Ebola, la cattiva coscienza dell'Occidente
Le notizie che provengono dall’Africa Occidentale ogni giorno di più mostrano che l’epidemia di virus ebola attualmente in atto non è ancora sotto controllo. Ma ebola minaccia anche l'Europa? Qualche elemento per capire.
Le notizie che provengono dall’Africa Occidentale ogni giorno di più mostrano che l’epidemia di virus ebola attualmente in atto non è ancora sotto controllo e non sembra vicina la conclusione di questa ennesima tragedia sanitaria che colpisce il continente Africano, un’area del mondo dove la secolare battaglia dell’uomo con i virus è tutt’altro che vinta. Vogliamo partire da questa evidenza per alcune riflessioni che sembrano totalmente assenti dal mondo dell’informazione nel nostro Paese.
Da una parte cresce un allarmismo che gioca su elementi ancestrali nella psicologia umana – il timore dell’”untore”, del contagiatore- che induce a guardare in ogni africano che giunge nel nostro Paese una potenziale fonte di contagio, chiedendo di conseguenza misure fortemente restrittive alla circolazione delle persone. Dall’altra parte c’è qualche organo di informazione che si scatena nella dietrologia, ipotizzando anche l’esistenza di “sieri segreti”, evidentemente prodotti da laboratori altamente specializzati- e si presume militari- che stanno lavorando attorno a questo virus. Ipotesi suggestive, certamente, ma tutte da dimostrare.
Dicevamo invece che l’epidemia di ebola dovrebbe indurre altre riflessioni. In primo luogo, bisogna constatare con grande amarezza che i sistemi sanitari dei Paesi africani si trovano ancora oggi, nel secondo decennio del Ventunesimo secolo, in uno stato di grave arretratezza e disorganizzazione. Ebola, vogliamo ricordarlo, è una forma gravissima di febbre emorragica ad alta contagiosità ed elevatissima letalità (in questi giorni nei Paesi colpiti ha superato il 50%, ovvero più della metà di coloro che si ammalano muoiono), e che ha cominciato a manifestarsi alcuni anni or sono in Africa, quasi contemporaneamente ad un altro virus, forse meno noto al grande pubblico, il marburg, affine all’ebola, e con un tasso di mortalità altrettanto alto.
Ebola sembra essere partito dalle scimmie, come era accaduto inizialmente con il virus dell’HIV, e viene trasmesso attraverso il contatto col sangue e i fluidi organici delle persone contagiate. Con microrganismi di questo tipo, l’arma di difesa prioritaria e più efficace, prima di ogni farmaco o di un ipotetico vaccino- che come sempre accade in questi casi viene invocato a gran voce dall’opinione pubblica- è l’isolamento dei casi, delle persone colpite, e in seconda battuta efficaci misure di igiene personale e ambientale. Purtroppo tutto questo oggi, nei Paesi colpiti, sembra essere molto difficile. Non così nei Paesi dove il virus non circola e dove, ipoteticamente, potrebbe essere introdotto da eventuali portatori, ovvero viaggiatori provenienti da quei Paesi e che abbiano contratto la malattia, venendo in contatto con altri la cattinfetti.
Per questo motivo si sconsigliano i viaggi non necessari in Liberia e in Sierra Leone. E bene ha fatto il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, a tranquillizzare gli italiani dicendo che «Ebola non rappresenta un rischio», avendo da tempo attivato un cordone igienico sanitario alle frontiere, nei porti e negli aeroporti. L'Organizzazione mondiale della Sanità nel frattempo ha convocato una riunione del Comitato per le emergenze con l'obiettivo di accertare se l'epidemia in corso in Africa occidentale possa costituire un’«emergenza di salute pubblica di preoccupazione internazionale» e, nel caso, emanare una serie di misure temporanee per ridurre la diffusione del virus. Per il massimo organismo sanitario mondiale l’epidemia sta avanzando più velocemente degli sforzi fatti per controllarla. Se la situazione continuasse a peggiorare, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche in termine di vite perse, ma anche di danni socioeconomici, in Paesi come quelli africani con economie già decisamente in sofferenza.
E a proposito di fattori economici: dopo i primi focolai epidemici degli scorsi anni che avrebbero dovuto mettere in allarme, la mancanza di fondi e lo scarso interesse delle case farmaceutiche hanno finora rappresentato un ostacolo allo sviluppo di terapie contro questa malattia. L’Oms sta lavorando con le autorità nazionali nei Paesi colpiti, dalla Guinea alla Sierra Leone alla Liberia, evidenziando gravi carenze organizzative che lasciano medici e infermieri allo sbaraglio nell’affrontare questa malattia, con la conseguenza che la mortalità tra gli operatori sanitari è spaventosamente alta. Attualmente, nei tre Paesi, sono in corso impegni per migliorare e rafforzare tutti gli effetti della risposta all’epidemia, inclusi la ricerca dei contatti, informazione pubblica e la mobilitazione della comunità, la gestione dei casi e il coordinamento della prevenzione e del controllo delle infezioni.
I cittadini italiani, e occidentali in genere, possono dunque stare ragionevolmente tranquilli: non dobbiamo aspettarci uno sbarco di ebola con tutto il suo carico di distruzione, ma questo – se non deve quindi scatenare la caccia all’untore- non significa che si possa restare indifferenti a queste epidemie africane, sia per motivi umanitari, sia per le conseguenze che queste periodiche epidemie possono determinare in Paesi già prostrati sotto diversi aspetti, il cui sviluppo è sempre più difficoltoso. Un progetto di crescita del Continente nero non può che partire da qui: dall’investire prima di tutto in salute.