Fumagalli, teologia tra equivoci e forzature
Tace l'essenziale sulla natura del matrimonio, espelle le azioni intrinsecamente cattive, equivoca le norme morali negative e ammette un bene possibile, ma senza la Grazia divina. L'analisi del libro di don Aristide Fumagalli nella collana dei libri sulla teologia di Papa Francesco.
Cosa ci fanno due tedeschi, due argentini, uno spagnolo, cinque italiani e uno sloveno? Potrebbe sembrare l’inizio della più classica delle barzellette, invece c’è poco da ridere. La squadra selezionata per la collana dei libretti sulla teologia di papa Francesco mostra con sempre più chiarezza lo iato tra la piega presa dalla corrente ecclesiale attuale ed il Magistero precedente. Si è vista la netta opposizione di Hünermann e Werbick, firmatari della Dichiarazione di Colonia, ai pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; si è constatata l’accelerazione degli argentini e di don Repole, curatore della collana, verso una chiesa sempre più “collegiale”, decentrata, e sempre più aperta a nuove formulazioni della fede.
Anche gli altri autori indicano una direzione ben precisa: il focolarino don Piero Coda; Marinella Perroni, fondatrice e per nove anni presidente (o presidentessa?) del Coordinamento delle Teologhe Italiane, don Lucio Casula, docente di dogmatica alla Facoltà Teologica della Sardegna, don Aristide Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale.
Ed è al libro scritto da Fumagalli Camminare nell’amore. La teologia morale di papa Francesco, che dedicheremo la nostra attenzione, perché in fondo ha un grande pregio: quello di far vedere una buona volta che Amoris Laetitia è un documento senza radici, un documento fragile, rappezzato. E che la più discussa conclusione cui AL giunge (quella della possibilità dell’Eucaristia per i divorziati-risposati) è stata possibile solo mediante un’operazione di totale fraintendimento dei testi che la dovrebbero supportare.
Il secondo capitolo del libro riprende le medesime argomentazioni di quanto Fumagalli aveva scritto nei numeri 7/8 2016 de La Rivista del Clero italiano (“La «via caritatis». Sul capitolo ottavo di «Amoris Laetitia»). I principi etici presenti in Evangelii Gaudium trovano, secondo Fumagalli, la loro “prima grande declinazione in AL”. L’argomentazione di Fumagalli è riassumibile in questi termini:
- Il matrimonio in AL non è più concepito come patto, alleanza, men che meno come contratto, ma come “progetto”, cioè come “un processo” in corso.
- In questo processo, occorre rispettare la legge della gradualità, principio già presente in Familiaris Consortio, ma lì, secondo Fumagalli, non sembra “trovare adeguata composizione”. Ancora più esplicitamente, “per il soggetto in cammino, l’«oggettivo» [cioè la legge, n.d.a.] non è immediatamente il tutto del percorso, ma il grado amoroso che hinc et nunc può e dev’essere praticato. Esiste cioè un «oggettivo-soggettivo» che, pur non coincidendo con l’oggettività assoluta, nemmeno si risolve nell’arbitrio soggettivo”. Il criterio della gradualità diventa il “grado amoroso”. Auguri.
- Fumagalli introduce l’idea di una “perfetta imperfezione della carità”, richiamando a sostegno un testo della Summa Theologiae: la perfezione della carità non è da considerare in assoluto, ma come perfezione del soggetto che ama con tutte le sue forze, secondo la sua “misura”. “Questa perfezione… – spiega Fumagalli – può sussistere con l’imperfezione del suo attuarsi negli actus, cioè con i peccati veniali”. Da questa affermazione, conseguirebbe che “nessuna situazione è perfettamente in regola e ogni situazione, data la sua imperfezione, potrebbe essere detta «irregolare»”.
- Il cammino della gradualità esige l’immancabile discernimento, che dovrà avere un passo “secondo la gamba di chi cammina”, riuscirgli cioè possibile, dato che, … Deus impossibilia non jubet”. Questo discernimento, assicura Fumagalli, non è una deroga alla legge universale, ma permette di cogliere il bene possibile “nella singolarità del caso”. “Il bene possibile, per quanto minimo rispetto al bene assoluto, è tuttavia il bene massimo rispetto alla persona che lo pratica”, e in questo senso è “il bene migliore”.
L’applicazione di questi principi alle “differenti fragilità” matrimoniali risulta piuttosto evidente: in quelle situazioni in cui una seconda unione è “consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa…” (AL 298), “il discernimento circa la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti”, precisando che non si tratta di “una nuova normativa canonica stabilita da Francesco, ma l’esito di un cammino, frutto di discernimento personale e pastorale”.
Andiamo con ordine. Anzitutto dire che il matrimonio è un processo è una “mezza verità”; e l’altra metà, quella taciuta, è essenziale. Il nuovo legame tra un uomo ed una donna inizia ad esistere nel momento del consenso e si consuma nell’unione carnale; prima non erano “una caro” e ad un certo punto lo sono. Una nuova relazione inizia ad esistere: l’indissolubilità è posta in essere, non è un ideale e non è un progetto. La dimensione processuale riguarda la fedeltà quotidiana a questa nuova realtà già esistente. Allora, la legge della gradualità (punto 2) deve fare i conti con questa nuova realtà che già esiste ed escludere tutto ciò che le è contrario. Ed è questo il cuore del rigetto da parte di Veritatis Splendor della gradualità della legge e dell’accoglienza, invece, del principio della legge della gradualità. Anche se Fumagalli e AL ribadiscono il proprio rifiuto del principio di gradualità della legge, quello che affermano rientra proprio in quella categoria. Perché? Perché la legge della gradualità ha come punto di partenza il fatto che le azioni intrinsecamente cattive non ammettono gradualità; sono un comando, non un consiglio e nemmeno un ideale da raggiungere. Invece la gradualità della legge ammette, per varie ragioni, che le leggi morali negative possano essere, all’interno del percorso, occasionalmente trasgredite. Nella prospettiva di Fumagalli le azioni intrinsecamente cattive spariscono e si dà invece spazio ad un continuum di “crescita graduale nell’amore”.
La sua prospettiva intende essere più attenta al soggetto, senza cadere nel soggettivismo (secondo lui). Il problema è che concepire la legge della gradualità come il graduale cammino nell’amore, ma senza tener presente l’intenzionalità oggettiva delle azioni compiute dal soggetto - da cui il fatto che ci siano alcune azioni sempre intrinsecamente cattive, e quindi mai da compiere, nemmeno nell’ottica di una gradualità - fa de facto scivolare la legge della gradualità nella gradualità della legge. Anche se a parole si afferma il contrario.
Espulsa la peculiarità delle azioni intrinsecamente cattive, si finisce in quanto affermato nel punto 3, e cioè che alla fine ogni situazione è irregolare, perché imperfetta. Fumagalli chiama a sostegno la quaestio 24 (Summa Theologiae II-II), nella quale Tommaso spiega che la carità rispetto al suo oggetto (Dio) è sempre imperfetta. Un’azione morale intrinsecamente cattiva non è mai ordinabile a Dio e per questo motivo è incompatibile con la carità (cf Summa Theologiae. I-II, q. 88, a. 1 e Veritatis Splendor 68).
Altro grave equivoco: quando Fumagalli richiama il principio del discernimento per “ovviare all’indeterminazione della norma generale rispetto al caso particolare” applica alle norme morali negative un principio che vale solo per le norme morali positive, commettendo così un grave errore. Questo è Tommaso e questa è Veritatis Splendor. Il continuo richiamo al discernimento per individuare il bene possibile (punto 4) è completamente fuori luogo, perché non tiene conto che nei casi di azioni intrinsece mala non siamo di fronte al bene possibile, ma al male reale, che non potrà mai diventare, come afferma Fumagalli (303), “il che richiama AL bene massimo rispetto alla persona che lo pratica”. Questa è alchimia verbale e non teologia morale. Un’alchimia già presente in AL, dove nel testo sopra riportato (§ 298) parla, in riferimento ad alcune nuove unioni di divorziati-risposati, di “provata fedeltà”, mentre essa è semmai una provata e stabile infedeltà, perché, se il matrimonio precedente è valido, l’unione con una persona che non è il coniuge è per definizione un atto di infedeltà, ed il fatto che questa nuova infedeltà sia stabile e duratura non muta la sostanza delle cose.
Tommaso distingue – eccome! – peccati che di per sé non si oppongono alla legge di Dio ed altri che vi si oppongono e perciò rifiuterebbe una posizione che afferma che nel matrimonio ogni imperfezione è in fondo una irregolarità. Commettere adulterio non è “irregolare” quanto litigare per il fatto di lasciare in giro i calzini. La posizione “sfumata” di Fumagalli finisce per assomigliare, per dirla con Hegel, ad una notte in cui tutte le vacche sono nere: alla fine tutti i matrimoni sono irregolari!
Singolare è anche il richiamo del principio per cui Dio non ordina l’impossibile, perché Fumagalli lo intende in modo opposto all’insegnamento della Chiesa. Il Concilio di Trento afferma sì che “Dio, infatti, non comanda l’impossibile”, ma aggiunge anche che “quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa”. Quando perciò si parla di bene possibile si è nuovamente di fronte ad un equivoco: di quale possibilità si parla? Con o senza la grazia di Dio? Forse che la grazia di Dio, se cercata, richiesta, se ben disposti ad accoglierla non rende possibile quello che con le sole forze umane risulta impossibile? Se Dio ha in odio l’adulterio, non darà forse la grazia sufficiente a chi la domanda con fede, per non cadere in questo peccato mortale? Come è possibile pensare che Dio in certi casi accolga l’adulterio come l’unico bene possibile, mentre nel contempo lo condanna? “Il braccio del Signore è forse raccorciato?” (Nm 11, 23).
E’ chiaro che questa prospettiva è funzionale per supportare il nocciolo della questione, cioè la comunione per chi vive more uxorio. Fumagalli cerca di tirare a proprio sostegno addirittura Benedetto XVI, il cui “lucido insegnamento… riconosceva che non esistono «semplici ricette»”. Il riferimento è ad alcune risposte che il Papa diede il 2 giugno 2012, in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. In realtà Papa Benedetto affermò che “non abbiamo semplici ricette” per affrontare la grande sofferenza della Chiesa, che è quella delle persone divorziate e risposate. E ci mancherebbe. Ma ha aggiunto con chiarezza “di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia”. E ribadiva che “se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante”. Quindi il non avere semplici ricette, non equivale a un “tana libera tutti”. Fumagalli sembra a suo agio nello strapazzare il senso dei testi degli autori da lui chiamati in causa. Per lui, Francesco semplicemente continua nella “logica dell’integrazione”, ammettendo che “la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti”, risolvendo la questione in foro interno: “non è una nuova normativa canonica… ma l’esito di un cammino, frutto di discernimento personale e pastorale”. Un discernimento capace di tramutare il male reale in un bene possibile.