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Ecologia integrale: un concetto confuso

La nozione di ecologia integrale è confusa e induce confusione. Il principale errore di impostazione è di partire dall’ecologia ambientale e di intenderla come matrice e causa anziché come effetto e conseguenza: ormai non si contano i riferimenti alla Madre Terra nei documenti del magistero. Da questo discendono poi gli errori pratici, come tacere sull’ecologia umana per parlare di alberi o uccelli o collaborare con associazioni e movimenti per la protezione della fauna ma non per quella della vita umana o della vita familiare.

Dottrina sociale 30_09_2020

Il concetto di “ecologia integrale” indicato da papa Francesco nella Laudato Si’ e ormai fatto proprio da molti, per essere correttamente inteso presenta delle esigenze sia concettuali che pratiche, fuori delle quali diventa fonte di confusione. Cerchiamo di vederne qualcuna.

La parola “integrale”, a leggerla in modo positivo, vuol dire che riguarda tutti gli aspetti di un certo oggetto. Come quando si parla di sviluppo umano integrale o di pane con farina inegrale. Niente rimane fuori da una considerazione integrale. La parola ecologia invece è impiegata per l’ambiente naturale, ossia non in modo integrale, ma settoriale. Ecologia integrale, allora, vorrebbe dire che l’ecologia naturale va allargata anche ad altri settori, ad una ecologia umana, ad una ecologia della vita, ad una ecologia della famiglia, ad una ecologia sociale, spirituale, educativa e così via. In questo senso la parola ecologia sta a significare la fisiologia e la completezza della prospettiva.

La questione allora diventa la seguente: si può partire dalla ecologia ambientale e poi estenderla agli altri ambiti, o si può partire dagli altri ambiti ed estendere la loro ecologia a quella ambientale. Nella accezione oggi prevalente di ecologia integrale si percorre il primo percorso, che è riduttivo e sbagliato, perché vorrebbe far derivare il più dal meno. Il percorso corretto è invece l’inverso: l’ecologia ambientale sarà il frutto, e non la causa, dell’ecologia umana, spirituale e – si dovrebbe anche aggiungere – religiosa. Percorrendo il primo percorso, invece, si considera l’ecologia ambientale come matrice di ogni altra ecologia, come criterio fondante rispettato il quale si rispetta poi anche le altre forme di ecologia in altri ambiti della  vita. Durante il sinodo sull’Amazzonia abbiamo visto questa prospettiva condotta all’estremo, come se gli uomini dovessero imparare dalla natura, ispirarsi per le loro relazioni (che sono di ordine morale, spirituale e religioso) alle dinamiche naturali (che sono di ordine materiale), con la celebrazione del primitivismo come modello di relazioni natural.

Seguendo questo percorso succede anche che l’ecologia ambientale, oltre che fonte normativa dell’ecologia integrale, diventi anche il suo banco di verifica. Se in occasione della Prima Comunione il parroco dona ai bambini una piantina da mettere a dimora, il rispetto della natura diventa la primaria forma di esercizio della vita nuova acquisita con i Sacramenti. Se si invitano i parrocchiani ad adottare un albero e a dargli un nome, l’effetto è lo stesso.

Nella nozione di ecologia integrale c’è quindi un difetto concettuale (intenderla come estensione della ecologia ambientale) e un difetto pratico (assumerla come criterio principale della bontà delle azioni).  

Veniamo ora ad un’altra esigenza del concetto di ecologia integrale se lo si vuole intendere correttamente. L’impegno per l’ecologia ambientale deve sempre essere accompagnato – sia nella prassi che nelle dichiarazioni – dall’impegno per gli altri ambiti dell’ecologia integrale che abbiamo visto essere prioritari. Oggi, invece, le parrocchie (direi tutte senza esclusione) parlano molto di ecologia ambientale ma non parlano mai di ecologia della vita umana, non dicendo più nemmeno una parola sulla piaga dell’aborto. Si tratta di un grave sbilanciamento che confonde le idee dei fedeli in modo radicale. Faccio notare che questo sbilanciamento è evidente anche al livello di magistero episcopale e pontificio.

Una conseguenza di quanto appena visto è che non si dovrebbe collaborare nel campo dell’ecologia ambientale con realtà sociali e religiose che contraddicano nella loro ideologia e nel loro operato le esigenze dell’ecologia umana. Oggi invece prevale l’idea di collaborare con tutti nel campo dell’ecologia ambientale, anche con movimenti che promuovono l’aborto o il suicidio o l’utero in affitto. Ecco un altro evidente esempio che nell’ecologia integrale la matrice che viene estesa al resto è quella ambientale. Il 9 luglio 2020, Papa Francesco ha incontrato a Casa Santa Marta Giorgio Petrini e da quell’incontro è uscito il libro “Terrafutura. Dialoghi con papa Francesco sull’ecologia integrale” (edizioni Giunti). La matrice culturale dell’attività di Petrini nel campo della gastronomia, che ha avuto origine nell’ambito dell’ARCI, non si combina per niente con la visione cattolica dell’ecologia integrale. In questo modo si dà l’impressione che sia sufficiente promuovere lo slow-food per contribuire all’ecologia integrale.

La nozione di ecologia integrale è confusa e induce confusione. Il principale errore di impostazione è di partire dall’ecologia ambientale e di intenderla come matrice e causa anziché come effetto e conseguenza: ormai non si contano i riferimenti alla Madre Terra nei documenti del magistero. Da questo discendono poi gli errori pratici, come tacere sull’ecologia umana per parlare di alberi o uccelli o collaborare con associazioni e movimenti per la protezione della fauna ma non per quella della vita umana o della vita familiare (Stefano Fontana).