si aspettava reazioni dalla comunità internazionale: quelle che gli sarebbero servite a misurare la sua politica estera. Tra le poche voci fuori dal coro c’è stato Il Cairo.

Già il 21 luglio il governo egiziano annunciava, come risposta alla decisione di  Erdoğan, di voler stanziare 2,5 milioni di dollari per restaurare il monastero di Santa Caterina nel governatorato del Sinai meridionale, uno dei monasteri più antichi del mondo e un punto di riferimento cristiano. E sicuramente da quel processo, che è una continua offesa all'Occidente cristiano, ha preso le distanze anche la Siria - che ha annunciato la costruzione di una chiesa intitolata alla Divina Sapienza e riprodurrà in dimensioni ridotte Santa Sofia.

La reazione immediata egiziana al caso Santa Sofia non è un dettaglio e disegna ancora quello scacchiere mediterraneo che sembra interessare sempre meno all'Italia. E il primo ministro Mostafa Madbouly, in aperta ostilità alla Turchia, ha dichiarato così di voler investire sul cristianesimo, lanciando un preciso segnale. In questi giorni ha persino visitato Santa Caterina per incontrare i monaci dell'Ordine di Santa Caterina. Madbouly ha annunciato che i lavori sarebbero iniziati immediatamente: restauro e sviluppo per il Monastero di Santa Caterina e la vicina città nel Sinai meridionale nell'ambizione di farne sempre meglio il crocevia del turismo. Adesso sarà, infatti, naturalmente più facile dirottare anche il turismo dell'ormai ex Santa Sofia, dove la bellezza dell'arte cristiana è stata nascosta dietro l’odio islamico per le immagini. Il governo egiziano è molto interessato a rilanciare il turismo religioso, sa da quelle parti quanto vale, e se può essere l'occasione per una sfida alla Turchia ben venga.

Alle chiacchiere europee circa il neo ottomanesimo turco, ha risposto così con vigore l'Egitto, e l'hanno denunciato apertamente la stampa e la televisione egiziane. Ma anche il Dar al-Ifta egiziano non ha mancato di commentare la decisione di Erdoğan  come “un gioco politico pericoloso”. Lo sforzo di mostrare al mondo il rispetto del patrimonio culturale, del cristianesimo e dell'arte, per i leader egiziani non passerà inosservato anche perché il progetto di sviluppo della città e del monastero di Santa Caterina nasce dalla consapevolezza del significato di quell'area. 

La posizione della Turchia è vista come incivile, e il panorama religioso e turistico fa solo da cornice. Ankara semina nervosismo e ostilità in Libia, in Iraq, in Grecia. E l’Egitto ha deciso da che parte stare. In Iraq, dove la Turchia è stata accusata di violare la sovranità irachena e di mancare di rispetto ai principi delle relazioni di buon vicinato per via delle incursioni militari, il Cairo ha offerto sostegno diplomatico e politico a Baghdad. Oltre a condannare l'intervento militare turco come inaccettabile e capace solo di minare la pace e la sicurezza regionali. L'Egitto sta anche cercando un "riavvicinamento economico" con l'Iraq, in un momento in cui Baghdad minaccia di esercitare pressioni economiche contro Ankara in risposta all'intervento militare turco nel nord dell'Iraq. Ma soprattutto Il Cairo sta intensificando la cooperazione in materia di sicurezza e la lotta al terrorismo in Iraq. Era il 2016, quando il ministero della Difesa annunciava che avrebbe addestrato migliaia di soldati iracheni in Egitto.

Oggi, però, le prese di posizione egiziane irritano particolarmente l'avidità turca in Iraq e cementificano i legami con Barham Salih, che punta, come al Sisi, all'allineamento arabo per respingere l'influenza iraniana e turca. Per questo, l'Iraq si sta avvicinando all'Egitto: condividono interessi di fondo per tenere a bada l'avidità turca. E non va dimenticato che Saddam Hussein ha ospitato, a suo tempo, milioni di lavoratori egiziani. L'accettazione degli egiziani tra il popolo iracheno non va cercata e il sostegno pubblico alle relazioni iracheno-egiziane sia sul fronte politico che su quello degli investimenti esiste già.

L'Italia di oggi risulta completamente impreparata, forse, meglio, inconsapevole, rispetto alla politica egiziana di forte presenza diplomatica e commerciale nella regione araba. E la risposta turca è sempre più aggressiva anche in virtù di ciò. Erdoğan  non può non prendere di mira l'Iraq. Moltiplicare la presenza militare a nord di Bagdad per espandere la sua influenza militare nella regione araba e il mirino puntato su curdi e residenti del nord di Iraq e Siria, - per l'aspirante sultano una minaccia a suo dire - sono tra le priorità assolute di Ankara. Ma l'Egitto vuole essere di ostacolo e non intende fare passi indietro nel capitalizzare consensi in chiave anti ottomana nella Lega Araba. Anche perché Il Cairo ha bisogno di sistemare burocrazia, instabilità e l'ampia presenza di gruppi armati. 

Seguendo un copione già scritto, proprio nel momento in cui la tensione tra Grecia e Turchia sembrava allentarsi per la disponibilità espressa da Istanbul a fare un temporaneo passo indietro, Atene è riuscita a concludere un accordo di delimitazione della Zee con il Cairo. Ma da parte egiziana ci sono diverse cautele nell’assecondare le mire greche, lo scopo resta l’ostilità turca.

Il Cairo dal 2014 si è aperto soprattutto alla Russia di Vladimir Putin. L’avvicinamento con Mosca è stato importante, anche perché proprio in quegli anni stava tornando protagonista nella regione mediorientale. Al Sisi ha poi posto l’Egitto nettamente al fianco della coalizione sunnita filo saudita, soprattutto per il comune nemico nei Fratelli Musulmani. E i petrodollari sauditi hanno iniziato a finanziare diversi progetti ritenuti da Il Cairo essenziali per far ripartire l’economia egiziana. Restano sempre buoni anche i rapporti con gli Stati Uniti di Trump.

Oggi l’Egitto ha acquistato il sistema di super-difesa russo, soprannominato "Bastione", per proteggere le sue coste e i giacimenti di gas nel Mediterraneo, e sta rafforzando le sue capacità navali alla luce delle sfide che deve affrontare nel Mediterraneo. Soprattutto dopo che il quotidiano turco Yeni Safak, vicino al partito di Erdoğan, ha riferito a metà giugno che la Turchia intende istituire una base nella città libica di Misurata, che si affaccia sul Mediterraneo. L’Egitto vuole entrare nel mercato europeo degli idrocarburi, ed è per questo che Al Sisi appoggia il progetto EastMed, con il quale si vuole lanciare il gas egiziano, israeliano e cipriota nel vecchio continente. 

Lo scacchiere mediterraneo vede fanti e cavalieri in continuo movimento, pronti a cambiare tutto, e questo non sembra ben chiaro a tutti i leader europei. Soprattutto all’Italia.