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CONTINENTE NERO

Ecco perché terroristi e jihadisti paiono invincibili

A Sousse la polizia ha tardato a intervenire. Lo ha dichiarato il primo ministro tunisino Habib Essid presenziando alla cerimonia per commemorare le vittime dell’attentato del 26 giugno. L’attacco è durato quasi 35 minuti durante i quali il terrorista ha avuto il tempo di uccidere decine di turisti prima di venire ucciso. 

Esteri 06_07_2015
Abubakar Shekau, capo dei Boko Haram

 A Sousse la polizia ha tardato a intervenire. Lo ha dichiarato il primo ministro tunisino Habib Essid presenziando alla cerimonia svoltasi venerdì scorso per commemorare le vittime dell’attentato del 26 giugno. L’attacco in effetti è durato quasi 35 minuti durante i quali il terrorista ha avuto il tempo di uccidere decine di turisti sulla spiaggia, tornare sui propri passi per finire alcuni di quelli che aveva solo ferito, entrare nell’hotel Imperial Marhaba e uscirne tentando la fuga prima di essere ucciso dalla polizia. Non è la prima volta che il bilancio di un attentato è reso più grave dall’inefficienza delle forze dell’ordine. In Kenya, ad esempio, ad aprile, il campus universitario di Garissa è stato in mano agli islamisti somali al Shabaab per un giorno intero. Sono trascorse ore prima che le forze dell’ordine arrivassero sul posto e organizzassero un piano d’azione. Nel frattempo sono stati uccisi 148 studenti.

Irresponsabilità, corruzione, scarsa motivazione, impreparazione, inadeguatezza dei mezzi in dotazione: sono tra i fattori che concorrono a rendere poco efficienti polizia ed esercito in molti stati africani, inclusi quelli in cui il rischio di attentati è elevato e le misure di sicurezza dovrebbero essere da tempo predisposte. Il caso più scandaloso è quello della Nigeria che ha lasciato crescere e diventare sempre più potente Boko Haram, il gruppo islamista fondato nel 2002 nel nord a maggioranza musulmana. 

Come è noto, i Boko Haram colpiscono le città con attentati suicidi in luoghi affollati, quasi sempre mercati e stazioni degli autobus, e i villaggi con commando che fanno strage di chiunque capiti a tiro, dopo di che distruggono ogni cosa con il fuoco. Nelle ultime due settimane, nonostante l’intervento militare di Ciad e Camerun a sostegno dell’esercito nigeriano, hanno intensificato le azioni uccidendo centinaia di persone.C’era da aspettarselo perché il 18 giugno è iniziato il Ramadan, il mese sacro per l’Islam, e i jihadisti, per celebrarlo, non si limitano ad astenersi dal mangiare, bere e fumare dall’alba al tramonto come fanno tutti i musulmani. 

Il 22 giugno due giovani donne si sono fatte esplodere in un mercato del pesce di Maiduguri, capitale dello stato di Borno, provocando la morte di almeno 30 persone. Il giorno successivo una ragazzina di circa 12 anni è entrata in un mercato nella città di Gujba, nello stato di Yobe, e anche lei è saltata in aria uccidendo dieci persone e ferendone 20. Negli stessi giorni nel Borno sono stati attaccati i villaggi di Debiro Hawul e Debiro Bi: chi è riuscito a mettersi in salvo ha riferito che i terroristi hanno ucciso una quarantina di persone e poi, come di consueto, hanno saccheggiato case e negozi prima di distruggerli con il fuoco. Il 30 giugno è stata la volta di due altri villaggi, nei pressi della città di Monguno, sempre nel Borno, attaccati dopo che i fedeli avevano finito di pregare in moschea. Il bilancio è stato di 48 vittime. La sera del 1° luglio un commando composto da una cinquantina di miliziani ha preso d’assalto un altro villaggio, Kukawa, subito dopo le preghiere del tramonto in moschea. Nessuno è stato risparmiato. Si contano 97 morti tra cui molte donne e bambini.

Il 2 luglio, ancora nel Borno, un attentato suicida compiuto da una donna ha ucciso sette persone nel villaggio di Malari. Un’altra donna si è fatta esplodere nelle stesse ore lungo una strada molto affollata da venditori di frutta, nelle vicinanze di Maiduguri: con lei sono morte tre persone. La sera del 3 luglio, venerdì, diverse donne, almeno sei, hanno raggiunto il villaggio di Zabarmari, a dieci chilometri da Maiduguri, e una dopo l’altra hanno attivato gli esplosivi che indossavano uccidendo decine di persone: manca ancora un bilancio definitivo. Infine il 5 luglio, domenica, un attentato suicida ha colpito una chiesa a Potiskum, nello stato di Yobe: cinque i fedeli uccisi mentre stavano entrando in chiesa.  

L’esercito non arriva in tempo a fermare i jihadisti perchè non si sa dove intendono attaccare: così si giustificano le autorità militari per il mancato intervento delle truppe governative. Ma, anche quando sono nei paraggi, spesso i militari all’arrivo dei miliziani si danno alla fuga: si sono verificati casi di diserzione e di ammutinamento motivati dal fatto, dicono i soldati, di non essere adeguatamente equipaggiati per far fronte ai Boko Haram che sono molto ben armati e addestrati. Decine di soldati sono indagati per aver rifiutato di combattere. A dicembre ne sono stati condannati a morte 54. 

Ma un rapporto di Amnesty International formula adesso accuse ancora più gravi. Si intitola “Stellette sulle spalle, sangue sulle mani”. Negli ultimi quattro anni – vi si legge – più di 7.000 civili sono morti mentre erano detenuti con l’accusa di sostenere Boko Haram: quasi un terzo degli oltre 20.000 arrestati e più del 40% dei morti – 17.000 dal 2009 – causati in tutto finora dal conflitto. Secondo Amnesty International tra i prigionieri ci sono persino dei bambini di nove anni soltanto e si hanno prove di prigionieri deliberatamente lasciati morire di fame. 

Bisogna inoltre aggiungere tra le perdite umane di cui l’esercito è responsabile le centinaia di persone uccise dai militari durante i rastrellamenti svolti per snidare i terroristi e individuarne i complici tra la popolazione. Nel 2013, ad esempio, dopo un conflitto con Boko Haram, i soldati hanno incendiato gran parte delle abitazioni di una cittadina, Baga, nello stato di Borno, distruggendone 2.275, danneggiandone 125 e uccidendo da 187 a 220 persone.

«Misure estreme sono a volte richieste», ha spiegato Bulus Lolo, segretario permanente del ministero degli Esteri nigeriano, annunciando comunque un’inchiesta governativa e un’indagine dell’esercito. In effetti, la presenza di sostenitori di Boko Haram tra la popolazione è uno dei fattori che ne spiegano forza e successi. Il 1° luglio la polizia ha arrestato Babuji Ya’ari, un uomo d’affari, con l’accusa di dirigere una cellula islamista. L’uomo si sarebbe inoltre infiltrato, per spiarne le attività, in uno dei gruppi di giovani volontari che vigilano su mercati, chiese e stazioni di autobus. Tanti, incluse molte donne, sono anche gli informatori al soldo dei jihadisti. Una donna, arrestata in questi giorni, ha rivelato che percepiva 50 dollari al mese per informare Boko Haram dei movimenti dei militari: non è poco in un Paese in cui il 68% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno e  l’80% di chi lavora dispone di meno di due dollari al giorno.