Don Miguel e l’incontro che cambia la vita
Come è capitato all’Innominato del Manzoni a un certo punto della vita, anche a Miguel Mañara accade di incontrare un volto diverso dagli altri: è quello di Girolama Carillo. Siamo nel secondo quadro dell’opera di O. Milosz, ambientato tre mesi dopo il primo incontro tra la giovane e il libertino.
Come è capitato all’Innominato a un certo punto della vita, anche a Miguel Mañara accade di incontrare un volto diverso dagli altri, che colpisce per semplicità di cuore e letizia: è quello di Girolama Carillo. Siamo nel secondo quadro dell’opera di O. Milosz, ambientato tre mesi dopo il primo incontro tra la giovane e il libertino.
Il dialogo tra i due fa emergere la diversità dello sguardo sulle cose e sulla realtà. Sentiamo tutta la forza delle immagini e delle parole direttamente dalla capacità espressiva di O. Milosz. Il protagonista chiede: «Voi amate i fiori, Girolama? E non ne vedo mai tra i vostri capelli, né sulla vostra persona». La ragazza risponde: «È perché amo i fiori che non mi piacciono le fanciulle che ne fanno ornamento, come di seta, di pizzo o di piume variopinte. Non metto mai dei fiori tra i miei capelli (sono abbastanza belli lo stesso, grazie a Dio!). I fiori sono dei begli esseri viventi che bisogna lasciar vivere e respirare l’aria del sole e della luna. Non colgo mai i fiori. Si può benissimo amare, in questo mondo in cui siamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore, o di imprigionarlo tra i vetri, oppure (come si fa con gli uccelli) in una gabbia in cui l’acqua non ha più sapore d’acqua e i semi d’estate non hanno più sapore di semi».
Don Miguel è sorpreso di vedere così felice una ragazza, che vive per la casa, il giardino, la lezione quotidiana e i poveri, che non trascura nessuno dei suoi doveri. Si rende conto di essere molto cambiato dal giorno del primo incontro con Girolama alla Chiesa della Caridad la domenica delle Palme. Nel contempo, preso ancora dal modo di ragionare “vecchio”, è convinto che non ci sia alcun rimedio a quanto ha compiuto e alla tristezza del suo cuore («Ahimè, Girolama! Che non ci sia rimedio a questa tristezza del cuore! Quello che è fatto è fatto. Perché è così, la nostra vita: ciò che è compiuto è compiuto»), proprio come l’Innominato nei primi momenti davanti al Cardinale Federico.
Girolama, però, ancora una volta lo sorprende, abbracciando tutta la sua umanità anche nella miseria e dimostrando una capacità di perdono totale quando, pur non relativizzando le sue colpe, sa inserirle in una prospettiva in cui la colpa è anche delle donne che sono state con lui, senza legame: «Non condivido per nulla questo punto di vista. Non vedo cosa ci sia di così terribile in questo. So che siete un cattivo soggetto, don Miguel, che avete fatto piangere tante e tante belle dame. Ma tutte queste donne sapevano di fare il male amandovi, e anche permettendovi di amarle. Perché nessuna di loro aveva ricevuto da voi il giuramento, il grande giuramento per l’eternità, don Miguel; perché nessuna di loro aveva ricevuto da voi l’anello, l’anello che unisce per sempre l’anima all’anima, don Miguel. Ah, sapevano bene quel che facevano, tutte, sì, tutte!».
Come l’Innominato non vuole essere abbracciato dal Cardinale perché in fondo, oltre alla vergogna, prova anche timore, così la voce di Girolama impaurisce Don Miguel: «È come se un raggio dell’estate penetrasse di colpo in un luogo protetto dalle ali della notte, pieno di forme striscianti, di cose sognate dalla malattia delle tenebre». L’incontro ci fa vedere meglio, ci fa sentire «in una bella camera in cui ogni cosa è immersa nella musica discreta della luce». L’incontro illumina il nostro cuore e lo trasforma in luogo di pace. Don Miguel si conosce meglio tanto che esclama: «Che ho fatto della mia vita, che ho fatto del mio cuore? Perché non ho appreso prima di avere un’anima buona! Mi perdonerete?».
L’incontro con Girolama fa comprendere a Don Miguel che è nato per compiere il bene, nonostante i suoi errori e i suoi sbagli. Così, i due, promettendosi per l’eternità davanti agli uomini e a Dio, si sposano. Don Miguel è convinto di avere trovato l’amore. Nel terzo quadro, però, una volta ancora l’imprevisto entra in scena e scompagina i piani. Girolama muore, infatti, pochi mesi dopo il matrimonio. Nella sofferenza di Don Miguel si ricompie il sacrificio carnale di Cristo.
Nel quarto quadro Don Miguel, consumato dall’«amore dell’eterno», si reca presso il convento della Caridad; all’abate che lo riceve rivela che sta cercando l’umiltà del cuore e l’amore del reale e confessa tutte le sue colpe. Ricorda la sua storia e l’incontro con Girolama. Fa memoria di lei. Questo è l’atteggiamento davvero morale: far memoria della bellezza e della verità che si sono incontrati, non seguire dei precetti, ma una persona. Così Don Miguel la ricorda: «Era calma come il sogno dell’acqua, bella come la luce del miele, innocente come il riso dei bambini piccini. Lei mi parlò di Dio, e m’insegnò a pregare. La sera ripetevo le parole della sua preghiera, come un bambino. Girolama è il nome di questa donna, padre».
L’abate, di fronte alle successive confessioni di Don Miguel, invece di rimproverarlo, lo abbraccia in maniera misericordiosa, con una tenerezza che va fino in fondo al dolore dell’altro e gli ripete più volte che l’importante non è il male compiuto, ma il fatto che ora lui sia lì, contrito. L’abate gli legge il cuore, «libro chiuso», prima che Miguel glielo manifesti, e lo invita alla pazienza: «L’amore e la precipitazione non vanno d’accordo, Mañara. È dalla pazienza che si misura l’amore. Un passo uguale e sicuro: è questa l’andatura dell’amore, che cammini fra due siepi di gelsomino, al braccio di una fanciulla, o da solo tra due file di tombe. Pazienza. Non siete venuto, qui, signore, per essere torturato. La vita è lunga qui. Occorre un’infanzia e un’educazione, una giovinezza e un insegnamento, una maturità curiosa del giusto peso delle cose e una lenta vecchiaia innamorata della tomba». Dal male può sorgere il bene, dagli abissi delle tenebre si può risalire alla luce. L’abate esclama: «Dall’ultima scintilla notturna della tua demenza scaturisce la prima aurora! [...] Se tu sapessi quali cose l’uomo sa dire a Dio quando la carne dell’uomo si fa grido, grido di Dio che adora se stesso!».
È questo grido, continua l’abate, che ha fatto esclamare a san Francesco: «Fratello Sole e sorella Luna». Allora Don Miguel prorompe in un inno alla bellezza e all’Amore: «Voglio lodare la bellezza perché è da essa che nasce il Dolore, il diletto del Diletto. Il tuo grande amore mi brucia il cuore, il tuo grande amore – mia sola certezza. O lacrime! O fame d’eternità! O gioia! Ahimè! Perdona! Ahimè! Amami!». Don Miguel entrerà nell’Ordine della Caridad come vedremo la prossima settimana.