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DOTTRINA

Dopo l'Irlanda la Chiesa torni a educare

Di fronte al risultato in Irlanda e al plauso unanime dei media laicisti, c'è pur sempre mons. Pennisi che va controcorrente e ha il coraggio di dire che se la maggioranza esprime un parere contrario alla Chiesa, la Chiesa deve ricominciare a motivare le proprie convinzioni. Senza piegarsi alla tirannia della maggioranza.

Editoriali 28_05_2015
Irlanda, la vittoria del Sì al referendum sui matrimoni gay

“Se la maggioranza della popolazione esprime un parere contrario a ciò che la Chiesa suggerisce e pensa ciò significa che maggiore deve essere lo sforzo educativo da parte della stessa Chiesa, che deve essere capace di motivare sempre le proprie convinzioni”: non si può che essere confortati da queste chiare parole dell’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, intervistato da la Repubblica nella sua veste di segretario della Cei per l’Educazione. Non senza aggiungere un plauso a la Repubblica che una volta tanto ha fatto del buon giornalismo applicando il principio audietur et altera pars (si ascolti anche l’altra campana).

Alle parole di mons. Pennisi hanno poi fatto seguito quelle del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, che ha efficacemente definito “una sconfitta per l’umanità” l’esito del referendum irlandese: un giudizio divenuto titolo in diversi quotidiani sia italiani che di altri Paesi tra cui ovviamente l’Irlanda. Finalmente insomma si comincia a contrastare la campagna avviata dell’“internazionale” dei circoli neo-illuministi dell’Occidente che stanno pretendendo di imporre ipso facto come evento atteso e sperato in tutto il mondo qualcosa che invece tra l’altro ha sin qui trovato eco quasi soltanto nei Paesi nord-atlantici, ossia nell’Europa occidentale (Portogallo, Spagna, Francia, Benelux, Paesi scandinavi) e in parte del Nordamerica (Canada e 34 stati membri degli Usa). Al di là dell’area nord-atlantica si contano ancora il Brasile, l’Argentina, il Sudafrica e la Nuova Zelanda. In un altro Paese nordatlantico, appunto l’Irlanda, la sua introduzione è a questo punto imminente. Infine in Slovenia, Colombia e Australia se ne sta discutendo. Viceversa nell’Europa orientale, nell’intera Asia e in quasi tutta l’Africa non se ne parla. Non siamo affatto insomma a quella specie di “marcia dell’Aida” che ogni giorno ci viene raccontata.

Fermo restando che finora la democrazia continua a essere il migliore dei sistemi politici possibili, resta altrettanto fermo che il consenso dei più in ogni momento dato non è di grande aiuto per quanto concerne la definizione dei valori o più precisamente la ricerca della verità. Nel mondo antico la schiavitù godeva di un consenso generale anche nei paesi più avanzati dell’epoca. Seppur arrampicandosi sui vetri, perfino un genio come Aristotele la giustificava. Se dunque allora ci fosse stato il suffragio universale, la schiavitù sarebbe uscita vincitrice da qualsiasi referendum. 

Tanto più considerando che la Chiesa è l’ultima grande organizzazione internazionale ancora schierata a tutela della ragione e della natura, nel mondo in cui siamo la strada è quella indicata da mons. Pennisi: la Chiesa deve tornare ad educare, i cristiani devono dire le ragioni della loro fede, esprimere senza complessi la loro cultura e dare testimonianza dell’intensità di vita che caratterizza un’esperienza di fede autentica.

Dal momento che la cultura laica dominante è spesso settaria, da ciò consegue che l’esperienza cristiana finisce per essere oggetto di continua disinformazione. In qualche caso sarà magari anche in buona fede, per ignoranza, ma disinformazione resta. Facciamo ad esempio il caso dell’edizione di ieri del quotidiano torinese La Stampa. Sulla sua prima pagina iniziava un commento di Ferdinando Camon, dal titolo “Era una colpa, diventa un diritto”. Il commento si apriva con queste parole: “La vittoria del sì al referendum irlandese sulle nozze gay significa che nella cultura cattolica l’omosessualità non è più la colpa mostruosa che era fino a un papa fa”. Leggendo questa frase uno si domanda: come può uno scrittore, che si presuppone sia una persona colta, scrivere una stupidaggine del genere? Quando mai, “fino a un papa fa”, essere omosessuali era una “colpa mostruosa”? Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Giovanni Paolo II nel 1992, dove all’omosessualità sono dedicati i punti 2357-2359, mentre se ne dà un chiaro giudizio si legge tuttavia che gli omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza”. Non ci soffermiamo qui in dettaglio sui contenuti di tali punti, peraltro oggi accessibili a chiunque grazie a Internet, ma non possiamo non domandarci con quale faccia un intellettuale, un professionista della comunicazione come Camon possa rendersi responsabile di una disinformazione del genere. Lo scrittore prosegue poi con una valanga di luoghi comuni di sapore volteriano fino a dire che finora nella Chiesa gli omosessuali non venivano “mai assolti, nemmeno se pentiti”. Per fortuna dunque l’Irlanda ci ha adesso liberato da tanto abominio. Forse per una presunta solidarietà di categoria, Camon si sofferma quindi sui “grandi intellettuali” che hanno vissuto questo dramma. In proposito cita tra l’altro Giovanni Testori che “è passato di là, ha abbracciato la Chiesa e ha maledetto se stesso”. In questo caso, avendo conosciuto di persona Giovanni Testori, sono testimone diretto del fatto che affermare una cosa del genere significa non sapere nulla e non aver capito nulla di lui.

Sulla prima pagina de La Stampa di ieri non c’era però soltanto la testimonianza di ignoranza colpevole di cui sopra. C’era anche un “Buongiorno” di Massimo Gramellini a modo suo esemplare come documento della natura autoritaria del pensiero illuminato. Oggetto del commento era il giudizio del cardinale Parolin di cui si diceva più sopra. Secondo Gramellini, la Chiesa “a rigor di logica dovrebbe limitarsi a parlare di sconfitta dei propri valori. Non deplorare una sconfitta dell’umanità. A meno di far coincidere i precetti stilati nel corso dei secoli da una comunità religiosa (…) con la natura profonda e insondabile dell’animo umano”. In altre parole Massimo Gramellini ha diritto di dire che cosa è umano e che cosa non lo è; la Chiesa invece no. 

Come allora non dare ragione e sostegno all’appello di mons. Pennisi? Già solo per rendere impensabili disinformazioni e irragionevoli presunzioni del genere ci attende un lavoro ciclopico.