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LUCI ROSSE

E ora il Pd vuole riaprire le case chiuse

Non più un quartiere a luci rosse all'Eur di Roma, ma una legge che riapra le case chiuse e regolarizzi la prostituzione. Lo annuncia la parlamentare del Pd Monica Cirinnà che ha presentato una proposta di legge dove la prostituzione è riconosciuta come un lavoro regolarmente tassto. 

Cronaca 13_02_2015
Il sindaco di Roma Ignazio Marino

É la norma che regola ogni negoziato: puntare in alto – o spararla grossa, a seconda dei casi – per poi raccogliere un risultato “intermedio”, frutto della mediazione, che è invece il vero obiettivo della trattativa. Dev’essere andata così a Roma sulla vicenda della creazione all’Eur di una zona “a luci rosse”, un’area di tolleranza della prostituzione, sullo stile di quella presente ad Amsterdam, capitale olandese. L’annuncio dato la settimana scorsa dal sindaco Ignazio Marino, insieme al presidente del IX Municipio Andrea Santoro, aveva suscitato lo sdegno del mondo cattolico, la minaccia di un esposto alla Procura di Roma contro il primo cittadino da parte di Forza Italia, lo stop del prefetto Giuseppe Pecoraro, che aveva parlato di «favoreggiamento e induzione alla prostituzione», di colpo trasformata in una pratica lecita, e, non ultimo, un certo disorientamento nel Pd, partito di appartenenza del sindaco e del minisindaco.

Ecco allora la convocazione last minute dei dem romani da parte del neo Commissario e presidente nazionale Matteo Orfini, con l’obiettivo di discutere del tema e trovare una linea comune: approvare l’iniziativa capitolina oppure bocciarla? Delle due nessuna, è emerso al termine del mini vertice al Nazareno, perché, di fatto, il progetto di istituzione della zona a luci rosse non è stato archiviato, ma solo sospeso, e perché nel frattempo si è trovato il consenso su una serie di misure a dir poco incoerenti. Se da un lato il partito ha deciso di promuovere l’inasprimento delle leggi di contrasto alla prostituzione, dall’altro si approccia al dramma delle donne schiave della strada come ad una professione da regolamentare. 

«La prostituzione è sinonimo di sfruttamento e schiavitù. È un fenomeno che non va governato, ma contrastato. Bisogna intervenire alla radice del problema colpendo le filiere criminali e garantendo assistenza e sostegno alle vittime», dice Orfini al termine del summit, annunciando il “rifinanziamento del progetto Roxanne”, nato per sostenere le donne che coraggiosamente scelgono di denunciare i loro aguzzini, e accantonato nel 2010 per mancanza di fondi. Naturalmente, aggiunge il presidente del Pd, «il problema non può essere affrontato solo a livello di enti locali, ma serve un salto di qualità ed un impegno inter-istituzionale condiviso, a partire da uno sforzo ulteriore e indispensabile da parte del ministero dell'Interno, della prefettura di Roma, delle forze dell'ordine per contrastare lo sfruttamento della prostituzione. Chiederemo poi l'impegno del governo nell'incrementare i fondi per il contrasto alla tratta e rendere operativo il piano nazionale antiviolenza». Parole sante, diremmo, finalmente una dichiarazione che boccia ogni piano di regolamentazione e rilancia un’azione di contrasto decisa. 

In realtà, fra le righe qualcosa non torna, e lo si capisce dalle dichiarazioni dei convitati. A partire da quelle del minisindaco Santoro che ritratta il progetto del quartiere a luci rosse, ma nel contempo si dice entusiasta: «In quattro giorni siamo riusciti a fare quanto non si era fatto in quindici anni. È stato fatto un capolavoro: dalla messa all'ordine del giorno del Senato di una proposta di legge contro la prostituzione, alla giunta capitolina che ha deciso di rifinanziare Roxanne, dalle forze dell'ordine che si stanno muovendo e bene, al Municipio e al territorio in prima linea». Beh, avrà cambiato idea, si potrebbe pensare. Magari spinto dal nuovo corso “centrista” del Pd renziano: trasformare Roma in un bordello a cielo aperto, ad una fermata d’elicottero dal Vaticano, non sembrava evidentemente opportuno, e con argomenti convincenti il leaderino avrà ceduto. «Non era una boutade, noi non ci fermiamo. La nostra è una proposta concreta, e ad aprile metteremo in campo il nostro progetto per liberare l'Eur dalla prostituzione», tuona Santoro annunciando l’avvio a breve di un non meglio definito progetto di «educazione sentimentale nelle scuole». 

Ma a chiarire meglio i contorni della faccenda ci pensa la parlamentare dem Monica Cirinnà – relatrice, tra l’altro, del contestato ddl sulle unioni civili – che annuncia che «è stata calendarizzata nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato una proposta di legge a firma Spilabotta e Cirinnà che prevede che la prostituzione venga riconosciuta come un lavoro. In questo modo – spiega la senatrice - le sex worker potranno esercitare in luoghi pubblici e privati senza essere perseguiti e dovranno rilasciare una ricevuta». Da consegnare magari al fisco per il conteggio delle tasse, trasformando così le ex prostitute da schiave in contribuenti. Questa si che non è una boutade, ma una “proposta di legge contro la prostituzione” targata Pd. 

Ma non è tutto. Rincara la dose l'assessore capitolino alle Politiche sociali, Francesca Danese, secondo cui «il problema sarà proposto non solo come politiche di sicurezza, ma in modo complessivo, con un'azione di sistema» che prevede tra l’altro il ritorno alle «case protette». In sostanza - al netto di chiarimenti e cambi di rotta dell’ultim’ora - tornando ai nostri negoziati, se l’obiettivo reale non era trasformare l’Eur in un quartiere a luci rosse, quantomeno il polverone suscitato sembra voler promuovere - dentro e fuori il Parlamento - un dibattito teso a “normalizzare” il fenomeno della prostituzione, con una presunta “regolamentazione” e con la pretesa di usare le parole (sex worker) e le norme per trasformare la natura dei fenomeni sociali. 

Magari raccontando che vendere il proprio corpo è un lavoro come gli altri, che le prostitute non sono schiave ma libere e consapevoli imprenditrici di se stesse, che i clienti non sono sfruttatori ma semplici acquirenti, che il mercato della strada non è un lurido suk ma una boutique del piacere. Vista al maschile, una siffatta narrazione libera la coscienza da ogni responsabilità. Vista al femminile, ha tutta l’aria di un drammatico corto circuito, la lettura modernista di un femminismo malinteso, sfigurato, violentato. Vista da qui, il pericolo da scongiurare è quello di una mistificazione della realtà: in gioco c’è la dignità della persona umana e la qualità del vivere civile.