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Duecento anni fa l'incendio della Basilica Ostiense

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A due secoli dall'evento che sconvolse Roma. La mobilitazione per ricostruire il tempio dedicato all'Apostolo giunse fino allo zar. Un'impresa che continua ai giorni nostri, passando per l'Anno Paolino celebrato durante il pontificato di Benedetto XVI.

Cultura 19_07_2023

San Paolo fuori le Mura ricorda che proprio duecento anni fa, nella notte del 15 luglio 1823, un furioso incendio distrusse la bellissima monumentale basilica del IV secolo. Era stata eretta dall’imperatore Teodosio e completata dal figlio Onorio su quella costruita da Costantino proprio sulla tomba dell’Apostolo Paolo. Ed era stata la più grande chiesa di Roma fino alla ricostruzione di San Pietro.

Roma ne fu sconvolta tanto da considerare da allora l’evento come una pagina indimenticabile della sua storia. Non ha atteso nemmeno il bicentenario per la rievocazione, cominciata “un anno prima”, nel giugno e luglio 2022, ad opera di illustri docenti, storici e studiosi, per iniziativa dell’Università Roma Tre, privilegiata vicina della Basilica Ostiense. Tanto che l’attuale Arciprete, cardinale James Michael Harvey, ha promosso una importante Giornata di studio e di rievocazione  per il 17 novembre prossimo, nel contesto di varie manifestazioni commemorative, sia religiose (quella ecumenica l’11 luglio scorso), sia culturali ( come il concerto del 16 settembre della Banda del Governatorato della Città del Vaticano).  

L’incendio è stato “vivisezionato” da cronisti dell’epoca – illustri come Stendhal che lo descrisse «di cupa bellezza, triste come la musica di Mozart» – architetti e storici. Come si legge da una cronaca credibile dell’accaduto erano stati avviati quel mese dei lavori di riparazione del tetto e delle grondaie per danni causati da infiltrazioni di acqua. Due stagnari dopo che ebbero finito di «porre i canali di rame alle grondaje del tetto della grande navata, situata all'occidente», poiché era già notte interruppero il loro lavoro per tornare a casa lasciando sul tetto la padella con i tizzoni che credevano di aver spento. Probabilmente bastò un vento leggero a far ribaltare la padella e le braci, non completamente spente, caddero sul tetto arrivando sino alle travi di legno.

L'incendio divampò solo poche ore prima dell'alba e a vederlo per primo fu un buttero, Giuseppe Perna, che sorvegliava le vacche al pascolo sul prato presso il monastero. Egli corse ad avvisare il fattore dei monaci benedettini ma a dare l'allarme furono due chierici che, dopo avere invano cercato di arginare il fuoco «con sommo rischio della loro vita», ricorda la cronaca, «si recarono sul campanile per suonarvi le campane a martello, onde sollecitare aiuto». I monaci erano assenti perché d’estate, a causa del caldo e dei pericoli di malaria, si trasferivano nel palazzo di San Callisto a Trastevere. I pompieri, partiti con tre carri attrezzati dalla caserma di piazza sant’Ignazio – al comando era il marchese Origo – giunsero quasi due ore dopo, quando le fiamme erano ormai difficili da domare.

Riuscirono a impedire che si estendessero al Monastero e al Chiostro cosmatesco. Racconta la cronaca che in cinque ore di fuoco «delle 40 colonne della navata centrale caddero a terra quelle centrali del lato sinistro, trascinate dal peso del muro su cui erano ricadute le tegole una volta bruciate le travi. Tutto il lato sinistro della basilica ebbe gravi danni sia alla navata di mezzo che a quella più esterna, parecchie colonne erano calcinate, mentre le navate di mezzo a destra ebbero danni molto meno gravi». Si salvarono il transetto, il famoso Ciborio di Arnolfo di Cambio, l’altrettanto prezioso candelabro gotico, l’abside e i suoi celebri mosaici, l’Arco trionfale che ancor oggi ostenta la bellissima iscrizione-dedica : Teodosius Cepit, Perfecit Onorius Aulam Doctori Mundi Sacratam Corpore Pauli.   

Per volere del Segretario di Stato Ercole Consalvi non ne fu informato papa Pio VII (Barnaba Chiaramonti). Era gravemente infermo al Quirinale per una caduta avvenuta il 6 luglio, che gli aveva provocato la frattura del femore. Morì il 20 agosto,  e subito divampò un vasto dibattito sul restauro “storico” o “filologico” a cui pose fine, due anni dopo, il suo successore Leone XII (Annibale della Genga). La sua enciclica Ad plurimas nel promuovere una mobilitazione mondiale si pronunciò per il rifacimento della Basilica «fedele a come era stata costruita». E fu un successo in tutta la Cristianità: ancor oggi si ricordano i contributi dello zar Nicola I di Russia con i doni di malachite e di lapislazzuli e del re d’Egitto Fuad I con quelli di alabastro.    

Di questa mobilitazione mondiale nel nome di San Paolo se ne sarebbe ricordato papa Benedetto XVI facendo propria la richiesta del primo cardinale arciprete della Basilica da lui nominato  nel 2005 , Andrea Cordero Lanza di Montezemolo: cioè il giubileo dell’Anno Paolino nel bimillenario della nascita dell’Apostolo. Un evento svoltosi dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 che ha coinvolto nello stesso periodo di tempo, e come non mai, proprio tutta la Cristianità: condiviso infatti, con la partecipazione alla cerimonia di apertura del Patriarca ecumenico Bartolomeo I, quindi celebrato da tutte le Chiese ortodosse e protestanti.

E fu l’occasione perché il cardinale di Montezemolo, che non solo era dottore in filosofia e teologia, diplomatico pontificio (il “Nunzio storico” di papa Giovanni Paolo II in America Latina e a Gerusalemme)  – e prima di seguire la vocazione religiosa era stato architetto ed assistente del celebre prof. Marcello Piacentini nella Cattedra di Scienza delle Costruzioni alla Sapienza  –, completasse la ricostruzione della Basilica in cui si erano cimentati nei secoli illustri professionisti a cominciare da Pasquale Belli e Luigi Poletti e sulle loro orme. fra gli altri, Arnaldo Foschini. E curasse la revisione e il restauro necessari.  Di questo suo impegno ha lasciato testimonianza in una sua “Memoria” che , con prefazione del suo amico, il vescovo Giuseppe Sciacca, è stata appena pubblicata dall’editore Borgia di Roma. Completata anche da una biografia, introduzione e postfazione (tre miei contributi di suo più vicino collaboratore per la comunicazione) e dalle testimonianze di familiari, cardinali e  personalità religiose.  

Oggi la Basilica conserva la stessa monumentalità e spazialità del IV secolo: 131 metri di lunghezza, 65 di larghezza, e quasi 30 di altezza. Dispone di ampi servizi per i pellegrini e di manufatti architettonici a protezione dei resti della Basilica romana (soprattutto capitelli) e degli scavi archeologici nonché di uffici amministrativi e depositi; è pure contigua di una nuova sezione dell’Ospedale pontificio “Bambino Gesù”. Oltre ad essere la seconda chiesa più grande di Roma, svolge un ruolo importante sia in chiave apostolica che ecumenica.

Ed infatti il libro ha per titolo Il sogno dell’Ecumenismo perché evoca la trasformazione del Battistero della Basilica, fatta da Montezemolo, in emblematica cappella ecumenica: vicina alla tomba dell’Apostolo e pronta perché un giorno i sacerdoti ortodossi vi possano celebrare la Divina Liturgia. Proprio come nella Pontificia Basilica di San Nicola di Bari.              



l'eredità di Benedetto XVI

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