Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Disarmare Hamas a Gaza è solo un miraggio

Dopo il breve conflitto di Gaza, Israele punta alla soluzione internazionale: un accordo che garantisca il disarmo di Hamas. Ma il partito armato islamico, come Hezbollah in Libano, è troppo radicato sul territorio per lasciarsi disarmare. L'Onu risulterebbe, anche a Gaza, impotente. L'unica opzione sarebbe la conquista di Gaza. Ma chi ne ha il coraggio?

Esteri 25_05_2021 English Español
Yahya Sinwar, leader di Hamas, celebrato a Gaza

Mentre il cessate il fuoco mediato da Egitto e Qatar sembra reggere all’indomani della fine delle e ostilità a Gaza è tempo di bilanci e anche se tutti si dichiarano a loro modo vincitori al termine di dieci giorni di scontri non mancano gli elementi su cui riflettere.

Dall’inizio dell’operazione israeliana “Guardiano delle mura” le Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) e il Movimento della Jihad Islamica hanno lanciato contro Israele 4.340 razzi, 640 dei quali abortiti al momento del lancio o caduti all’interno della Striscia mentre il  sistema di difesa anti missile Iron Dome ha abbattuto circa 3600 razzi, pari al 90% di quelli sparati contro Israele; i missili non intercettati hanno invece colpito le città di Nevit Haasara, Sderot, Ashkelot, Ashdod e Lod, le periferie di Gerusalemme, Nazareth, Beersheba, Holon e la stessa Tel Aviv. Tredici le vittime in Israele tra cui un militare con 117 i feriti gravi (114 civili e tre militari) mentre la risposta militare israeliana ha causato la morte di almeno 248 persone, più della metà delle quali appartenenti alle milizie e oltre 1900 feriti. I bombardamenti israeliani avrebbero distrutto o danneggiato 2mila edifici e 500 rampe di lancio dei razzi oltre a depositi di armi e oltre 100 chilometri di tunnel che collegano la Striscia di Gaza con il territorio del Sinai egiziano.

Da questi numeri si possono trarre alcune valutazioni che rendono però difficile attribuire la vittoria in modo netto e incontrovertibile. Innanzitutto le perdite sono state in generale molto limitate considerando la massa di armi e la potenza di fuoco impiegata, a conferma che Israele ha ben difeso il suo territorio e ha colpito quasi sempre in modo “chirurgico” il nemico evitando carneficine tra i civili usati come “scudi umani” dai miliziani palestinesi. Hamas ha subito perdite rilevanti in termini di uomini e comandanti ma che potrà rapidamente compensare con nuovi arruolamenti e nomine mentre i razzi utilizzati, a cui aggiungerne alcune centinaia distrutti dai raid aerei israeliani nei depositi potrebbero rappresentare un sesto o addirittura in decimo dei 30mila o forse 50mila che secondo fonti d’intelligence israeliane e statunitensi sarebbero presenti a Gaza.

Questo significa che è difficile proclamare la sconfitta di Hamas e Jihad Islamica palestinese se possono in ogni momento disporre delle capacità militare di riaprire le ostilità cercando di bersagliare le città israeliane. Non è certo un caso che Gerusalemme punti oggi a un accordo internazionale che garantisca il disarmo di Hamas, impossibile però da accettare per i miliziani sostenuti dall’Iran ma anche da Turchia e Qatar. Inutile farsi illusioni che una missione internazionale (dell’ONU) possa raggiungere un simile obiettivo, Basti ricordare che i 12 mila caschi blu schierati in Libano meridionale dal 2006 avevano tra i loro compiti il disarmo delle milizie (soprattutto quelle di Hezbollah) che a oggi non è mai stato neppure tentato su vasta scala. Il disarmo di milizie così radicate sul territorio e che hanno il totale controllo della popolazione, volontario o basato sul terrore, si può concretamente attuare solo dopo aver inflitto loro una decisiva sconfitta militare.

Nel caso di Hamas a Gaza l’unica possibilità di scongiurare nuovi lanci di razzi contro le città israeliane è riposta in un’operazione militare su vasta scala che permetta di conquistare la Striscia di Gaza metro dopo metro eliminando ogni sacca di resistenza e distruggendo tutti i depositi di armi e razzi. Certo Israele avrebbe difficoltà a giustificare alle cancellerie e all’opinione pubblica internazionale una durissima campagna militare casa per casa (resa ancor più feroce dalla resistenza che opporrebbero miliziani consapevoli di non avere scampo) e ancor di più il ripristino di quell’occupazione della Striscia che mantenne fino al ritiro del 2005.

Per questo, anche un’opzione bellica tesa ad annientare i miliziani palestinesi, dovrebbe prevedere che Israele ceda il controllo del territorio di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen e alle forze egiziane. Il Cairo, alle prese con le milizie jihadiste del Sinai, avrebbe tutto l’interesse a stabilizzare Gaza ma potrebbe non essere disposta a schierare migliaia di soldati e poliziotti all’interno del territorio abitato da 2,5 milioni di palestinesi.

Certo si tratta solo di ipotesi e di opzioni che per ora non sembrano essere all’ordine del giorno. Tuttavia, se è vero che il disarmo di Hamas costituisce il primo passo verso la pace, è altrettanto vero che non potrà essere effettuato se non utilizzando con determinazione strumenti coercitivi militari.