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IMMIGRAZIONE

Diritti e doveri per una vera cittadinanza

Il qualunquismo rispetto alla nostra identità alimenta l'incapacità di risposte adeguate al fenomeno immigratorio...

Attualità 31_01_2011
Immigrati

C’è una questione primaria che le società del nostro tempo debbono affrontare, e debbono farlo anche in tempi rapidi, prima che questa ne condizioni negativamente il futuro anche economico e la pacifica convivenza: mi riferisco ai massicci flussi migratori ed ai conseguenti problemi di integrazione. Le migrazioni sono un fenomeno da governare. Richiedono una lettura equilibrata che sfati alcune interpretazioni legate alle mode del momento: sarebbe sbagliato pensare che si possano impedire le migrazioni, ma sarebbe altrettanto sbagliato ritenere che la cosa migliore sia aprire la porta a tutti.

La società multireligiosa e multiculturale non è un fatto negativo in sé, né è portatrice solo di vantaggi. Molti immigrati sono in stato di necessità (e vanno aiutati), ma molti altri non hanno solo buone intenzioni. Cominciamo col chiarire, noi cattolici, che per la Dottrina sociale della Chiesa esiste un diritto ad emigrare che deve essere garantito a tutti: ognuno deve poter lasciare liberamente il proprio Paese. Il diritto di emigrare rientra nella libertà personale ed ha a che vedere con la possibilità di fuggire a persecuzioni o minacce per motivi politici o religiosi, come pure con il diritto di cercare il proprio benessere e quello delle proprie famiglie.

Ma, come dice il vescovo Gianpaolo Crepaldi nel suo libro Il cattolico e la politica, “non esiste invece un diritto assoluto ad immigrare, cioè entrare in un altro Paese, questo perché ogni Paese ha diritto a proteggere se stesso e tutelare la propria identità culturale che in caso di immigrazione massiccia potrebbe essere messa in pericolo”. E ancora: “Un Paese ha anche il diritto a selezionare gli ingressi, per motivi di sicurezza, per esempio, o di pace sociale, e a disciplinarli secondo criteri suoi propri”.

Dietro le migrazioni non ci sono solo problemi giuridici ma situazioni umane spesso difficili: se le ‘barriere’ di ingresso ci vogliono, esse devono anche rispondere a esigenze umanitarie di accoglienza di chi è perseguitato, e in ogni caso davanti a un immigrato, anche clandestino, non cessano i doveri che si hanno nei confronti di ogni persona umana. Quando qualcuno approda, sia pure illegalmente, in un Paese, non perde il diritto umano di essere sfamato, dissetato, vestito e curato.

Ci troviamo davanti a tre distinti livelli del problema: i diritti umani elementari, che vanno garantiti a tutti (anche ai clandestini); i diritti del lavoro e sociali, che vanno garantiti da subito ai regolari; i diritti politici, la cui acquisizione deve richiedere invece, a mio avviso, molto tempo. Non è il caso infatti che questi diritti vengano concessi troppo presto: basti pensare che l’esercizio del diritto di voto si traduce nel potere di delineare la direzione verso cui la società intera vuole andare. Non è perciò sufficiente che si impari la lingua o la Carta costituzionale, bisogna che si condividano i valori di fondo della società che si pretende di contribuire ad orientare, in una parola occorre un forte senso di appartenenza.

Ma cosa si intende per "società multiculturale"? E’ un concetto che non può significare che le varie comunità vivano ognuna separata dall’altra, nel ghetto proprio; questa non è integrazione ma un accostamento caotico di diverse entità chiuse in se stesse che non comunicano fra loro. Così come non favorisce l’integrazione la costituzione di classi scolastiche composte tutte da alunni di una certa etnia culturale. E non favorisce l’integrazione nemmeno il permettere che gli antichi cittadini di un quartiere debbano abbandonare le case ove sono da sempre vissuti perché "invasi" da gente di diversa cultura che ha monopolizzato il territorio, come purtroppo è successo soprattutto in Europa.

Un tema strettamente connesso con tutto ciò è il criterio del "rispetto delle regole". Si dice spesso: “Bisogna accogliere chi entra nella nostra società, ma nel rispetto delle regole”. Il principio è corretto e l’esigenza è legittima. Però le regole rivelano sempre una cultura, non sono mai semplici procedure formali. E la cultura della legalità riguarda non solo gli ambiti del diritto e della legge, ma anche la concezione della persona e dei motivi del nostro stare insieme.

Le nostre leggi sono frutto, talvolta riuscito talvolta meno, di secoli di storia, di influssi religiosi e filosofici, di un costume diffuso. Non è quindi sufficiente rifarsi al rispetto delle regole se a monte non si ha la piena consapevolezza che le nostre regole hanno un senso preciso ed esprimono non solo una convenzione ma anche dei valori. A questi valori bisogna educare i nuovi venuti, e per far ciò non è certo sufficiente un corso di poche ore sulla Costituzione.

Ma c’è un altro aspetto da considerare: il primo problema da affrontare, prima ancora di chiederci "chi sono loro", è "chi siamo noi". Per poter dialogare, e magari anche modificare alcune nostre idee e prassi consolidate, dobbiamo partire da una nostra identità. Diversamente ci sarà solo la marmellata di una caotica società multiculturale. Se ci guardiamo intorno, però, non vediamo una forte consapevolezza della grandezza e dei limiti della nostra cultura. Anzi, il relativismo culturale dilagante, è frutto di un relativismo etico più ampio e molto presente nella nostra vita quotidiana.

Una società che non sa più cosa sia la famiglia, che contempla l’aborto o la possibilità di sottoscrivere un testamento biologico, che prevede il suicidio assistito, che non sa dire no alle coppie omosessuali che pretendono un riconoscimento giuridico, è una società che non sa più da dove viene né verso dove vada. E questo qualunquismo rispetto alla nostra identità alimenta, da un lato, il massimalismo dei respingimenti e, dall’altro, il colpevole buonismo dell’accoglienza indiscriminata.

Insomma, le problematiche relative all’integrazione richiedono certamente un’attenzione ai diritti sia di chi accoglie sia di chi viene accolto. Ma oltre ai diritti dobbiamo ragionare anche sui doveri per costruire una vera "cittadinanza". Sono temi importanti, di cui molto si parla, e che meritano un approfondimento. E’ quanto il MCL farà a Napoli, nella conferenza nazionale su “Immigrazione nella legalità: identità e incontro”, in programma l’11 e 12 febbraio. Un’occasione in più per analizzare le diverse implicazioni che il fenomeno migratorio comporta, se vogliamo che si traduca in un incontro anziché in uno scontro. 

*Presidente del Movimento Cristiano Lavoratori (MCL)