Efrem il Siro, il santo che evangelizzava con inni e canti
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Il 9 giugno di 1650 anni fa moriva Efrem il Siro, detto «la cetra dello Spirito Santo» per la sua capacità di trasmettere le verità della fede attraverso la musica e la poesia sacra. Per la grandezza della sua opera, Benedetto XV lo ha proclamato Dottore della Chiesa.
1650 anni fa, il 9 giugno 373, moriva a Edessa (oggi in Turchia), curando gli ammalati di peste, «la cetra dello Spirito Santo», secondo il titolo con cui la tradizione cristiana l’onora: sant’Efrem, il Siro.
Diacono della chiesa di Nisibi, in Mesopotamia, dove era nato circa 66 anni prima, e da cui emigrò a Edessa dopo l’invasione persiana del 363, fu proclamato dottore della Chiesa universale da Papa Benedetto XV (†1922), a motivo della sua meravigliosa e prolifica produzione teologica (quadripartita in opere in prosa ordinaria, in prosa poetica, omelie in versi e inni). Scorrendo la sua biografia, cogliamo un maestro di teologia e di catechesi, una guida per i monaci, per il clero e per il popolo del suo tempo, uno studioso della Sacra Scrittura, un oratore brillante, che parla anche ai pagani.
Soffermiamoci qui sull’intensa attività pastorale che esercitò mediante la poesia e il canto e che lo fa distinguere nel maestoso coro dei poeti cristiani. Diceva Benedetto XV nell’enciclica Principi Apostolorum Petro: «In verità, se va ad onore del santo Diacono di Edessa l’aver voluto che la predicazione della parola di Dio e la formazione dei discepoli poggiassero sulla Sacra Scrittura, interpretata secondo lo spirito della Chiesa, non minore gloria egli si è acquistata nella musica e nella poesia sacra; infatti era così esperto in queste arti, da essere chiamato “cetra dello Spirito Santo”. Da lui, Venerabili Fratelli, si può imparare con quali arti vada promossa nel popolo la conoscenza delle cose sante. Efrem infatti viveva in mezzo a popolazioni dal temperamento ardente, particolarmente sensibili alla dolcezza della musica e della poesia, tanto che fin dal secondo secolo dopo Cristo gli eretici si erano molto abilmente serviti di questi richiami per seminare i loro errori. Perciò, come il giovane David aveva ucciso il gigante Golia con la sua spada, Efrem oppone l’arte all’arte, veste la dottrina cattolica di versi e di musica, e così la insegna alle fanciulle e ai fanciulli, perché a poco a poco diventi familiare a tutto il popolo. Così egli non solo perfeziona la formazione dei fedeli nella dottrina cristiana e favorisce e nutre la loro pietà secondo lo spirito della sacra liturgia, ma contrasta anche con grande successo le eresie che andavano serpeggiando».
Aggiungeva Benedetto XV: «Quanta dignità abbia conferito alle sacre cerimonie il fascino di queste arti nobilissime, lo apprendiamo da Teodoreto, e ne troviamo conferma nell’ampia diffusione, sia tra i greci, sia tra i latini, della metrica propagata dal nostro Santo. Infatti, a quale altro autore potrebbe essere attribuita l’antifonia liturgica, con i suoi canti e con le sue solennità, importata da Crisostomo a Costantinopoli, da Ambrogio a Milano, e che poi si è diffusa in tutta Italia? E se questo “uso orientale”, che nella capitale lombarda ha commosso così vivamente Agostino ancora catecumeno, e che, ritoccato da Gregorio Magno, è arrivato, perfezionato, fino a noi, non lo si deve in un certo qual modo, secondo il giudizio di critici competenti, al beatissimo Efrem, in quanto proviene dall’antifonia siriaca da lui diffusa?» (Benedetto XV, Principi Apostolorum Petro, 5 ottobre 1920).
Per favorire la memorizzazione tra i fedeli, il santo Diacono di Edessa compone in siriaco i mīmrē (discorsi), poemi concepiti per la recitazione, e i madhrāshē (odi), canzoni, spesso parafrasi di versetti biblici, usando versi con ugual numero di sillabe (isosillabismo) e con le iniziali che si susseguono in ordine alfabetico (acrostici).
Scoperta la forte predisposizione degli abitanti di Edessa per la musica, sant’Efrem, secondo il racconto suggestivo di un biografo, istruisce nella Sacra Scrittura e nel canto liturgico le Figlie del Patto, un numeroso gruppo di vergini, e altre ragazze di quella capitale. A loro, la domenica e nelle grandi feste, il nostro maestro di coro, con l’accompagnamento dell’arpa, insegna i suoi inni, formati da strofe e ritornelli, che hanno come soggetto la Natività, la Passione, la Resurrezione e l’Ascensione, i santi, la penitenza e i defunti. Grande successo: tutta la città si riunisce attorno al santo diacono e gli eretici gnostici, che seminavano errori dovunque per mezzo del canto, devono sparire (cfr. A. HAMMAN, Guida pratica dei Padri della chiesa, Milano, Ancora, 1968, pp. 198-199).
Ma è per la Vergine Madre di Dio che sant’Efrem pizzica sulla sua cetra le corde più delicate, a tal punto che, scriveva Ortiz de Urbina nel 1935, «lo si può chiamare il primo Dottore Mariano che troviamo nella schiera dei Santi Padri» (I. Ortiz de Urbina, La Mariologia nei Padri Siriaci, in Orientalia christiana periodica, Roma 1935, p. 103).
Per fare solo alcuni esempi, in un inno sembra aver intuito l’Immacolata Concezione di Maria: «Tu e la tua madre, voi soli in verità siete per ogni verso e integralmente belli. Non vi è in te, o Signore, e neppure nella Madre tua macchia alcuna» (Carmina Nisibena, ed. G. Bickell Lipsia 1823, pp. 122-123).
In un altro inno Maria è l’icona dell’umiliazione del Verbo: «Il Signore venne in lei per farsi servo. Il Verbo venne in lei per tacere nel suo seno. Il fulmine venne in lei per non fare rumore alcuno. Il Pastore venne in lei ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange. Poiché il seno di Maria ha capovolto i ruoli: Colui che creò tutte le cose ne è entrato in possesso, ma povero. L’Altissimo venne in lei (Maria), ma vi entrò umile. Lo splendore venne in lei, ma vestito con panni umili. Colui che elargisce tutte le cose conobbe la fame. Colui che abbevera tutti conobbe la sete. Nudo e spogliato uscì da lei, Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose» (Inno sulla Natività 11, 6-8, in Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Lovanio 1959, 187, pp. 61-62).
L’esempio del Dottore di Edessa ci faccia approfondire la nostra fede e rendere sempre gloria a Dio «con salmi, inni e canti spirituali, cantando e salmodiando di cuore al Signore» (Ef 5, 19).