E in Europa nasce l'asse Pd-M5S. Si ripeterà in Italia?
L'elezione della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen ha una ricaduta immediata sulla politica italiana: all'Europarlamento i Cinque Stelle e il Pd hanno votato assieme, contro la Lega. Già in altre commissione questa inedita alleanza si era formata. E fra gli alleati di governo gli argomenti di disaccordo aumentano
Si vociferava da tempo che nelle commissioni parlamentari e in altri contesti istituzionali ci fossero alcune manovre di avvicinamento tra Pd e Cinque Stelle. Anche in Rai si erano verificate sorprendenti convergenze tra dirigenti dem e dirigenti pentastellati, ad esempio in occasione delle votazioni sul doppio incarico al Presidente Marcello Foa.
Ora un inedito asse tra quelle due forze politiche sbarca a Strasburgo e si rivela decisivo per l’elezione della nuova Presidente della Commissione europea. Alla fine Ursula von der Leyen, per un pugno di voti, solo 9 in più rispetto alla maggioranza di 374 nell’aula del Parlamento europeo, l’ha spuntata. Determinanti quindi i 14 voti degli eletti del Movimento Cinque Stelle, inizialmente non scontati nel computo dei sì. Sono mancati 48 voti alla somma di Ppe, socialisti e liberali, che avrebbero dovuto essere 444, ma si sono aggiunti quelli di altre forze populiste e sovraniste, tra cui i pentastellati.
Si tratta di un esito a sorpresa. La maggioranza che ha eletto la presidente tedesca è comunque europeista, sebbene con tante defezioni tra i socialisti. I sovranisti del gruppo ‘Identità e democrazia’, da Salvini a Le Pen, sono fuori. Dopo infinite trattative e altalene, la Lega vota no. Il premier Giuseppe Conte e il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio difendono la scelta di von der Leyen, mentre il Carroccio attacca: «Il nostro voto è coerente col nostro programma. Invece è gravissimo l’asse Renzi-Cinquestelle in Europa!». Marco Zanni, capogruppo dei sovranisti di Identità e democrazia, spiega il voto contrario con la caratterizzazione di sinistra del discorso della von der Leyen. La verità è che Zanni e i suoi non avevano ottenuto dalla von der Leyen garanzie né sul programma né tanto meno sul commissario, con portafoglio pesante (concorrenza, commercio o industria) e quindi hanno votato contro.
A questo punto è assai improbabile che Giancarlo Giorgetti riesca a diventare commissario europeo. La Lega e i suoi pochi alleati in Europa sono deboli numericamente e probabilmente non in grado di imporre un loro uomo. Ora la von der Leyen avrà buon gioco nel negoziare il nome del nuovo commissario italiano direttamente con il premier Giuseppe Conte, che ha peraltro dichiarato di aver apprezzato il suo discorso. Probabile la nomina di un commissario decisamente più europeista di Giorgetti. Si fa il nome dell’attuale Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Ma i riflessi maggiori di questa divisione tra Lega e Cinque Stelle in Europa potrebbero aversi sul governo nazionale. In campagna elettorale Matteo Salvini e Luigi Di Maio, pur divisi su tanti temi, erano uniti nella battaglia “per cambiare l’Europa” e “mandare a casa i burocrati di Bruxelles”.
Con la votazione in favore della von der Leyen i Cinque Stelle strappano e si mettono dalla parte degli europeisti, tradendo un po’ le promesse elettorali. Che questo possa anche offrire alla Lega il pretesto per rompere l’asse di governo non è da escludere. Tanto più che questa contrapposizione tra alleati è l’ennesima nelle ultime ore, considerati tutti gli altri fronti aperti, dal Russiagate alla Tav, dalla revoca delle concessioni autostradali a Benetton alla flat tax, senza dimenticare le frizioni sull’autonomia differenziata. Nelle file del Carroccio, il fronte granitico pro-elezioni anticipate potrebbe tuttavia sgretolarsi di fronte al pericolo, percepito da alcuni esponenti leghisti, di un asse tra Lega e Pd anche per un Conte-bis. Forza Italia, che non a caso ha apprezzato il discorso della nuova Presidente della Commissione europea, potrebbe anche accettare di far parte di un esecutivo istituzionale filo-europeista o limitarsi a dargli un appoggio esterno che consenta alla legislatura di proseguire. Matteo Salvini appare isolato in Europa e in grosse difficoltà in Italia, anche a causa del Russiagate, che rimane un affare dagli esiti nebulosi. Lui è restio ad andare in Parlamento a riferire sugli incontri del suo ex portavoce Gianluca Savoini a Mosca, ma è incalzato dal premier Conte, che invece ha già annunciato che riferirà alle Camere proprio per rispetto delle forze politiche che hanno chiesto chiarimenti al governo. Anche il Presidente della Camera, Roberto Fico, da sempre anti-Salvini, ha sottolineato che il Ministro dell’Interno deve chiarire in aula e dunque non può sfuggire ai suoi doveri istituzionali.
Per ora il segretario del Pd, Nicola Zingaretti continua a sostenere che in questa legislatura può esserci solo questo governo e che in caso di caduta dell’esecutivo Conte non ci sarebbe altra strada se non le urne anticipate. Ma siamo proprio sicuri che di fronte a un richiamo del Presidente della Repubblica al senso di responsabilità di tutte le forze politiche i dem si tirerebbero indietro e rifiuterebbero di stringere un accordo di governo anche con i Cinque Stelle?