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Draghi e i partiti: la luna di miele sta finendo

Mario Draghi è ancora molto popolare fra gli italiani. Ma si è già incrinato il suo rapporto con i sindacati, che sono preoccupati per la prossima riforma delle pensioni. E sta finendo la luna di miele con i partiti che lo sostengono in parlamento. Eletto il presidente, si entrerà in campagna elettorale e c'è da attendersi l'assedio al premier.

Editoriali 28_10_2021
Mario Draghi

La luna di miele tra Mario Draghi e gli italiani, stando ai sondaggi degli ultimi giorni, prosegue con pochi tentennamenti. Il premier gode di una credibilità indiscussa in ampi strati della società, oltre che all’estero, ma sta perdendo terreno tra i partiti e tra le forze sociali. Mentre Confindustria, se potesse decidere a nome di tutti gli italiani, preferirebbe un Governo Draghi per i prossimi dieci anni, senza neppure passare per le urne, fedele com’è a un decisionismo efficientista che considera l’unico approccio giusto alla ripresa post-pandemia, le forze politiche e i sindacati mostrano crescenti segnali di insofferenza al “metodo Draghi”.

Il clima del negoziato tra Governo e parti sociali per definire i contenuti della legge di bilancio si è surriscaldato. Draghi è abituato a decidere non a mediare, quindi è poco avvezzo ai compromessi che Cgil, Cisl e Uil vorrebbero imporgli sulle pensioni. Infatti la rottura è a un passo ed è assai probabile che si arrivi a uno sciopero perché le organizzazioni sindacali temono che la manovra voluta dall’esecutivo finisca per penalizzare il lavoro, rendendolo ancora più precario e imponga altri sacrifici a chi sta per andare in pensione. In effetti le bozze di riforma del sistema pensionistico che girano a proposito di Quota 102 e Quota 104 somigliano tanto alla vituperata Legge Fornero e dunque lo spettro di un ritorno a scenari considerati apocalittici per gli over 65 appare concreto.

Al di là delle trattative in corso su riforma del sistema pensionistico, cuneo fiscale, reddito di cittadinanza, bonus e altri aspetti controversi della manovra, occorre riflettere sulla frattura generazionale che potrebbe crearsi se le misure adottate dal Governo dovessero finire con il penalizzare le nuove generazioni che si affacciano, tra mille incertezze, sul mercato del lavoro o, viceversa, se dovessero appesantire la situazione di chi ha già raggiunto i requisiti per andare in pensione e ora vede svanire il sogno dell’agognato riposo.

La coperta, come si dice in questi casi, è sempre molto corta, nonostante il Pnrr, anzi soprattutto a causa degli aiuti europei, che arrivano solo se uno Stato come l’Italia, fortemente indebitato, dimostra di mettere in campo misure energiche ed efficaci per ridurre il deficit e riesce a varare riforme strutturali e di sistema. Ma per realizzare questi obiettivi ci vorrebbe un ampio consenso da parte delle forze politiche e sociali e uno spirito collaborativo che, presente con mille riserve quando a febbraio nacque il Governo Draghi, sembra ormai svanito.

Ogni partito gioca la sua partita, visto che i giochi per il Quirinale sono già apertissimi e, di conseguenza, il futuro della legislatura è ormai appeso all’elezione del successore di Mattarella. In altre parole, tutte le forze politiche riprendono lentamente in mano i loro cavalli di battaglia (la Lega quota 100, i 5 Stelle il reddito di cittadinanza, Forza Italia la riduzione delle tasse) per potersi far trovare pronte agli occhi dell’elettorato qualora Draghi salisse al Quirinale e le Camere venissero sciolte già a inizio 2022, in mancanza di alternative di governo valide. E comunque il termine naturale della legislatura è marzo 2023, quindi il prossimo sarebbe comunque un anno di campagna elettorale permanente, giocata proprio sulla capacità dei singoli partiti di ottenere qualcosa dal premier in carica, che fatalmente si logorerebbe proprio perché incalzato dai singoli leader di partito.

L’unico scenario in grado di assicurare stabilità per un anno e mezzo appare quello del congelamento degli attuali assetti: convincere Mattarella a rimanere al suo posto, facendosi rieleggere, magari con l’impegno a dimettersi dopo un anno, consentire a Draghi di mettere definitivamente in sicurezza il Paese governando fino alla scadenza naturale della legislatura e varando le misure che ritiene indispensabili per rilanciare il Pil e l’economia in generale. Ma questa ipotesi si scontra, appunto, con le ambizioni e gli appetiti dei vari partiti, che non accettano di farsi guidare per altri 16 mesi da un decisionista che non ascolta nessuno e tira avanti per la sua strada, insofferente al Manuale Cencelli e ai tatticismi della vecchia politica.

Sembra riproporsi la situazione del 2012, quando Mario Monti, inizialmente sostenuto da un’ampia maggioranza trasversale per salvare l’Italia dal default post-berlusconiano (questa la fuorviante e demagogica narrazione ufficiale), fu progressivamente mollato dai suoi alleati, che iniziarono a ricattarlo su tutto e a frenarlo nell’approvazione di qualsiasi provvedimento, perché ovviamente ciascun partito cercava di portare acqua al suo mulino in vista delle elezioni politiche del 2013. Lì però l’evoluzione fu di quelle impreviste: Monti, tecnico prestato alla politica, oltre che farsi nominare senatore a vita prima di accettare l’incarico di premier, fondò un partito per impedire al centrodestra di vincere le elezioni e ci riuscì, raccogliendo pochi voti, che però furono decisivi. Con Draghi saremmo in tutt’altro contesto. Ove non salisse al Quirinale, Super Mario indirizzerebbe le sue energie verso incarichi europei e internazionali e certamente non si impantanerebbe nella palude della politica italiana.

Il dilemma che attraversa la politica italiana è proprio questo: riuscire a godere per un po' dei vantaggi di un premier come Draghi, che rassicura i mercati, ma senza impiccarsi alla prospettiva di un “Draghismo” che duri per anni, a Palazzo Chigi o al Quirinale. Tuttavia, è risaputo che Biden e gli americani fanno il tifo perché Super Mario resti ancora a lungo il loro interlocutore in Italia. E quindi fare previsioni, ora come ora, potrebbe davvero rivelarsi un azzardo.