Ebola non è sconfitta e fa ancora paura
Si riparla di Ebola, e non sono buone notizie. Nei giorni scorsi i Medici Senza Frontiere, Msf, hanno annunciato che, per quanto i nuovi casi siano diminuiti, nel complesso da gennaio non lo sono in maniera significativa: l’epidemia continua ed è tutt’altro che sotto controllo. In Guinea Conakry i casi hanno ricominciato ad aumentare.
Si riparla di Ebola, e non sono buone notizie. Nei giorni scorsi i Medici Senza Frontiere, Msf, hanno annunciato che, per quanto i nuovi casi siano diminuiti, nel complesso da gennaio non lo sono in maniera significativa: l’epidemia continua ed è tutt’altro che sotto controllo. In Guinea Conakry, il Paese dell’Africa occidentale in cui l’epidemia ebbe inizio nel dicembre del 2013 e da cui si estese poi alla Liberia e alla Sierra Leone, i nuovi casi, dopo una flessione verificatasi a gennaio, hanno ricominciato addirittura ad aumentare.
In Liberia venerdì scorso, dopo oltre due settimane senza nuovi contagi, la comparsa di un caso ha fatto svanire la speranza che l’epidemia potesse presto dirsi conclusa (siccome il periodo di incubazione di Ebola va da 2 a 21 giorni, un’epidemia si ritiene terminata solo dopo 40 giorni senza nuovi casi – il doppio del tempo massimo di incubazione). La terza cattiva notizia è che in Sierra Leone è certa l’esistenza, ancora, di ammalati non identificati e non assistiti, il che vuol dire che esistono catene di diffusione del virus non individuate, fuori controllo, dal momento che ogni ammalato che non viene isolato è una fonte praticamente certa di contagio. L’ultima notizia riguarda le dichiarazioni fatte alla stampa il 23 marzo da Msf a proposito di quella che l’organizzazione ha definito una «coalizione globale all’inazione» dalle tragiche conseguenze.
Henry Gray, responsabile di Msf per le emergenze, in sostanza ha ribadito l’accusa già mossa in altre occasioni all’Organizzazione Mondiale della Sanità e alle Nazioni Unite, di cui l’Oms fa parte, di non aver ammesso per mesi la gravità di quanto stava accadendo, nonostante l’allarme più volte lanciato da Msf. «Già a marzo e aprile dello scorso anno eravamo del tutto consapevoli di essere di fronte a qualcosa di mai visto prima», ha detto Gray, «e abbiamo fatto di tutto per farlo capire, per portarlo all’attenzione dell’Oms e anche dei governi dei Paesi colpiti. È stato molto frustrante non essere ascoltati tanto più se si pensa che questo probabilmente ha fatto sì che l’epidemia assumesse le proporzioni che sappiamo».
A questo proposito, il dottor Derek Gatherer, della Lancaster University non ha dubbi: «a un esame retrospettivo, oggi è evidente che il ritardo da dicembre a marzo negli interventi è stato determinante per la diffusione del virus in molte aree della Guinea orientale e poi nella capitale Conakry», in Sierra Leone e in Liberia. In effetti, solo Msf aveva capito subito che si trattava di un’epidemia di proporzioni mai viste. Fin da febbraio, poco più di un mese dopo la comparsa di Ebola in Guinea, Msf aveva definito quella in corso una epidemia «senza precedenti». Ancora una volta il 1° aprile 2014 Mariano Lugli, coordinatore di Msf in Guinea, aveva dichiarato: «Ci troviamo di fronte a un’epidemia di vastità mai vista in termini di distribuzione dei casi. La sua diffusione geografica è preoccupante perché complica grandemente il compito delle organizzazioni che cercano di controllarla».
Ma quello stesso giorno l’Oms, tramite il proprio portavoce Gregory Hartl, aveva replicato che invece l’epidemia era «circoscritta in un’area geografica limitata» e che quindi non si trattava affatto di un’epidemia, tanto meno di un’epidemia senza precedenti. Poche settimane dopo l’epidemia si sarebbe rivelata «senza precedenti» anche in termini di vittime, ma l’Oms ha impiegato cinque mesi a riconoscere quanto Msf sapeva fin dall’inizio.
Lo scorso gennaio, durante una delle rare riunioni di emergenza, l’Oms ha ammesso di aver tardato troppo ad agire: «il mondo, inclusa l’Oms», ha detto il direttore generale dell’agenzia Onu, Margaret Chan, «è stato troppo lento a capire quel che stava succedendo sotto i nostri occhi». Ismail Ould Cheikh Ahmed, dal 12 dicembre del 2014 rappresentante speciale per la Missione Onu per la risposta all’emergenza Ebola, Unmeer, si è spinto oltre: da parte nostra, ha ammesso, «c’è stata probabilmente una mancanza di conoscenze e un certo grado di arroganza, ma penso che stiamo imparando la lezione». Peccato che il prezzo della lezione sia troppo alto, intollerabilmente alto. L’ultimo bollettino dell’Oms del 21 marzo porta i morti in Guinea Conakry a 2.261, in Sierra Leone a 3.742 e in Liberia a 4.296. In tutto Ebola finora ha ucciso 10.314 persone.