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IL BEL PAESE

Divorziati risposati, vescovi che chiedono scusa per Ratzinger

Sacramenti per tutti e scusate la rigidità e il formalismo di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I vescovi di Belluno e di Vittorio Veneto annunciano la grande novità per i fedeli divorziati risposati rovesciando quanto il magistero della Chiesa ha sempre affermato, e richiarito con san Giovanni Paolo II e l'allora cardinale Ratzinger. È la nuova Chiesa che pensa di risolvere il problema della crisi dei matrimoni con le geniali trovate degli uffici diocesani. Ma le persone che vivono in situazioni irregolari vengono private della cosa più importante cui hanno diritto: la verità.

Ecclesia 26_11_2019
I vescovi di Belluno e Vittorio Veneto, Marangoni e Pizziolo

«C’è una parola iniziale da confidarvi: Scusate!»: così si è rivolto a tutte le persone separate o divorziate della sua diocesi mons. Renato Marangoni, vescovo di Belluno, in una lettera di invito per incontrarsi insieme ad alcuni responsabili diocesani della pastorale familiare, il prossimo 1 dicembre.

Ma «scusate» per cosa? «C’è in questa parola la nostra consapevolezza di avervi spesso ignorato nelle nostre comunità parrocchiali. Forse avete anche sofferto per atteggiamenti tra noi di giudizio e di critica nei vostri confronti. Abbiamo anche per un lungo tempo dichiarato che non potevate essere pienamente ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, mentre in molti di voi c’era il desiderio di essere sostenuti dal dono dei sacramenti e dall’affetto di una comunità».

«Ci siamo irrigiditi – continua mons. Marangoni - su una visione molto formale delle situazioni familiari a cui eravate pervenuti. Abbiamo sbagliato a non considerare altrettanto la situazione personale, i sogni che avevate alimentato, la vostra vocazione alla vita coniugale con i progetti di vita che comportava, seppure incorsi in vicende familiari travagliate».

Sembra un mea culpa, quello del vescovo di Belluno, ma, come capita spesso di questi tempi, mentre si dice mea culpa, si batte il petto del vicino. E il vicino, in questo caso, almeno il più prossimo, è un certo Joseph Ratzinger, Papa emerito. Mettiamo già in preventivo l’ira funesta di Marangoni, che ci accuserà di aver strumentalizzato le sue parole e di seminare discordia e contrapposizioni nella Chiesa. Pazienza: valuterà il lettore.

Resta il fatto che il “nonno saggio in casa”, come Papa Francesco ama chiamare il Papa emerito, nel 1994 spiegava che non esiste alcuna situazione soggettiva che permetta ai divorziati-risposati di poter ricevere la Comunione «per tutto il tempo che perdura tale situazione», per la ragione che «si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio» (Lettera i Vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati e risposati, n. 4). Ratzinger si dava allora la premura di precisare che tale norma «non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica», come per altro già precisato in Familiaris Consortio, n. 84.

Dunque rigidi formalisti sono stati Ratzinger e papa Wojtyla; e persino ottusi di fronte al progresso di un presunto nuovo vangelo della misericordia, visto che hanno avuto persino l’arroganza di affermare che «tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni» (Lettera ai Vescovi, n. 5). Vincolante ed immodificabile: due aggettivi che non lasciano spazio ad equivoci. Adesso però mons. Marangoni - il quale, per amore di giustizia, non è né il primo né il solo - ha svincolato la prassi, quasi fosse un pacco non recapitato per assenza di destinatario.

Come se non bastasse, quattro anni più tardi, Ratzinger rispose proprio alle critiche che provenivano da quanti invocavano una prassi differenziata, che tenesse conto delle situazioni particolari; costoro accusavano appunto Familiaris Consortio e il documento del 1994 di durezza della norma, mancata visione pastorale, inflessibilità. Ratzinger ricordava allora che «certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. "Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv. 8,32)». Adesso invece apprendiamo che la liberazione non viene dalla verità, ma dai vescovi.

Pare che anche mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, sia sulla linea del confratello (vedi qui). Non è nei toni della compunzione, ma nell’esuberanza dell’annuncio di una novità, che mons. Pizziolo rende noto che intende «prevedere per certe coppie che non vivono in pienezza il matrimonio cristiano la possibilità di accedere alla partecipazione sacramentale». Ovviamente, non senza aver compiuto un «percorso di accompagnamento». Che stupidi siamo stati (Ratzinger incluso): come abbiamo fatto a non pensare prima che un bel percorso di accompagnamento avrebbe risolto tutti i problemi? Che sarebbero state le iniziative degli uffici diocesani a risolvere il problema della crisi dei matrimoni?

Conversione, preghiera, penitenza, affidamento alla grazia: tutte cose superate e sublimate nella geniale idea di chi concepisce percorsi, corsi, incontri e magari, tra poco, qualche bel master nelle Facoltà pontificie.

Altre, però, sono le scuse che dovrebbero essere preparate: quelle che dovremo rivolgere al Signore, per aver sostituito, di nostro arbitrio, la via stretta che porta alla salvezza, con quella larga che conduce alla perdizione (cf. Mt. 7, 13-14); di aver ritenuto priva di misericordia quella via stretta, che però gode dell’aiuto della grazia, alla quale pare non si creda più.

O ancora, le scuse che dovremo presentare proprio a chi vive in situazioni irregolari, perché ben a ragione Gesù ha detto: «Avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito» (Lc. 11, 52). A questi nostri fratelli dobbiamo l’annuncio della verità, l’accompagnamento nella preghiera e nella penitenza, accettando di percorrere insieme a loro la via difficile, dicendo loro che proprio in questa situazione è più che mai necessario essere presenti ai piedi del Calvario, nella Messa, per implorare la grazia di compiere quanto sembra umanamente impossibile.

E infine è bene preparare quelle scuse che, prima o poi, i Pastori dovranno indirizzare a tutto il popolo cristiano e ad ogni uomo, per aver fatto di tutto per togliere ogni credibilità alla Chiesa, dichiarando ammissibile oggi quanto fino a ieri non lo era e squalificando con ogni sorta di aggettivo quanto fino a ieri era ritenuto buono, santo, vero.