Don Marco Pozza e l'ipocrisia dei cattogay
Le polemiche per il post su Facebook del prete intervistatore del Papa che si felicita per l'unione omosessuale del suo amico giornalista Alberto Matano, mettono in evidenza la realtà di una parte di Chiesa impegnata per promuovere l'agenda Lgbt. Con l'assenso di Roma.
La vicenda di don Marco Pozza che esulta per l’unione omosessuale del suo amico giornalista Alberto Matano è indicativa di quanto sta accadendo nella Chiesa. Don Marco Pozza, come sappiamo, non è un prete qualsiasi: ufficialmente cappellano del carcere di Padova (diocesi dove è incardinato) in realtà è più noto per essere entrato nelle grazie di papa Francesco, prima come suo intervistatore “ufficiale”, poi anche come agente che gli procura interviste con giornali e tv, scavalcando quanti in Vaticano sarebbero già preposti a questo compito.
Don Pozza è anche noto per il suo abbigliamento casual che ostenta in pubblico, dove nessuno potrebbe pensare che sia un prete. E si capisce che queste cose piacciano tanto a papa Francesco. Ovviamente ha anche un suo blog, “Sulla strada di Emmaus”, in cui trovano spazio diverse firme, ma è lui in persona a firmare gli auguri ai novelli “sposi” sulla pagina Facebook che porta lo stesso nome del blog: «Un grande abbraccio (e una preghiera) - si legge sotto la foto dei due civiluniti sorridenti - per il mio amico Alberto Matano nel giorno del suo matrimonio. Che la vita vi sorrida! E grazie per la splendida intervista (la trovate nel primo commento): dalla tua signorilità e garbatezza il mio animo ne esce sempre arricchito e incoraggiato».
A leggere i giornali italiani bisogna dire che l’unione civile (che tutti hanno presentato semplicemente come matrimonio, come era ovvio) di Alberto Matano con l’avvocato Riccardo Mannino sia stata l’evento mondano dell’anno, tanta è stata la pubblicità e la promozione di cui ha goduto. Forse don Marco Pozza, che vive molto nel mondo dei media, si è lasciato prendere dall’entusiasmo generale ed ha esternato il suo vero pensiero non rendendosi conto che nel mondo reale certe affermazioni hanno il loro peso.
Dopo la prima bordata di proteste (unite anche a molti apprezzamenti), don Marco Pozza si è accorto che formalmente in Italia per le coppie omosessuali non si può parlare di “matrimonio” e quindi ha sostituito il termine con “unione civile”. Qualcuno si è dichiarato soddisfatto per questo, ma molti di più hanno continuato a criticarlo come era abbastanza ovvio. Dalle risposte ad alcuni interventi, comprendiamo che per il nostro le sue parole non significano affatto essere d’accordo con le unioni omosessuali, ma che semplicemente bisogna «imparare a gioire della felicità degli amici (anche quando le loro scelte magari non si condividono)». Allora, seguendo la logica del discorso, possiamo aspettarci da don Pozza un messaggio di congratulazioni e di buone vacanze per l’amico felicissimo per aver appena rubato una Mercedes con cui partire per le vacanze; o un post di felicitazioni e benedizioni per il suo grande amico che ha appena “rubato” la moglie a un altro e felicemente ci va a convivere.
Diciamolo chiaramente: se l’approvazione pubblica del peccato e la confusione che si crea nei semplici fedeli è irritante, l’ipocrisia lo è ancora di più: questi preti alla moda (e potremmo dire anche vescovi e cardinali), tanto incensati dal Potere, in realtà non concepiscono affatto gli atti omosessuali come un peccato, e considerano le unioni omosessuali come un fatto positivo, da riconoscere. Chi segue la Bussola sa che lo abbiamo documentato decine e decine di volte in questi anni; non si contano gli interventi di autorevoli prelati, teologi ed editorialisti che hanno teorizzato la positività delle relazioni omosessuali e perfino la necessità di benedizioni in chiesa, in attesa di passare al matrimonio puro e semplice quando i tempi saranno maturi. Del resto, ormai lo vediamo, non passa settimana e a volte giorno, che non ci sia una qualche iniziativa omosessualista nella Chiesa: abbiamo visto appena pochi giorni fa il caso delle due lesbiche che “predicano” sull’altare nella diocesi di Pescara. E abbiamo visto le centinaia di benedizioni in Germania, le richieste del Sinodo tedesco, il canale Lgbt aperto in previsione del Sinodo sulla Sinodalità, e potremmo continuare ancora.
Attenzione, non lasciamoci ingannare dalle parole di questi ipocriti: tutte queste iniziative non hanno nulla a che fare con l’accoglienza delle persone che hanno tendenze omosessuali. Prova ne è che chi tra i cattolici cerca di promuovere una vera pastorale per queste persone, secondo le indicazioni della Chiesa, viene osteggiato in tutti i modi e scacciato dai locali parrocchiali, vedi il caso di Luca Di Tolve, ma anche dell’associazione Courage. No, qui quello che si vuole ottenere è l’affermazione dell’agenda Lgbt all’interno della Chiesa, una rivoluzione antropologica che capovolge il disegno di Dio.
E tutto questo, dobbiamo riconoscerlo con dolore, è favorito dalla Santa Sede. È vero, il 15 marzo 2021 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un Responsum in cui afferma chiaramente che la Chiesa non può benedire unioni tra persone dello stesso sesso, e c’era anche l’autorizzazione del Papa alla pubblicazione. Ma i gesti contano più delle parole e mai Roma è intervenuta per censurare le palesi manifestazioni di omosessualismo nella Chiesa o per richiamare singoli preti o vescovi all’ordine. Il che viene correttamente interpretato come una forma di silenzio-assenso, tanto è vero che le trasgressioni crescono di numero e di intensità e si continua a tacere.
Lo stesso papa Francesco, nel colloquio avuto con i direttori delle riviste gesuite, appena pubblicato da Civiltà Cattolica, a proposito del Sinodo tedesco non ha minimamente criticato i contenuti delle richieste ma solo il fatto che alcuni vescovi e teologi procedono senza fare un cammino insieme al popolo. E quindi possiamo stare sicuri che nessuno richiamerà don Pozza, anzi, visti i precedenti possiamo anche aspettarci delle promozioni.