Diritti umani, si va verso un altro commissario gay-friendly
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Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha individuato tre candidati alla carica di commissario per i diritti umani. Due sono firmatari dei Principi di Yogyakarta. La pecca dei governi conservatori: la rinuncia a proporre nomi seri.
Ieri il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (CdE), organismo dove siedono gli ambasciatori di 46 Paesi (tra cui tutti i 27 dell’Unione europea), ha individuato una rosa di tre candidati alla carica di commissario per i diritti umani. L’Assemblea Parlamentare dello stesso CdE, durante la sessione plenaria del 22-26 gennaio 2024, sarà chiamata ad eleggere con votazione segreta il nuovo commissario. I nomi scelti dagli ambasciatori sono quelli della bulgara Meglena Kuneva, dell’austriaco Manfred Novak e dell’irlandese Michael O’Flaherty.
Nei giorni precedenti, il 21 e 22 novembre, gli stessi ambasciatori si erano riuniti a Strasburgo per valutare i candidati in lizza proposti dai governi. Tutti avevano un minimo comun denominatore: la più o meno stretta vicinanza a lobby Lgbt e abortiste. Il candidato che verrà eletto, qualunque sia il nome scelto nella terna proposta, gestirà presumibilmente il mandato in continuità con il ventennio precedente: una gestione politica e partigiana che riduce ai soli cosiddetti “diritti riproduttivi”, a quelli delle minoranze extracomunitarie e rom e ai privilegi Lgbt, i diritti umani fondamentali che questo importante organismo europeo dovrebbe promuovere.
Infatti, gli obiettivi fondamentali del commissario, si legge nel sito istituzionale del CdE, sono quelli di «promuovere l'effettiva osservanza dei diritti umani e assistere gli Stati membri nell'attuazione degli standard del Consiglio d'Europa in materia di diritti umani; promuovere l'educazione e la consapevolezza dei diritti umani; identificare eventuali carenze nella legge e nella prassi in materia di diritti umani; facilitare le attività delle istituzioni nazionali dei difensori civici e di altre strutture per i diritti umani e fornire consulenza e informazioni sulla tutela dei diritti umani» nei Paesi membri.
Il compito del commissario sarebbe dunque quello di incoraggiare riforme che possano migliorare i diritti umani, soprattutto quelli presenti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella quale non c’è né l’aborto né l’ideologia gender. Tale ruolo consente, a chi lo ricopre, di collaborare con diverse istituzioni internazionali e nazionali dei vari Paesi e ai meccanismi di monitoraggio dei diritti umani, tra cui quelli delle Nazioni Unite, oltre che con l'Unione europea, l'Osce e le principali organizzazioni non governative, marcatamente legate alle ideologie liberalsocialiste, abortiste e gay-friendly, come ampiamente dimostrato da diverse ricerche dello European centre for law and justice (Eclj).
La grave pavidità, mostrata dalla ventina di governi conservatori degli Stati aderenti al CdE, garantirà alle lobby che promuovono aborto e diritti gay di proseguire la loro attività come hanno fatto nell’ultimo ventennio, a danno di vita, maternità, famiglia, libertà educativa e libertà di religione. La rinuncia a proporre un serio candidato cristiano e conservatore è l’ennesima conferma della sudditanza (im)morale e psicologica dei conservatori e popolari verso i liberalsocialisti. I tre predecessori del prossimo commissario sono infatti tutti di marca liberalsocialista. Innanzitutto, lo svedese Thomas Hammarberg (aprile 2006 - marzo 2012), i cui punti salienti del mandato sono stati la difesa dei diritti umani di rom e migranti e la sensibilizzazione sui diritti umani delle persone Lgbt, con l’approvazione del documento “Diritti umani e identità di genere” (luglio 2009).
Dopo di lui, il lettone Nils Muižnieks (aprile 2012 - marzo 2018), uomo che ha ricoperto diversi incarichi nella Open Society Foundation di George Soros e, a fine mandato, è stato premiato con l’incarico di direttore europeo per Amnesty International, organizzazione finanziata e sostenuta dallo stesso “filantropo”. Dopo di lui, l’attuale commissario Dunja Mijatović (marzo 2018), altrettanto vicina alle organizzazioni che fanno capo a Soros e nota per i suoi attacchi ai Paesi conservatori, musulmani o cristiani, che impediscono l’aborto libero, tutelano i diritti dei genitori e non accettano l’ideologia gender.
Tra i tre candidati, Michael O' Flaherty, direttore uscente (dopo due mandati) dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell'Ue (Fra), appare come il più prestigioso e pericoloso di tutti. Ex sacerdote cattolico, O' Flaherty, in forza del suo passato mandato nell’Ue e di quello che ricoprirebbe se venisse eletto al CdE, avrebbe una spropositata influenza sia su Bruxelles che su Strasburgo, nel perseguire la diffusione e attuazione in toto dei Principi di Yogyakarta, per applicare cioè nel diritto internazionale i concetti di orientamento sessuale e identità di genere, Principi di cui è stato ispiratore e relatore sin dalla loro teorizzazione nel 2006. La scelta dei governi conservatori di “lavarsi le mani” e rinunciare a presentare nomi seri rimane inspiegabile.
Anche Manfred Nowak è un altro firmatario dei Principi di Yogyakarta. La meno schierata dei tre appare Meglena Kuneva, liberale ed ex commissaria europea, ma che pure è inaffidabile sui principi non negoziabili.
Qualche nome che si poteva proporre: il francese Gregor Puppinck, direttore di Eclj; l’inglese Andrea Minichiello Williams, direttrice esecutiva di Christian Concern; Jan Figel, già alto rappresentante europeo per la libertà religiosa.