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FINANZA

E ora si faccia subito la riforma di Bankitalia

Le quattro banche ora in pratica fallite  erano da anni in cattive  acque. Ciononostante le autorità di vigilanza non soltanto non sono efficacemente intervenute, ma hanno anzi lasciato che cercassero di coprire i loro debiti vendendo ai loro clienti titoli di credito “tossici”. Invece di volgersi a riformare la Banca d’Italia e chi altro avrebbe dovuto vigilare e non ha vigilato, si brandiscono le mele marce di casa propria come scusa per buttare via le mele buone. 

Politica 15_12_2015
Il Palazzo della Banca d'Italia

C’è il rischio che lo sfruttamento a fini di polemica politica di un fatto tutto sommato secondario, ossia gli otto mesi di permanenza del padre del ministro Maria Elena Boschi nella carica di vicepresidente della Banca d’Etruria, finisca per mettere in ombra la sostanza del caso in questione. La riforma costituzionale all’insegna del centralismo e dello statalismo, di cui il ministro Boschi è il portabandiera (in nome e per conto del premier), merita a nostro avviso di venire combattuta con tutte le forze, e anche noi nel nostro piccolo abbiamo fatto in proposito la nostra parte. Il confronto però è politico e tale deve restare; e sarebbe finalmente tempo di ripristinare senza “se” e senza “ma” quel fondamentale pilastro della civiltà giuridica che è il principio della responsabilità personale. 

La vera questione è un’altra: le quattro banche ora in pratica fallite (non solo la Banca d’Etruria ma anche la Banca delle Marche e le due Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti) erano da anni in cattive  acque. Ciononostante le autorità di vigilanza non soltanto non sono efficacemente intervenute, ma hanno anzi lasciato che cercassero di coprire i loro debiti vendendo ai loro clienti titoli di credito “tossici”. «Forse all’inizio abbiamo svolto con timidezza la nostra funzione di tutela del cliente», ha recentemente ammesso  con candore il direttore generale della Banca d’Italia.  C’è di che restare esterrefatti. Nessuno avrebbe sin qui potuto immaginare che la timidezza stesse di casa alla Banca d’Italia, che trasuda prosopopea sin dalla tronfia facciata del palazzo dove a Roma ha la sua sede.  

Da quando, a seguito della scomparsa della lira, la Banca d’Italia non è più un istituto di emissione, insomma non ha più responsabilità in campo monetario, c’era da credere che, se non altro per ingannare il tempo, si dedicasse a tutta forza alla funzione che le è rimasta, ovvero la vigilanza sugli istituti di credito. La vicenda della quattro banche di cui sopra induce a qualche dubbio al riguardo. S’infittisce allora il mistero su come passi la giornata il suo personale, i cui livelli salariali sono tra l’altro di gran lunga più alti di quelli del resto della pubblica amministrazione italiana.

Se alla rovinosa crisi di queste banche si somma poi quella ancor più rovinosa del Monte dei Paschi di Siena, vicino di casa dell’aretina Banca d’Etruria, si aggiunge al quadro pure un’altra doverosa pennellata: quattro di questi istituti di credito su cinque sono radicati in aree storicamente “rosse”, ai cui vertici si poteva salire soltanto se si era graditi al Pci e più tardi ai partiti suoi eredi.  Eccoci allora di fronte a un dato di fatto che merita qualche riflessione. Salvate la quattro banche dal fallimento lo scorso 22 novembre grazie a un apposito generoso decreto, il governo Renzi, la cui principale risorsa è il generale sostegno di tutti i giornali e i telegiornali che contano, aveva ottenuto che la vicenda restasse coperta da una coltre di silenzio. 

Pochi giorni or sono però tale silenzio è stato inaspettatamente rotto dalla notizia del suicidio di un pensionato di Civitavecchia il quale aveva investito ogni suo risparmio nelle “obbligazioni subordinate” di uno di questi istituti di credito. Sull’onda dell’emozione, anzi dello sdegno suscitato dalla vicenda il governo sta tentando adesso una patetica via d’uscita “umanitaria”. Tra i circa 12.500 possessori di tali obbligazioni divenute carta straccia si stanno individuando i casi pietosi, che sembra ammontino a 1010, di piccoli risparmiatori che avendo investito ogni loro avere in tali titoli hanno perso tutti i loro risparmi. Costoro verrebbero rimborsati al 100 per cento per motivi appunto “umanitari” con fondi statali. Resta poi da capire con quali argomenti giuridici si potrebbe negare anche agli altri il medesimo trattamento.

A parte questa triste mascherata, il cui esito finale è al momento imprevedibile, e senza pregiudizio per le comprensibili aspettative delle vittime del dissesto delle quattro banche, in linea generale la cosa più preoccupante è la riforma del credito cui sullo spunto di queste vicende il governo Renzi sembra pensare. Una riforma che -- ancora una volta in armonia con il centralismo e lo statalismo che caratterizza questo governo -- è innanzitutto all’insegna della guerra al credito cooperativo, alle banche popolari di medie dimensioni, agli istituti comunque con un radicamento regionale.

Invece di volgersi a riformare la Banca d’Italia e chi altro avrebbe dovuto vigilare e non ha vigilato, si brandiscono le mele marce di casa propria come scusa per buttare via le mele buone: e in primo luogo le mele buone che hanno il grave difetto di essere maturate in casa d’altri.  Si punta insomma a scardinare tutto ciò che è di ostacolo alla conquista del mercato creditizio italiano da parte di grandi gruppi bancari internazionali.