«Diplomazia della speranza» nel discorso al Corpo Diplomatico
Ieri il consueto incontro tra il Papa e i rappresentanti degli Stati: "pace giusta", "debito climatico" e quattro responsabilità per i leader mondiali sulla scia del messaggio giubilare.
La «sosta» giubilare e la «diplomazia della speranza» al centro dell'ampio discorso tenuto ieri da Francesco ai membri del Corpo Diplomatico accreditato in occasione del consueto appuntamento per gli auguri di inizio anno. Un momento istituzionale e familiare «lasciando alle spalle le contese che dividono e per riscoprire piuttosto ciò che unisce» – così ha esordito il Papa – che assume quest'anno una «valenza simbolica speciale» poiché «il senso stesso del Giubileo è quello di “fare una sosta” dalla frenesia che contraddistingue sempre più la vita quotidiana».
In apertura Francesco ha menzionato quali testimonianze dell'«affetto e la stima che i vostri popoli e i vostri governi hanno per la Sede Apostolica», il Secondo Protocollo Addizionale all’Accordo fra la Santa Sede e il Burkina Faso sullo statuto giuridico della Chiesa Cattolica in Burkina Faso, l'Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Ceca su alcune questioni giuridiche, nonché il rinnovo dell'accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Ha ricordato inoltre i viaggi compiuti nel 2024 in Italia e all'estero.
L'anno si apre in un contesto caratterizzato da «crescenti contrasti» e «società sempre più polarizzate, nelle quali cova un generale senso di paura e di sfiducia verso il prossimo e verso il futuro (...) aggravato dal continuo creare e diffondersi di fake news (...) generando un clima di sospetto che fomenta l’odio» – al riguardo il Papa ha citato gli attentati al premier slovacco Fico e al presidente USA eletto Trump. Nell'anno del Giubileo Francesco invita a «superare la logica dello scontro e abbracciare invece la logica dell’incontro», anche grazie alla «vocazione della diplomazia» che «è quella di favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più “scomodi” o che non si riterrebbero legittimati a negoziare».
Quindi l'invito a «una diplomazia della speranza, di cui tutti siamo chiamati a farci araldi, affinché le dense nubi della guerra possano essere spazzate via da un rinnovato vento di pace», evidenziando «alcune responsabilità» dei leader politici, volte «all’edificazione del bene comune e allo sviluppo integrale della persona umana». Queste si basano sulle parole del profeta Isaia (61,1-2a).
Portare il lieto annuncio ai miseri è la prima responsabilità indicata da Francesco, in quest'epoca in cui «l’umanità ha sperimentato progresso, sviluppo e ricchezza e forse mai come oggi si è trovata sola e smarrita» e tuttavia conserva in sé «un’innata sete di verità», che talora però sfocia nella «tendenza a crearsi una propria “verità”, tralasciando l’oggettività del vero». Uno sbilanciamento amplificato dalle potenzialità e insieme dai rischi connessi all'informatica e all'intelligenza artificiale. In questo contesto il Papa ricorda che «una diplomazia della speranza è perciò anzitutto una diplomazia della verità», poiché senza «il legame fra realtà, verità e conoscenza (...) vengono a mancare le fondamenta di un linguaggio comune, ancorato alla realtà delle cose e dunque universalmente comprensibile», altrimenti si cade nella Babele, anche diplomatica (nel tentativo di «strumentalizzare i documenti multilaterali»). E naturalmente nella «colonizzazione ideologica» che «fa spazio alla cancel culture» e giunge a «parlare di un cosiddetto “diritto all’aborto” che contraddice i diritti umani, in particolare il diritto alla vita» (cosa che il Papa definisce «inaccettabile»).
Quindi fasciare le piaghe dei cuori spezzati poiché «una diplomazia della speranza è pure una diplomazia di perdono», tanto più necessaria «in un tempo pieno di conflitti aperti o latenti, di ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza». Il Papa rinnova l'auspicio a porre fine alla guerra in Ucraina con «una pace giusta e duratura», così come «l’appello a un cessate-il-fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, dove c’è una situazione umanitaria gravissima e ignobile».
Proclamare la libertà degli schiavi, vittime di «molteplici schiavitù», anche lavorative, «specialmente laddove una diffusa disoccupazione favorisce il lavoro nero e conseguentemente la criminalità». E anche la schiavitù praticata dai «trafficanti di uomini», una delle più tremende. «Una diplomazia della speranza è una diplomazia di libertà, che richiede l’impegno condiviso della Comunità internazionale per eliminare questo miserabile commercio». E rispetto alle vittime di questo traffico, ripete le quattro parole: «accogliere, proteggere, promuovere e integrare». Francesco critica nuovamente i respingimenti e la diffidenza verso le migrazioni che, a suo dire, dovrebbero «essere considerate una fonte di accrescimento» invece che «un problema da gestire».
L'ultima responsabilità è proclamare la scarcerazione dei prigionieri: «La diplomazia della speranza è infine una diplomazia di giustizia, senza la quale non può esservi pace». Ricollegandosi all'anno giubilare come «tempo favorevole per praticare la giustizia, per rimettere i debiti e commutare le pene dei prigionieri», il Papa rinnova l'appello «perché la pena di morte sia eliminata in tutte le Nazioni». La constatazione che «in un certo senso siamo tutti prigionieri, perché siamo tutti debitori: lo siamo verso Dio, verso gli altri e anche verso la nostra amata Terra» offre al Papa l'occasione per parlare nuovamente di responsabilità e cura della «casa comune» – la natura – che «sembra ribellarsi all’azione dell’uomo» con cicloni e alluvioni. Immancabile anche il riferimento alla Cop29, esortando alla «condivisione delle risorse a favore dei molti Paesi vulnerabili alla crisi climatica e sui quali grava il fardello di un debito economico opprimente», nonché «una nuova forma di iniquità di cui oggi siamo sempre più consapevoli: il “debito ecologico”».