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LIBERAL

Donald Trump, un conservatore solo di nome

Mentre Hillary Clinton sia avvia alla candidatura democratica per la Casa Bianca, in casa repubblicana Donald Trump continua a far da mattatore. Le primarie non sono ancora cominciate e "The Donald" domina nei sondaggi. Eppure non è affatto un conservatore, nemmeno sui principi non negoziabili.

Esteri 21_10_2015
Donald Trump

La sfida per la Casa Bianca entrerà nel vivo solo tra diversi mesi, quando gli americani cominceranno a votare (dal 1° febbraio, in Iowa) e finalmente si comincerà a smettere di congetturare solo sulla base dei volubili pareri registrati dai sondaggi. Nell’attesa, occorrerebbe un semaforo, perché capire chi viene da destra e chi va a sinistra non è sempre facile. Certamente nessuno può negare che oggi il Partito Democratico sia la sinistra (in economia, politica interna, politica estera, princìpi non negoziabili) e il Partito Repubblicano la destra, ma questo apre alcuni problemi.

Il primo è Hillary Clinton, candidato unico dei Democratici giacché gli altri sono tappezzeria. Tra Lincoln Chafee, Martin O’Malley, James Webb e Bernie Sanders nessuno ha il fisico ma soprattutto il denaro e le entrature per conquistare la Casa Bianca a sinistra. La Clinton è il presidente peggiore (in economia, politica interna, politica estera, princìpi non negoziabili) che potrebbe uscire dalle urne dell’8 novembre 2016, ma questo porta dritti al secondo problema: Webb e Sanders.

Webb è di sinistra, ma a suo tempo fu così conquistato da Ronald Reagan (1911-2004) da diventarne il ministro della Marina tra 1987 e 1988. Ieri ha annunciato il suo ritiro dalla campagna elettorale. Sanders, socialista, punta dritto alla pancia dell’elettorato di destra difendendo la libera circolazione delle armi con un classico argomento di destra: il diritto americano alle armi è intoccabile non per cacciare nei week-end, ma per proteggersi.

Il terzo problema sta in casa Repubblicana, dove il gran mattatore di questa fase virtuale delle primarie è “The Donald”, ovvero Donald Trump, così ribattezzato da quando Ivana Zelní?ková, la prima delle sue tre mogli, nata nella Repubblica Ceca, lo chiamò così rispondendo in cattivo inglese al giornalista Jonathan Van Meter che la ritrasse impietosamente nel fascicolo del maggio 1989 dell’oggi defunto periodico satirico americano Spy. Trump è e resta il candidato più improbabile, ma ha innegabilmente il coraggio di dire a voce alta quel che a destra gran parte dell’elettorato pensa ma il personale politico di destra non ha il coraggio di dire. Il che però a lungo termine (quando per esempio si tratterà di conquistare l’elettorato di centro e gl’indecisi) avvantaggerà solo i Democratici. Se non fosse temerario, verrebbe da dire che la candidatura di Trump tra i Repubblicani (ivi compreso l’impegno a non danneggiare il Partito Repubblicano qualora egli dovesse fallire la nomination presidenziale) è costruita a tavolino per danneggiare proprio i Repubblicani. L’aria del candidato di plastica, infatti, Trump ce l’ha, e il fatto che quel che sgraziatamente dice lo pensino intimamente molti il dubbio non lo toglie affatto.

Il suo curriculum parla per lui, come evidenzia con forza Michael Warren Davis su Quadrant chiamando il miliardario nientemeno che “grande bugiardo”. Ora, Quadrant è un mensile che si pubblica a Balmain, Nuovo Galles del Sud, in Australia, ma non è affatto periferico. Fondato nel 1956, il suo primo direttore (fino al 1967) fu il poeta e critico letterario australiano James McAuley (1917-1976), uno dei grandi convertiti al cattolicesimo del Novecento. Fino al 2015 il suo direttore (dal 2008) è stato Keith Windschuttle, uno dei più straordinari storici australiani, autore di vere e proprie pietre miliari, che ancora oggi resta una sorta di “deus ex machina” del mensile. Dal febbraio 2015 è diretto da John O’Sullivan, britannico che risiede a Budapest, cattolico, vicepresidente e direttore esecutivo di Radio Free Europe/Radio Liberty, già speechwriter di Margaret Thatcher (1925-2013), Editor-at-large del quindicinale americano National Review, autore de Il presidente, il papa e il primo ministro (trad. it., Pagine, Roma 2009), libro che il filosofo inglese Roger Scruton giudica fondamentale. Né si tratta di una operazione editoriale qualunque: nacque per iniziativa dell’Australian Committee for Cultural Freedom, ovvero il braccio australiano del Congress for Cultural Freedom, l’operazione anticomunista apertamente e orgogliosamente finanziata dalla CIA durante la Guerra fredda (1947-1991) da cui nacquero una decina di altre testate tra cui Encounter in Gran Bretagna (il primo periodico neoconservatore, fondato dal “padre” dei neocon, Irving Kristol [1920-2009]) e Der Monat in Germania. Su questi e simili progetti informa il certo non simpatetico volume della storica e giornalista britannica Frances Stonor Saunders, Gli intellettuali e la CIA. La strategia della Guerra fredda culturale (trad. it., Fazi, Roma  2004), uscito in seconda edizione american con il titolo The Cultural Cold War: The CIA and the World of Arts and Letters (The New Press, New York 2013).

No, non siamo usciti dal tema. La “pratica istruttoria” su Quadrant serve a convincersi che il mensile australiano è autorevole e bene informato, e che se punta l’obiettivo su Trump, lo fa perché sa. “The Donald”, scrive dunque Davies, dice di essere pro-life ma si è detto favorevole al partial-birth abortion (che è un mezzo infanticidio, dato che prevede la soppressione del feto quando già venuto per metà alla luce) di cui al tempo della presidenza del marito Bill fu grande supporter Hillary Clinton. Con i Clinton è amico da anni e avrebbe voluto Hillary alla guida dei negoziati con l’Iran. Approva l’assistenzialismo e l’interventismo statalista di Obama. E, tornando ai Clinton, è stato un grande finanziatore delle loro cause, al punto che i Clinton sono stati fotografatissimi ospiti del suo terzo matrimonio, nel 2005. A sua difesa, Trump dice che la gente cambia e che anche lui è cambiato. Vero. Tant’è che lui è stato Repubblicano prima del 1991, del Reform Party dal 1991 al 2001 con una visione progressista e favorevole ai “diritti” LGBT, Democratico da allora sino al 2009, indipendente dal 2011 e adesso di nuovo Repubblicano. Quanto ai suoi cambiamenti culturali, la notizia l’ha sempre tenuta per sé. Difficile fidarsi. Se lo scaltrissimo Trump fosse Hillary Clinton, si sarebbe certamente creato in provetta un avversario come lui. Forse ha scelto di correre per la Casa Bianca da Repubblicano e non da indipendente proprio per questo.