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PROPAGANDA LGBT

Documentario sull'utero in affitto censura i bambini

Ghosts of the Republique racconta la vicenda di due uomini che, sentendosi bloccati nelle proprie aspirazioni genitoriali dalla legge francese, corrono ai ripari volando a Las Vegas dove, grazie a Crystal, la madre surrogata, riescono ad ottenere due «figli». I registi sorvolano sul diritto dei bambini e ammettono di voler fare uno spot per cambiare la testa della gente e quindi la società.

Famiglia 26_11_2020 English Español

Dopo la volta delle madri surrogate influencer quali Jessica Girado – che ha raccontato ai seguaci la sua avventura giorno per giorno – o Breanna Lockwood, la quale ha invece spiegato ai suoi 165.000 follower come sua madre Julie, di 51 anni, abbia partorito al suo posto la figlia – come se una nonna che mette al mondo la nipote fosse una bella idea -, la propaganda permanente pro utero in affitto sta in questi giorni tornando a metodi più tradizionali ma non per questo meno insidiosi.

Lo prova l’uscita su Amazon Prime, iTunes ed altre piattaforme di Ghosts of the Republique, un nuovo documentario di 80 minuti che racconta la vicenda di Aurelien e Nicolas, una coppia di trentenni omosessuali che, vistasi bloccata nelle proprie aspirazioni genitoriali dalla legge francese, corre ai ripari volando a Las Vegas dove, grazie all’incontro con la signora Crystal, la madre surrogata, riesce addirittura ad ottenere due «figli».

Si tratta di una vicenda che, in teoria, avrebbe potuto esser presentata anche come denuncia dell’utero in affitto, pratica che come noto risponde a pretese più che a desideri genitoriali; peccato che invece Ghosts of the Republique sia a tutti gli effetti materiale propagandistico. E questo, attenzione, non lo sostiene qualche suo critico, ma lo ammettono gli stessi autori dell’opera, i quali sottolineano come essa abbia l’aspirazione di far cambiare idea alla gente su cosa sia oggi una famiglia.

«L’idea di cosa sia una famiglia», afferma in proposito Jonathon Narducci, regista appunto del documentario, «è uno dei pilastri più importanti della società e Ghosts of the Republique mostra che la definizione di famiglia è in continua evoluzione». Non c’è quindi bisogno di ipotizzare che dietro al film vi sia un fine manipolatorio: è già tutto ammesso nero su bianco. Tra l’altro, la stessa scelta di dare questo titolo al film non è causale. Infatti Ghosts of the Republique è riferito ai «figli» di Aurelien e Nicolas, che, alla luce dei divieti vigenti, non sono riconosciuti tali dalla legislazione francese. Questo chiaramente serve a far passare come crudele non chi effettua o promuove una pratica aberrante quale l’utero in affitto, bensì chi, con appositi divieti, tenta di ostacolarla a tutela della dignità dei minori, che non debbono diventare merce di scambio, e della dignità della donna.

A proposito di dignità della donna, un’altra chicca di quest’opera sta nel suo presentare la madre surrogata come semplicemente entusiasta del suo ruolo. La già citata signora Crystal, della quale ad un certo punto si intravede anche il marito, considera infatti il suo utero affittato come una cosa normalissima, rivelando di essere in affettuoso e costante contatto con i due “padri”. «Aurelien e Nicolas», ha rivelato in proposito la donna nel corso di una recente intervista, «sono diventati una seconda famiglia per me. Li sento spesso ed avevamo in programma di trascorrere una settimana insieme all'inizio di quest'anno ma il Covid l’ha impedito. Non vediamo l'ora di ritrovarci di nuovo insieme. Il legame che si è creato da questa esperienza unica e intima non ha confronti».

Da parte loro, pure i media che ne hanno dato notizia stanno presentando questo documentario come fondamentale per capire cosa c’è dietro la maternità surrogata. Ghosts of the Republique «aprirà gli occhi agli spettatori sui tempi drammatici che possono toccare alle coppie gay per diventare genitori», promette per esempio Los Angeles Times. D’accordo, ma il punto di vista dei bambini? E del loro diritto ad avere un padre ed una madre, che ne è? Curiosamente, di tutto questo il nuovo film sembra non occuparsi; non è né la prima volta né può essere considerato un caso.

Infatti la ben oliata macchina propagandistica pro utero in affitto non da oggi si muove sui binari dell’emotività. Racconta cioè, all’occorrenza con sottofondi musicali toccanti, storie di aspirazioni genitoriali vissute da coppie che «si vogliono bene» ed impazienti di «dare amore»; si arriva persino a presentare al pubblico – cosa non facile, oggettivamente – madri surrogate contente del loro «lavoro». Tuttavia mai, ci si faccia caso, viene considerato il punto di vista del figlio. Come mai? Probabilmente perché, se lo si facesse, la realtà orrenda e disumana dell’utero in affitto emergerebbe in tutta la crudeltà; e questo, per chi sta cercando con abili prove di regia di cambiare le carte in tavola, è semplicemente inammissibile.