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IL CASO

È contraria al Ddl Zan: madre messa alla gogna da Lgbt

11 luglio, una madre decide di partecipare a Restiamo Liberi e ne spiega i motivi sui social. Un giovane omosessuale la contatta in privato e, nel giro di poche ore, scatta la gogna contro la donna prima su Instagram e poi sui media, che gridano all’“omofobia”. Organizzazioni Lgbt in campo per sfruttare il clima politico e lei che teme per l’incolumità della famiglia. Una vicenda surreale.

Attualità 21_07_2020

Non è stata ancora approvata la legge sulla cosiddetta “omofobia”, ma per qualcuno il reato d’opinione in tema di omosessualità esiste già. E così una professionista (avvocato) e madre di famiglia viene messa alla gogna per aver fatto presente sui social network che chi si ritrae in atteggiamenti inappropriati, sia che si tratti di una coppia omosessuale sia uomo-donna, non dovrebbe svolgere professioni a contatto con l’infanzia. Riferiamo in sintesi la vicenda.

È sabato 11 luglio e a Mantova, tra le 17 e le 18, si svolge una delle numerose veglie previste per quella giornata in diverse città italiane nell’ambito di Restiamo Liberi, l’iniziativa per mettere in guardia sulla portata liberticida del Ddl Zan. La donna, oggi accusata di “omofobia” da diversi media e attivisti Lgbt, vi partecipa. E a fine veglia, similmente a quanto fatto nei giorni precedenti, spiega sui social i motivi della sua partecipazione. Riceve allora in privato, su Instagram, un messaggio di un giovane ventitreenne con tendenze omosessuali, di nome Alessio Madella, che si definisce educatore al Cres e al Grest. Lei non lo conosce, controlla chi sia, vede delle foto sue e del suo compagno in cui i due si baciano, ed esprime a Madella la sua contrarietà rispetto a tale ostentazione. Poi decide di bloccarlo.

Finisce tutto lì? No. Un altro utente di Instagram pubblica un post in cui indica il profilo - completo di nome, cognome, professione e foto - della donna, esortando così i propri follower: «Rega andate a segnalare il profilo di quest’omofoba». Seguono tre faccine vomitanti.

La mamma-avvocato riceve una serie di insulti e intimidazioni, e si vede costretta - per evidenti ragioni di sicurezza - a rendere privata la propria pagina su Instagram. È qui che intanto manifesta in generale - senza fare riferimento all’ormai bloccato Madella - il proprio pensiero, a volte espresso in modo colorito (come nella circostanza in cui ha usato un generico “froci”, termine che peraltro è adoperato da non pochi attivisti Lgbt e romanescamente dalla stessa paladina delle “unioni civili” Monica Cirinnà) e poi ripreso con grande enfasi su alcuni media. Afferma per esempio che «per mio conto gente che si slingua e si pubblica con persone dello stesso sesso e che ne dà pubblicità non dovrebbe stare a contatto con bambini nelle scuole». Aggiunge anche di pensare lo stesso per ostentazioni di questo tipo riguardanti un uomo e una donna. L’altra sua grande ‘colpa’ è aver ricordato che fino a 30 anni fa la stessa Oms catalogava l’omosessualità tra i disturbi psichici, e che in sostanza omosessuali non si nasce, ma si tratta di un disagio da cui si può venir fuori.

In breve, la signora ha espresso considerazioni che oggi sono ritenute tabù dalla cultura dominante. Ed è finita subito nel tritacarne mediatico. Infatti, domenica 12 luglio, quindi poche ore dopo il messaggio privato ricevuto da Madella, compare un articolo su Neg Zone – un sito di tematiche Lgbt – in cui si punta il dito contro le «considerazioni omofobe» della donna. Della vicenda si occupano poi altri giornali, sia nazionali che locali, tra cui la Gazzetta di Mantova, che dedica alla questione più articoli. Uno di questi porta la data del 14 luglio e reca la pubblica infamia dell’omofobia già nel titolo: Gli avvocati mantovani contro la collega omofoba: «L’uguaglianza al primo posto». Nell’articolo in questione si dà notizia di un duro comunicato che sarebbe stato diffuso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Mantova - del quale nel momento in cui scriviamo non troviamo traccia nel sito dello stesso Ordine - e si riporta una dichiarazione della presidente Maria Chiara Messora (vedi qui).

Come se non bastasse, il 15 luglio la mamma-avvocato viene contattata telefonicamente dal duo della trasmissione radiofonica La Zanzara - Giuseppe Cruciani e David Parenzo - e anche qui messa alla berlina per le sue idee.

In tutto questo, il giovane Madella ha reso noto di essersi rivolto all’associazione Athena per avviare una causa legale perché si sente “screditato” dalla signora. A suo supporto sono scesi subito dopo in campo diversi personaggi in vista dell’universo Lgbt come Wladimiro Guadagno detto Luxuria e gli avvocati di Gay Lex Cathy La Torre e Michele Giarratano, quest’ultimo noto per essere il compagno dell’ex senatore del Pd Sergio Lo Giudice, con cui ha fatto ricorso per due volte alla barbara pratica dell’utero in affitto.

E non è ancora tutto, perché per il tardo pomeriggio di domani è prevista a Mantova una manifestazione organizzata da Arcigay, a cui hanno aderito anche altre associazioni che intendono, come riferisce una cronaca locale, «supportare Alessio e tutti coloro che subiscono discriminazioni». Sarà un’altra occasione per gettare fango su chi la pensa in modo diverso?

La cosa che lascia sconcertati è che i resoconti di questi giorni hanno dipinto il giovane Madella come la vittima della situazione, cioè colui che sarebbe stato “preso di mira” dalla donna contraria al Ddl Zan, quando invece è proprio lei a essere stata provocata in privato, associata alle «persone prive di cervello» e quindi divenuta oggetto di una persecuzione via social e mediatica che oggi le fa temere - a ragione del clima che si respira in parte del paese del Mantovano dove vive - per l’incolumità propria e della propria famiglia.

Inoltre, sottolinea uno dei legali della donna, «il giovane Madella non è nemmeno educatore: per esserlo occorre avere dei titoli, che lui non ha, dal momento che di lui risulta un diploma in una scuola alberghiera ma non una laurea in Scienze dell’educazione».

La questione è certamente diventata più grande dello stesso giovane che l’ha innescata, come dimostra la rapidità con cui le organizzazioni Lgbt sono piombate sul caso per sfruttarlo politicamente. E, insieme a Lizzano, conferma il regime d’intolleranza verso il pensiero pro-famiglia naturale che l’eventuale approvazione del Ddl Zan non potrà che aggravare.

Se già oggi si verifica una gogna simile, che succederà un domani - con il Codice Penale modificato - a un sacerdote che per esempio non volesse affidare il ruolo di catechista o educatore in parrocchia a una persona che si dichiara gay e dunque rigetta l’insegnamento della Chiesa? O a una madre che per motivi simili declina la candidatura a babysitter di un sedicente trans o altro militante Lgbt? È una libertà che, già adesso, vacilla.