Dov'era Dio? Sempre lì, da ringraziare
E' andata bene: nessuno è morto sotto le macerie. Ci sarebbe da ringraziare quel Dio che ad Amatrice era sul "banco degli imputati" per la sua assenza. Come facevano i nostri nonni quando per lo scampato pericolo venivano eretti santuari o dedicate Madonne. Ce ne ricorderemo o faremo come i lebbrosi ingrati?
“E’ andata bene”, sospira la signora anziana infreddolita in un cappotto striminzito non suo. In mano delle ciabatte che tremano insieme alle mani per il freddo e la paura che è ancora vibrante. “E’ andata bene, siamo vivi”, continua a ripetere alle telecamere. “Per fortuna”. Già, la fortuna. Quanto volte ci sentiamo di invocarla come protettrice delle nostre miserie umane. Dio nella sventura, per il resto c’è la Fortuna.
A pochi gironi dalla scossa di Ussita, Visso e degli altri paesini “presepiali” sparsi qua e là tra i confini di Umbria e Marche e ad appena 24 ore da quello devastante di Norcia, la Protezione civile ha confermato che l’unico decesso è avvenuto per infarto. Nessuno ha perso la vita sotto le macerie. Certo, le case sono distrutte, ma vuoi mettere con l’aver salva la vita?
Un miracolo? Probabilmente sì e ce n’è abbastanza da ringraziare chi di dovere, visto e considerato come andò ad Amatrice. Eppure non riusciamo ad alzare la testa per un attimo per tramutare la parola fortuna in Dio. Quel Dio che era stato tirato in ballo abbondantemente in occasione del terremoto dello scorso 24 agosto. “Dov’è Dio?” si erano chiesti i vescovi della zona e con loro i giornali, tutti intenti a domandargli come farisei dove fosse quella notte quando la torre campanaria di Amatrice rovinava sulla cameretta in cui una bambina dormiva beata con i genitori.
Sul banco degli imputati c’era lui, quel Dio in faccia al quale provare a scaricare addosso il peso di quelle macerie crollate per quel combinato disposto di forza della natura e imperizia umana, nel senso di ars aedificandi, per le quali non poteva essere certo responsabile l’onnipotente. E’ un sentimento umano, cristallizzato dal momento forse più umano di Gesù, nell’acme della crocifissione con quel “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Così in cima alla lista dei colpevoli c’era finito lui. Oggi la situazione è profondamente diversa e a segnare il discrimine c’è proprio l’assenza di morti. Però Dio non c’entra, c’entra la fortuna.
Sarebbe significativo se come è stato invocato nell’avversità, venisse ora lodato nella salvezza. Fino a pochi secoli fa la tradizione millenaria della Chiesa dava a questo momento un posto preponderante nella vita di fede. Quanti santuari sono sorti, quante Madonne sono state consacrate, quante processioni pubbliche si sono snodate per ringraziare il Signore della vita e della morte del pericolo scampato. Non perché la vita terrena fosse il bene sommo per un cristiano, ma proprio perché avendo salva la vita quaggiù si potesse iniziare a guardare il Cielo per pregustare quella eterna che ci attende.
Non ha preso anime, ha preso soloo ciò che gli spetta, quasi a voler dire: «Avanti, ho ancora fiducia, ce la farete. Sulla croce ci torno io sacrificando le mura della mia casa». Perché in fondo ciò che ci scandalizza di più è il pensare che Dio non abbia fatto altro che darci un segno di conversione. Per ricordarci che il Regno dei cieli è vicino e permettendo la distruzione di così tante chiese, al posto di anime, è come se avesse ancora una volta caricato sulle spalle il peso dei nostri peccati, facendolo rovinare sulle sue case per salvare la sacralità di quel progetto uomo che non lo loda più, distratto e ubriaco di progresso.
La civiltà cristiana oggi reca ancora i segni di testimonianze di lode lontane, che oggi sbrigativamente classifichiamo alla voce polverosa delle devozioni. Eppure non c’è borgo nell’Appennino come nelle Fiandre, dall’Estremadura ai confini della cristianità dove l’uomo non abbia fissato nella memoria quell’evento in cui Dio, con la sua misericordia, ti ha dato un segno della sua potenza. Rogazioni per i raccolti, per la difesa dalle avversità, atti di consacrazione, novene di protezione dai pericoli. Il tutto ricordando di quando Gesù fece tacere il vento dimostrando di essere al di sopra del creato che oggi vediamo come uno scoglio oltre il quale non andare.
Perché, è vero, il Creato ha le sue leggi, il suo ordine, che lo fanno diventare né buono né cattivo, ma in questo ordine agiscono le forze del bene e del male e di fronte a queste Dio non è un arbitro imparziale sull’Olimpo, ma chiede costantemente di essere conosciuto e riconosciuto nella libertà. Ma è altrettanto vero che quando l'uomo rompe l'amicizia con Dio attraverso il peccato e si allontana dalla grazia, ecco che resta solo in balia delle forze del male e della natura.
Dio c’era comunque ad Amatrice e c’era ieri mattina a Norcia perché attraverso lo Spirito Santo potesse illuminare l’uomo, ammonendolo anche, quando le forze della natura sono preponderanti. Ecco perché abbiamo dimenticato di pregarlo per tenere lontano il male spirituale e fisico che è sotto il controllo delle forze della natura. In questo modo, ringraziarlo per lo scampato pericolo e impetrare benedizioni per fermare i flagelli della natura, come appunto è il terremoto, è riconoscersi di essere figli bisognosi. Il non farlo ci fa assomigliare a quei lebbrosi guariti che non tornarono indietro a ringraziare, gli stessi che chiedevano con insistenza di essere salvati e protetti.
Per questo non ha molto senso chiedersi dov’era Dio in certi frangenti, ma semmai dove guardava l’uomo quando il Signore ha mostrato la sua presenza nella sventura, ma anche nella fortuna. Sarebbe significativo che prima di dimenticare tutto, prima di procedere alla ricostruzione dei borghi qualcuno si ricordi di tornare indietro e ringraziare per tutto questo.