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LETTERA

Distruggono la famiglia, non si può tacere

«La morale discende dal dogma» ha sempre affermato la Chiesa, vale a dire che l’etica trova la sua origine e la sua causa nella realtà oggettiva e, quindi, non può essere affidata al relativismo del soggetto e dei tempi.

Ecclesia 21_01_2014

Egregio Direttore,

      ringrazio vivamente per il sano dibattito che è stato aperto su La Nuova Bussola Quotidiana. Già in tempi di bonaccia il letargo non è salutare, a maggior ragione in mezzo ad una tempesta come quella che la Chiesa sta attraversando. Si sta consumando sotto gli occhi impauriti dei fedeli un feroce eccidio, sia nei confronti del diritto naturale che dei principi cristiani che hanno edificato l’Europa e che la Chiesa, nella sua differenzazione gerarchica, dal Sommo Pontefice al parroco, è chiamata a far rispettare per rendere Gloria a Dio e per salvare le anime, implicando una migliore conduzione dell’esistenza terrena. I fedeli non possono essere lasciati a se stessi, perché significherebbe gettarli in pasto a questa civiltà depravata, come ottimamente l’ha delineata il professor Mario Palmaro nella sua puntuale riflessione «Il fumo di Satana nella Chiesa», fumo avvistato da Paolo VI (con enorme scandalo dei clerico-benpensanti) 44 anni fa. Che sarà dei nostri figli e dei nostri nipoti? La responsabilità è spaventosa… li stiamo dando in pasto ad orchi malati di corruzione e perversione, guidati dal vizio e dal peccato.

Il 12 marzo 2000, prima domenica di Quaresima, Giovanni Paolo II celebrò la Santa Messa insieme con i Cardinali e domandò perdono al Signore «per i peccati passati e presenti dei figli della Chiesa». Quell’iniziativa fece molto discutere, ma cosa si dirà delle omissioni odierne? Non si può tergiversare di fronte al genocidio abortivo, di fronte alla distruzione della famiglia, sin dal suo concetto fondativo, di fronte alle nuove direttive scolastiche europee che indottrinano i bambini: vittime ignare di diabolici e infernali insegnamenti. Dio Giudice continua ad esistere, anche se la cultura contemporanea Lo ha illusoriamente abolito.

Nel 1969 uscì a Parigi un libro di perfetta attualità filosofica, L’intelligenza in pericolo di morte di Marcel de Corte. In questo saggio l’autore affrontava i peggiori e più pericolosi equivoci del nostro tempo. L’intelligenza dell’uomo, che si sta suicidando (anche a livello demografico, oltre che per qualità della sua vita naturale e spirituale), è stata ripudiata dall’umana sapienza, nutrita di matematiche certezze, di analisi spietate e di un’insaziata avidità di godimento immediato. Tuttavia una tal degenerazione è costruita sulle sabbie mobili. Nella sua diagnosi de Corte denuncia la malattia e dissolve il miraggio. Le moderne dottrine, succubi del potere mediatico, stanno unicamente in compagnia dei luciferini pensieri, che lasceranno l’individuo alla disperazione delle sue turpitudini.

L’uomo moderno (compresi molti uomini di Chiesa) è disabituato a ragionare con la propria mente e preferisce cullarsi pigramente nell’illusione della bontà degli istinti e dei sentimenti umani, senza più fare riferimento alle regole del Creatore. Soltanto le verità eterne ed immutabili (dove il concetto di modernità non esiste, perché limitato ad un breve spazio di tempo terreno) potranno far tornare - spinti dal desiderio del soprannaturale e dall’anelito al silenzio e alla meditazione (a questo proposito non si può non ricordare un lucido filosofo come Cornelio Fabro)  - che cosa siano realmente un uomo e una donna e da dove essi vengano e a che cosa siano destinati.  

Un altro libro potrebbe fare molto bene per pensare non in termini ingannevoli, ma realistici. Su di esso ha scritto Guido Vignelli: «La Gerarchia ecclesiastica condanna gl’individui (madri o medici) che praticano l’aborto, ma assolve i parlamentari che lo legalizzano e i ministri che l’organizzano istituzionalmente. Ma la storia dimostra che la secolarizzazione della vita individuale e familiare viene preparata e favorita dalla secolarizzazione della vita sociale! Si pone quindi il problema di come e perché siamo giunti a questa discrepanza dottrinale che ha favorito il degrado e la sterilità dell’impegno sociale della Chiesa». Il saggio collettaneo, uscito in lingua spagnola e francese sarà presto tradotto anche in italiano: Iglesia y polìtica: cambiar de paradigma, Fundaciòn (Elìas de Tejada, Madrid 2013); Eglise et politique: changer de paradigme (Artège, Paris 2013). Tale volume raccoglie gli elaborati di dodici studiosi, docenti universitari di politica e diritto (Giovanni Turco, Miguel Ayuso, Danilo Castellano, Juan Fernando Segovia, Julio Alvear, Gilles Dumont), di storia (Christophe Réveillard e John Rao), di filosofia (Sylvain Luquet e José Miguel Gambra), di teologia (Bernard Dumont e padre Ignacio Barreiro). Il testo si differenzia da quelli prodotti da coloro che hanno sposato il pragmatismo ad ogni costo, che tenta di conciliare l’inconciliabile, nel vano tentativo di indicare nella via mediana quella migliore: ricordiamo cosa accadde nei referendum sul divorzio e sull’aborto? Oggi godiamo delle scelte democristiane compiute da uomini “mediani”, amanti dei compromessi in fatto di valori non negoziabili. 

Semplificazione brutale è dire: «Il Papa ha sempre ragione». Un esempio: il gesuita ed eccellente cattolico Cardinale Louis Billot, che paventava la rapida laicizzazione degli Stati, criticò aspramente la condotta di Papa Pio XI nei riguardi dell’Action française, condannata dalla Santa Sede nel 1926, condanna rimossa da Pio XII nel 1939. L’Action française pubblicò un articolo di critica nei confronti della Chiesa e il Cardinale inviò un messaggio di adesione. L’alto prelato fu convocato in Vaticano il 13 settembre 1927 e ricevuto in udienza dal Papa. Pochi minuti dopo il suo ingresso, Billot uscì dalla sala senza zucchetto, anello e croce pettorale: aveva rinunciato alla dignità cardinalizia perché indignato dalla dura presa di posizione del Pontefice e della Segreteria di Stato contro l’Action française. Morì come semplice sacerdote della Compagnia di Gesù nel 1931.

Non va dimenticato, inoltre, che la morale non è unicamente un problema di risultati e di idoneità dei mezzi per raggiungerli. La morale è innanzitutto selezione dei fini: l’etica appartiene essenzialmente, come afferma San Tommaso d’Aquino, all’ordine dell’agire al fine. L’utilizzo dei mezzi adeguati a conseguire i fini è susseguente e secondario rispetto a tale orientamento teleologico. 

«La morale discende dal dogma» ha sempre affermato la Chiesa, vale a dire che l’etica trova la sua origine e la sua causa nella realtà oggettiva e, quindi, non può essere affidata al relativismo del soggetto e dei tempi. Ne consegue che le strategie della Chiesa, come quelle di ogni persona e di ogni società, sono buone se dirette al vero e al bene, sbagliate se dirette al falso e al male. Perciò il pragmatismo, dunque il clerico-machiavellismo (o, se vogliamo, clerico-weberismo, praticato in abbondanza dalla cultura statunitense, sotto la copertura della cosiddetta «etica della responsabilità»), nelle questioni di Chiesa, è destinato a danneggiare e poi a fallire, perché la Chiesa appartiene al Re, Cristo, che utilizzò, durante la sua predicazione, metodi buoni e giusti (santi) indirizzati ad un fine buono e giusto (santo).

Oltre al resto (perfettamente già esposto da Palmaro) non è concepibile, come fanno alcuni, isolare affermazioni e parti del pensiero di autori passati, pretendendo così di traghettarli nelle teorie filosofiche, teologiche, dottrinali dell’età contemporanea; questo stratagemma va sotto il nome di «criptostoricismo» e si traduce, in pratica, nel far sostenere ai suddetti autori dottrine contemporanee antitetiche al loro pensiero. Sant’Ignazio, per esempio, non è e non potrà mai essere un prodotto della modernità, nata dall’Illuminismo anticristiano e gnosticheggiante e sua continuatrice, anche perché egli fu un chiaro interprete della Controriforma, in un’età in cui il soggettivismo (il libero esame protestante) si sostanziava nella presunta opinabilità delle asserzioni che la Tradizione della Chiesa aveva fino ad allora difeso e custodito e continuava a custodire per trasmetterle ai discendenti. Ecco, noi fedeli del XXI secolo imploriamo alle Autorità ecclesiastiche preposte che continuino a difendere non le opinioni soggettive (che non fanno altro che creare confusione su confusione, non essendo conformi all’ordine di Dio), ma la Verità di Cristo, difesa e trasmessa proprio dalla Chiesa e non da altri. Allo stesso modo la pastorale (metodo e mezzo) è chiamata a percorrere la stessa strada con lo scopo di salvare la persona, tutta intera, anima e corpo.

Nella sua omelia il beato John Henry Newman il 2 febbraio 1849 nella cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri a Birmingham (da lui fondato un anno prima), invitò i presenti, fra i quali c’erano anche degli anglicani, mossi da curiosità: «ad abbandonare la strada di morte per essere salvi. Non esige nulla di grande, né di eroico o di santo. Esige unicamente la convinzione – e questa non ci manca – che la religione cattolica è stata dispensata da Dio per la salvezza degli uomini, e che le altre religioni non sono altro che imitazioni […] Vi invitiamo soltanto a considerare, in primo luogo, che avete delle anime da salvare, e, in secondo luogo, a giudicare da voi stessi se, avendo Dio rivelato una religione per redimervi, quella religione può essere diversa dalla fede che noi predichiamo».