E in Sudafrica scoppia la rivolta contro gli immigrati
Sette morti, decine di feriti, centinaia di case distrutte e saccheggiate. È il primo bilancio dei gravi attacchi contro i lavoratori stranieri, accusati di togliere il lavoro agli autoctoni. Una violenza appoggiata da molti politici, che così distolgono l'attenzione dalla corruzione di cui sono responsabili.
Cosa a quanto pare poco nota, la maggior parte degli africani in cerca di lavoro lasciano il loro paese per emigrare in altri stati africani. Non sempre e non tutti vengono bene accolti e sono ben visti. Da quasi un mese un’ondata di violenza xenofoba ha colpito le comunità degli africani immigrati in Sudafrica. Le prime avvisaglie si sono avute il 29 marzo quando alcuni cittadini della Repubblica Democratica del Congo sono stati aggrediti in una cittadina non lontana da Durban.
Nei giorni successivi attacchi e aggressioni si sono verificati anche a Durban e poi la violenza si è rapidamente estesa ad altre città. Si contano finora almeno sette morti e decine di feriti. Centinaia di negozi, abitazioni e proprietà di immigrati sono state saccheggiate, distrutte, date alle fiamme. Circa 5.000 immigrati si sono rifugiati in alcuni campi di raccolta improvvisati, sperando nella protezione delle forze di sicurezza. Altri, a migliaia, hanno ritenuto più prudente lasciare il paese, disposti a partire anche a piedi, se necessario.
Non è la prima volta che succede. In Sudafrica episodi di xenofobia si ripetono periodicamente. Uno dei più cruenti risale al 2008 quando 62 stranieri furono uccisi e per settimane migliaia di immigrati vissero nella paura, concentrati in campi allestiti per accoglierli e proteggerli.
Le ragioni della violenza sono sempre le stesse: povertà, tensioni etniche e, soprattutto, il lavoro che manca. Nonostante le promesse a ogni appuntamento elettorale – mezzo milione, un milione di posti di lavoro! – ormai la disoccupazione è al 24% secondo stime governative e, in realtà, è ancora più elevata. La gente si convince allora che sia colpa degli stranieri che tolgono il lavoro agli autoctoni. In Sudafrica ufficialmente gli immigrati sono due milioni, pari al 4% circa della popolazione, ma dati non ufficiali portano le presenze straniere a cinque milioni. Comunque sia, la rabbia e il risentimento dei sudafricani non si concentrano come ci si potrebbe aspettare sugli immigrati irregolari, inattivi, che vivono di espedienti e di attività criminali, che effettivamente pesano sulla collettività e costituiscono una minaccia, bensì su quelli che lavorano, integrati e ben inseriti: proprio per questo vengono accusati di togliere il lavoro ai locali.
“Le comunità congolesi, somale ed eritree sono molto industriose – spiegava nei giorni scorsi monsignor Barry Wood, vescovo ausiliare di Durban – e per questo diventano vittime della rabbia e della frustrazione degli abitanti del posto”.
Invece di contrastare questo atteggiamento ostile, ingiusto, molte personalità politiche lo incoraggiano. A oltre 20 anni dalla fine del regime di apartheid, caduto nel 1994, le speranze della popolazione nell’avvento di una nuova era, all’insegna del progresso e della giustizia sociale, sotto la guida di una leadership nera, continuano a essere tradite e deluse. Malgoverno e corruzione sfrenata impediscono che la crescita economica si traduca in sviluppo umano, consolidato e diffuso. La gente lo capisce.
Tutti in Sudafrica sanno, ad esempio, che il presidente Jacob Zuma ha speso milioni di denaro pubblico per abbellire e ammodernare la propria casa di famiglia con la scusa di renderla sicura in occasione di visite ufficiali di capi di stato stranieri. Eppure, almeno in certi contesti e in certi momenti, dirottare la colpa dei problemi che affliggono il paese sugli stranieri, stornando l’attenzione dalle responsabilità della classe politica, risulta efficace: contro ogni logica, dal momento che i capri espiatori diventano proprio le persone che con il loro lavoro giovano al Sudafrica, ne fanno crescere il Prodotto interno lordo.
A scatenare la violenza di questi giorni difatti sono state le dichiarazioni di uno dei figli del presidente Zuma e del re degli Zulu, Goodwill Zwelithini. Entrambi il mese scorso hanno detto pubblicamente che manca lavoro per colpa degli stranieri. Testualmente, il re Zulu ha dichiarato: “È ora che facciano i bagagli e se ne tornino a casa loro”. Pochi giorni dopo iniziava la caccia allo straniero.
Solo due giorni fa il presidente Zuma ha finalmente preso la parola per condannare le violenze e il re Zulu, davanti a migliaia di persone convenute nello stadio di Durban, ha affermato di essere stato frainteso. Ma una parte del pubblico ha protestato vivacemente sentendo dire che gli stranieri hanno diritto a vivere in Sudafrica. Sono state inoltrate delle proteste diplomatiche da parte di alcuni governi africani, dimostrazioni popolari contro la xernofobia sono in corso in Sudafrica, Mozambico e Malawi. Il ministro della difesa sudafricano ha annunciato che l’esercito verrà inviato a pattugliare una township di Johannesburg e alcuni punti “caldi” nella provincia di KwaZulu-Natal dove si sono verificati gli incidenti più gravi.
Intanto si apprende da Obed Mlaba, Alto Commissario del Sudafrica presso il Regno Unito, che l’attuale violenza xenofoba è tutta colpa dell’apartheid: “Il Sudafrica – ha dichiarato il 21 aprile nel corso di un’intervista alla BBC – ha una storia di democrazia recente, solo 20 anni, e non si è integrato al resto del continente africano a causa dell’isolamento in cui l’ha costretto fino al 1994 la sua storia”.