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LE INTERVISTE IMPOSSIBILI/3

Domande alla signora Povertà

È una dei vip del momento. Anzi, degli ultimi decenni. La volevo intervistare da tempo anche perché è ovunque, ma incontro due uomini vestiti di nero in un appuntamento ad Assisi. Le segrete di un castello. Un sosia che gira per il mondo. E lei che mi confessa: «C’è qualcuno che mi ha messo il bavaglio alla bocca»

 

Cultura 27_03_2020

È una dei vip del momento. Anzi, degli ultimi decenni. La volevo intervistare da tempo anche perché è ovunque: nel Sud del mondo, nelle zone di guerra, nei campi profughi ed anche qui da noi in Italia si fa vedere spesso nei centri di immigrazione, ai semafori, fuori dai supermercati. Spesso te la ritrovi anche a far visita al tuo vicino di casa. Sì, era da tempo che volevo intervistare la Povertà.

Lei era dovunque, ma attraverso i canali istituzionali finora mi era stato impossibile avvicinarla. Però un giorno mi arriva una busta con dentro un biglietto su cui c’era scritto: «So chi sta cercando. Venga alle 10 di domani presso la Basilica inferiore di Assisi. Mi riconoscerà».

L’indomani mi trovo puntuale al luogo dell’appuntamento. Nella Basilica inferiore il solito via vai di turisti con i loro smartphone a scattare foto che mai rivedranno. Qualcuno seduto sulle panche e un sacerdote inginocchiato nel primo banco. Il capo chino, sgranava un rosario nella sua lunga talare nera: come una fune gettata nel fondo di un pozzo. Nel gioco Trova l’intruso della Settimana enigmistica lui sarebbe stato l’intruso. Mi avvicino con in mano la busta che avevo ricevuto. Lui rimane assorto, gli occhi chiusi al mondo e spalancati sull’Aldilà. Mi faccio ancor più vicino e gli sussurro: «Io sono la persona che sta cercando?». Nessuna risposta. Alzo la voce ripetendo la domanda. Le palpebre che fino a quel momento erano rimaste serrate si aprono e due occhi azzurri come il ghiaccio penetrano i miei. Solo un sussurro: «Non qui. Questo è un luogo sacro. Mi segua». 

Usciamo all’esterno e senza troppi convenevoli mi chiede: «Chi sta cercando?». Ed io: «La signora Francesca Povertà». Sorride: «Lei uno sciocco come buona parte della gente. Ma so per chi lavora e quindi la voglio aiutare». Poi mi dice di farmi trovare tra una settimana esatta in una via di periferia di Roma in piena notte. Infine aggiunge: «Non mi segua. Invece scenda di nuovo nella Basilica inferiore, si inginocchi esattamente nel punto in cui io ero inginocchiato e rivolgendo gli occhi al Cielo ringrazi Dio per questa opportunità». Poi si dilegua. Io obbedisco. Mi trovo esattamente dove il sacerdote era inginocchiato ed inizio a pregare. Gli occhi vagano qua e là, soprattutto contemplando i dipinti di Giotto. Poi, ad un certo momento, guardo proprio sopra di me. Sopra la mia testa una vela rappresenta l’Allegoria della Povertà. Alzando gli occhi al cielo… così mi chiese di fare il sacerdote.

Dopo una settimana eccomi qui in una via malfamata di Roma, sporca e lurida. «Certo – penso io – questo è il luogo migliore per incontrare la Povertà». Dopo due minuti arriva un furgoncino completamente nero. Scende il sacerdote che avevo incontrato ad Assisi accompagnato da un confratello, un vero e proprio energumeno. Noto che la mia “vecchia” conoscenza ha in mano un sacchetto di stoffa. Con i solti modi spicci con cui mi aveva parlato una settimana prima si rivolge ora a me: «Se vuole fare l’intervista indossi questo - e così dicendo mi mostra il sacchetto di stoffa -  salga sul furgone e non fiati». Il sacchetto è in realtà un cappuccio. Il cuore inizia a battermi a mille. Devo pensare velocemente: «Fidarsi o no?». Un secondo di esitazione e poi gli dico: «D’accordo». 

Salgo sulla parte posteriore del furgone, vengo incappucciato e poi il mezzo si muove. Un tragitto di mezzora o poco più a folle velocità. Poi il furgone si ferma. Sento che i due parlano con qualcuno. Si riparte e di nuovo, poco dopo, una sosta. Lo sportello posteriore si apre. «Scenda, stia zitto e cammini velocemente». I due mi prendono sotto braccio, uno da un fianco e l’altro sul fianco opposto. Procediamo spediti. Una porta si apre cigolando. Poi degli scalini che scendono, tanto stretti che vengo accompagnato solo da uno dei miei due guardiani. Intuisco che l’ambiente è buio. Si scende parecchio. Inizia a far freddo. L’aria odora di umidità, di stantio. Gli scalini finiscono. Un’altra porta che si apre cigolando. Qui la luce è più intensa anche se fioca. 

Finalmente mi tolgono il cappuccio. La scena che si presenta ai miei occhi è incredibile. I due sacerdoti che mi stavano accompagnando me li ritrovo inginocchiati e davanti a me, seduta su un trono d’oro e adornata di paramenti preziosissimi, con tanto di corona sulla testa e scettro in mano c’è una giovane donna. Siamo in quella che ai miei occhi si presenta come una cella: muri antichi di pietra a vista, volte a botte, nessuna finestra, un giaciglio sulla sinistra e sul lato opposto un tavolo e una sedia. Sembrano le segrete di qualche castello. Rimango interdetto. Il sacerdote conosciuto ad Assisi mi ordina con un sibilo: «S’inginocchi!». Eseguo immediatamente, poi lui rivolgendosi alla giovane donna dice: «Altezza Serenissima, ecco l’uomo di cui le avevo parlato». Lei con voce chiara e forte mi fissa e cosi mi parla: «Una intervista dunque. Ebbene sia, ma dobbiamo fare in fretta prima che ci scoprino!». Continuo a rimanere interdetto, lei se ne accorge.

«Le vengo incontro. Noto che è un po’ disorientato. Comprensibile. Dunque mi presento, anche se è uno strappo all’etichetta: io sono Sua Altezza Serenissima Francesca La Povertà. Sono rinchiusa in questa cella da tempo immemore. Nessuno sa che lei è qui. Se lo scoprissero passeremmo tutti dei guai seri. Lei ad esempio finirebbe di certo nel carcere di rieducazione teologica dell’isola di Guam». Più che disorientato ora mi sento ubriaco.

Come “Sua Altezza Serenissima”?! Cosa vuol dire, mi perdoni?!
La povertà è una virtù e come tale è nobile, nobilissima. Il trono, i paramenti, lo scettro competono al mio rango. Non vedo cosa ci sia di strano. E poi chi abbraccia la povertà trova un tesoro. Non ne conviene?

Il ragionamento non fa una piega. Ma perché è rinchiusa qui? E chi le ha fatto questo? Alla sua seconda domanda non posso risponderle. Recherei offesa, in questo caso, alla mia cara cugina la Regina Carità. Posso invece rispondere alla prima domanda. Hanno dovuto togliermi di mezzo, tapparmi la bocca. Altrimenti avrei parlato.

Per dire cosa?
Che la vera povertà è distacco spirituale dai beni perché si riconosce che l’unico vero bene è Dio. Dunque povero può essere sia l’indigente che il ricco e sia l’uno che l’altro possono insultare la mia persona.

Ma scusi, Altezza, eppure io è da anni che la vedo in televisione in ogni parte del mondo.
Mi ha vista nei campi profughi, nelle favelas, nei dormitori dei senza tetto e in altri mille luoghi simili, vero? 

Sì, è così
Non sono io. È una figurante sottoposta a qualche decina di operazioni chirurgiche per assomigliarmi, anche se, detto tra noi, riesce solo ad ingannare gli allocchi.

Penso che in giro di una settimana ha già fatto incetta di due epiteti niente male. E chi sarebbe questa impostora?
Il suo nome è Miseria. L’intento di chi ha messo dentro me e che fa girare per il mondo la mia sosia è evidente: celebrare la miseria, la penuria di mezzi materiali, gli stenti, le privazioni. Questo per dire che solo se vivi in mezzo ad una discarica potrai trovare Dio. Incredibile, vero? Cristo è venuto per toglierci dalla miseria materiale e soprattutto dalla miseria spirituale che colpisce chi conduce una esistenza spoglia di Dio ed invece molti uomini di Chiesa non solo non parlano più di Dio né agli indigenti né ai ricchi, ma vi vorrebbero tutti poveri materialmente.

E San Francesco?
Ciascuno di noi è chiamato ad usare dei beni materiali sempre per la gloria di Dio e nel modo in cui vuole Lui. Dio chiama alcuni a diventare imprenditori e possedere molte sostanze, per altri, come San Francesco, questa chiamata vuol dire possedere ciò che serve per condurre una vita dignitosa e nulla più. A nessuno però è chiesto di vivere in modo non decoroso, ossia senza quei beni materiali che sono necessari per vivere in modo adeguato alla dignità personale. Dio non apprezza la miseria, ma vuole che i miseri ne escano, viene tra i poveri perché non rimangano tali. Se la miseria fosse una virtù, non si comprenderebbe il motivo per cui voi dovreste affannarvi così tanto per sconfiggere la miseria materiale nel mondo. Se la povertà materiale fosse il biglietto di ingresso sicuro e certo per entrare nel Regno dei Cieli, sarebbe da insensati tentare di strappare qualcuno dalla povertà: meglio lasciarlo povero. Inoltre, sarebbe contraddittorio da una parte asserire che c’è l’obbligo di diventare poveri materialmente e dall’altra tentare di togliere dalla miseria i poveri. Comunque, a proposito di come San Francesco intendesse la povertà materiale, si vada a leggere il suo Testamento e la sua Regola. 

Anche in questo caso il ragionamento non fa una piega. Torno a pensare a Madama Miseria. Bisogna dunque smascherare questa impostora!
Lei è un ingenuo. Per farlo occorre prima togliere di mezzo dai seminari, dalle scuole teologiche dalle conferenze episcopali, dai sinodi, dalle parrocchie, dai consigli pastorali, e da altre stanze del potere – e così dicendo Sua Altezza fissò il soffitto – il marito della Signora Miseria: il Ragionier Pauperismo. Un tizio che propala gli errori di cui le parlavo a destra e a manca e che vede sprechi ovunque. Non sa quanto tempo butta via per calcolare quanto si potrebbe risparmiare qui e là per poi dare l’avanzo ai poveri. Ad esempio dove ci sono oro e opere d’arte nelle Chiese per dare gloria a Dio, ecco che lui arriva per protestare e mettere tutti alla gogna. Vi vorrebbe tutti vestiti di sacco. Ma a quel punto non ci sarebbero più ricchi che potrebbero aiutare i poveri! Lui lo sa, ma è solo propaganda. 

Da oltre la porta richiusa alle mie spalle vengono dei rumori Deve andarsene! Un’ultima domanda: cosa le preoccupa di più?
Una Chiesa povera di dottrina e di carità. Una Chiesa povera di Dio. Ed ora le ripeto: se ne vada!

La mia “vecchia” conoscenza mi guarda e per la prima volta sorride. Poi mi chiede: «Cappuccio?». Ed io: «Cappuccio».