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IL SUCCESSORE DI NOSIGLIA

Don Repole, un vescovo per una Chiesa umiliata

Il nuovo arcivescovo di Torino, Roberto Repole, è noto per la collana in cui chiamò a collaborare due autori in aperta antitesi a Ratzinger e alla CDF, nonché don Fumagalli con il suo «matrimonio progressivo». Lui stesso è stato relatore a un incontro, dal titolo ambiguo, di cristiani omosex. E applica il suo «pensiero umile» perfino ai dogmi.

Ecclesia 22_02_2022

È stato presentato come l’outsider, la nomina che non ti aspetti, il semplice prete che viene innalzato al di sopra di molti prelati che ambivano ad occupare la Sede che fu di mons. Cesare Nosiglia. Ma a ben vedere, la nomina di don Roberto Repole, 55 anni, ad arcivescovo metropolita di Torino, nonché vescovo di Susa, corrisponde perfettamente ai desiderata del pontificato corrente, nel quale egli si è inserito con particolare scaltrezza.

L’ex presidente dell’Associazione Teologica Italiana (2011-2019) e direttore della sezione parallela di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale - non proprio uno sconosciuto parroco delle periferie - aveva già trovato il modo di farsi conoscere dalle parti di Santa Marta, curando la collana di 11 piccoli volumi La teologia di Papa Francesco. Facciamo un passo indietro.

La cifra del pensiero teologico di don Repole è quella dell’«umiltà»; l’aveva espressa nel saggio L’umiltà della Chiesa, edito nel 2010, che sviluppava l’articolo Pensiero umile stile cristiano, comparso ne «La Rivista del Clero Italiano» 9(2008), pp. 596-610. Tra l’arroganza del pensiero della modernità e la debolezza di quello della post-modernità, tra un razionalismo superbo e un nichilismo rassegnato, Repole propone un pensiero umile e una Chiesa umile, che assumono lo stile del Dio umile. Dunque un’ecclesiologia e una riflessione umili, che si radicano nella teologia della Trinità umile. Espressioni che, finché rimangono in astratto, possono anche apparire condivisibili, ma quando si concretizzano mostrano che il pensiero umile altro non è che la versione teologica soft del pensiero debole di Vattimo & Co.

Quali concretizzazioni? Per esempio la scelta di arruolare per la nota collana sia due firmatari della polemica ed eretica Dichiarazione di Colonia, come Peter Hünermann e Jürgen Werbick, sia Benedetto XVI (vedi qui), che di quella dichiarazione fu il bersaglio privilegiato. E che ovviamente declinò l’offerta. Perché i due teologi se l’erano presa con il “vizio” della Congregazione per la Dottrina della Fede di voler intervenire su troppi temi che loro ritenevano dover essere di libera discussione teologica, come per esempio la contraccezione.

Nella linea del pensiero umile è anche la scelta di affidare la trattazione della teologia morale di papa Francesco a don Aristide Fumagalli; il quale colse l’occasione per propagandare il «matrimonio progressivo» (vedi qui), che apre la porta all’idea che azioni intrinsecamente cattive possano diventare, all’interno del matrimonio progressivo, l’unico bene possibile in un dato momento. Don Repole conosceva molto bene la posizione di Fumagalli sul tema; e chissà che non sia stato sulla linea del “bene possibile” il suo intervento ad uno dei cinque incontri organizzati dal Centro Studi e Documentazione “Ferruccio Castellano” - Castellano fu uno dei fondatori del movimento cristiani omosessuali in Italia - sul tema “Stesso sesso, stesso amore, famiglia differente?”.

E poi c’è lui medesimo, don Repole, che presenta l’ecclesiologia del Papa nel libretto Il sogno di una Chiesa evangelica, in un modo che porta alla sovrapposizione tra il suo pensiero e quello di Bergoglio, senza che si riescano più a distinguere l’uno dall’altro. Un breve saggio (vedi qui) che dimostra perché don Repole abbia scelto, per gli altri volumi, personaggi che si collocano in aperta antitesi rispetto agli insegnamenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Infatti, anch’egli prende una linea ecclesiologica di rottura rispetto alla lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Communionis Notio, che nel 1992 venne inviata a tutti i vescovi del mondo per chiarire che la Chiesa universale non è il risultato della somma o della comunione delle Chiese particolari, ma «è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare» (n. 9). Francesco invece avrebbe seguito la linea di Kasper, con soddisfazione dello stesso Repole, «per cui non si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza delle Chiese locali». Un grande contributo all’ossessione per la sinodalità che sta segnando questo pontificato.

Don Repole aveva anche espresso il suo pensiero umile relativamente alle formulazioni dottrinali, le quali, a suo parere, «sono sempre definitive e provvisorie al tempo stesso, per usare un’espressione adoperata da Kasper già diversi decenni or sono. Tali formulazioni non possono, perciò, costituire un divieto allo sforzo di riesprimere in altri modi quella medesima verità». In realtà, esse sono definitive precisamente perché, secondo il significato proprio di questo aggettivo, pongono un termine, sono risolutive. Non vanno dunque cambiate, perché si presentano come il punto di arrivo di un processo di maturazione e purificazione e come il punto di riferimento della fede comune.

Il pensiero umile di Repole si rivela allora nel concreto come il pensiero debole travestito da prete. O, se preferite, il pensiero debole in incognito, che trova l’indispensabile premessa per poter sopravvivere nella demolizione di tutto ciò che costituisce un punto di riferimento saldo: dalla definizione dogmatica alla normatività della Chiesa universale; dall’esistenza di atti intrinsecamente malvagi, alle cosiddette affermazioni tenenda, tanto odiate da Hünermann, cioè quegli insegnamenti della Chiesa che, pur non essendo oggetto primario della fede, vanno comunque “tenute” in quanto con queste connesse.

Con queste premesse, la Chiesa umile diviene facilmente la Chiesa umiliata.