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Dolcenera, il dono e la parabola dei talent… show

«Nella religione cristiana il dono è la sofferenza! È l’opposto! Il dono è il non avere: beati gli ultimi che saranno i primi». La lezione di teologia prêt-à-porter è andata in onda l’altra sera a The Voice, il talent show canoro di Rai Due. A impartirla a un concorrente, la cantante Dolcenera.

Cinema e tv 07_05_2016
La cantante Dolcenera

A The Voice se le sono cantate di brutto. Mercoledì scorso il talent show canoro di Rai Due si è trasformato in un piccolo sinodo teologico all’amatriciana. La quaestio riguardava la triade “talento- dono-sofferenza” e Dolcenera, uno dei giudici che deve valutare le nuove promesse, ha squadernato la sua preparazione dottrinale sul tema rimbrottando Giuliana Ferraz, una delle cantanti in gara.

«La questione è che quando ti sei presentata qui all'inizio», si anima Dolcenera all’indirizzo della giovine ugola, «dicendo “Dio mi ha dato un dono sono qui per mostrarlo” a me ha dato fastidio. In verità nella religione cristiana il dono è la sofferenza! È l’opposto! Il dono è il non avere: beati gli ultimi che saranno i primi». Il conduttore a questo punto ha cercato di cambiare discorso conscio che le lunghe e nere ombre della religione, pure cattolica, oscurano gli ascolti e ricordando che in quel programma avevano già fatto una bella indigestione di religione un paio di anni fa (il rinvio implicito è a suor Cristina).

Dolcenera, ben poco dolce e molto arrabbiata nera, è però tornata all’attacco: «Questa tua affermazione dal punto di vista di una credente – ed io sono credente – è sbagliata! Nel pensiero cattolico quella non è la verità: il dono non è un talento! Dio dà un dono e un talento a tutti!». Al netto della confusione di pensiero determinata dalla foga con cui la cantante sosteneva le sue posizioni, rimane però sempre una dose massiccia di vera e propria confusione. Dato che la teologa Dolcenera ha chiamato in causa il “pensiero cattolico” vediamo cosa potrebbe dire questo pensiero riguardo ai temi oggetto del battibecco.

Dunque, a dar retta a Dolcenera le doti canore non sono un dono, perché l’unico dono divino è la sofferenza. Ma secondo quello che c’è scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica, in senso stretto, tra i sette doni dello Spirito Santo la sofferenza non compare. Questo esclude che la sofferenza possa essere un dono? No, di certo. Cerchiamo di capirci meglio. Dono significa qualcosa dato a qualcuno gratuitamente. Ora vi sono sofferenze che non vengono direttamente da Dio e quindi non possono di certo essere donate da Lui. Infatti, alcune sofferenze sono l’amaro risultato di alcuni nostri atti volontari. Se decido di drogarmi e soffro nel corpo e nello spirito di certo l’infelicità che sperimento non viene da Dio e quindi non può essere un dono. 

Altre sofferenze ci colpiscono senza nostra colpa (pensiamo alle malattie per cause naturali) altre ancora provengono da azioni di terze persone (Tizio che mi ferisce). Anche in questi casi la sofferenza non è voluta direttamente da Dio, sebbene da Lui permessa. Però, può succedere che Dio voglia far soffrire una persona. In genere i motivi sono due. Può essere un castigo che quella persona o altre hanno meritato (una sorta di anticipazione del Purgatorio). Oppure può essere mandata senza che si possa ravvisare colpa alcuna nella persona (pensiamo alle stigmate ricevute dai santi). 

I motivi sono molteplici: purificare maggiormente la sua anima, renderlo più simile a Cristo crocefisso, rendere testimonianza ad alcune verità dottrinali, etc. (sopravvive sempre una certa quota di finalità espiatoria-riparatrice in queste sofferenze). Quest’ultimo tipo di sofferenza può essere in effetti accolta come dono, perché è sicuramente un bene per la persona, un bene immeritato. Difficilmente invece si può considerare un dono il “castigo” di Dio (se non che in tal modo per misericordia di Dio possiamo evitare l’Inferno o pene ben più pesanti in Purgatorio) – semmai è una pena - altrimenti dovremmo concludere che le anime dannate sarebbero per l’eternità sommerse di benefici e doni da Dio, condizione che è invece quella che vivono i beati.

In termini più estesi e meno precisi possiamo intendere ogni sofferenza – anche quella che non viene da Dio – come dono nel senso che il dolore sperimentato può essere occasione per migliorarci, per cambiare vita, per guardare le cose in modo diverso, per apprezzare la vita, etc. Più che dono è un’opportunità preziosa per santificarci. Detto questo, dichiarare a chiare lettere che l’unico dono che Dio ci fa è la sofferenza appare proprio errato e non molto cattolico. Semmai – tanto per fare i credenti fino in fondo – si poteva ricordare che la sofferenza di Cristo in croce ci ha regalato la salvezza.

Altro punto. Il talento canoro può essere un dono? Dio ha creato ognuno di noi e ci ha fatto uno diverso dagli altri. Ha adornato ogni suo figlio di talenti – dunque il talento è un dono - e facoltà particolarissime che devono essere usati per la Sua maggior gloria. Il talento indica quindi il vestito su misura che il Sarto divino ci ha cucito addosso per presentarci al Suo cospetto e che va bene solo a noi, vestito che non dobbiamo macchiare con il peccato. Il talento ci instrada sulla via di quella specialissima vocazione alla santità adatta solo a noi.  

Anche i talenti artistici sono un dono e devono essere usati per mostrare al mondo la bellezza del volto di Dio e, come ricorda la parabola evangelica, non vanno sotterrati. E dunque aveva proprio ragione l’avvenente Giuliana Ferraz a dire: «Dio mi ha dato un dono e sono qui per mostrarlo». Perché la lucerna non va sotto il moggio, ma a volte, seppur in modo inusuale, può essere posta anche sul palco di un talent show.