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RENZI REFERENDUM

Dice che se perde lascia tutto. Ma davvero lo farà?

Con un centrodestra diviso e privo di leadership, tutti i sondaggi  prevedono che saranno solo Pd e grillini a gareggiare per la guida del Paese. Renzi non perde occasione per avvisare che, qualora al referendum costituzionale di ottobre, prevalessero i “No”, lui ne trarrebbe le conseguenze e lascerebbe la politica.

Politica 23_05_2016
Il premier Matteo Renzi

Nella tanto vituperata, ma da alcuni sentitamente rimpianta, Prima Repubblica, nessun politico di razza si sarebbe mai sognato di minacciare il ritiro in caso di sconfitta. Chi perdeva ripartiva subito, non si arrendeva e cercava la rivincita. Gli insuccessi fanno parte della vita e chi non è pronto a subirne i contraccolpi non può candidarsi a guidare un Paese. Fa dunque specie che in queste ore i principali competitor si affrettino ad annunciare ai rispettivi elettori che, qualora dovessero perdere, sparirebbero dalla vita politica.

Con un centrodestra diviso e privo di leadership, tutti i sondaggi sonoconcordi nel prevedere, in prospettiva, una competizione tra centrosinistra e grillini per la guida del Paese. Matteo Renzi non perde occasione per avvisare simpatizzanti e oppositori che, qualora al referendum costituzionale di ottobre, prevalessero i “No” alla riforma fortemente voluta dal governo, lui ne trarrebbe le conseguenze e lascerebbe la politica. Ieri anche la ministra Maria Elena Boschi ha dichiarato in una trasmissione televisiva che in quell’ipotesi farebbe la stessa scelta del premier. Qualche giorno fa Beppe Grillo disse chiaro e tondo che se alle prossime elezioni politiche i Cinque Stelle non dovessero vincere e andare al governo, il Movimento si scioglierebbe e riterrebbe conclusa la sua esperienza politica. 

Volendo ironizzare su queste esternazioni e portandole alle estreme conseguenze, potremmo concludere che se il referendum non andasse come auspica Renzi e se le politiche non andassero come sogna Grillo, sulla scena politica resterebbe solo il centrodestra con il redivivo Berlusconi. Proprio quello scenario da partito unico che il premier e i pentastellati dicono di voler scongiurare con i continui proclami sulla riforma dell’attuale democrazia degli inciuci e dei conflitti di interessi. Ovviamente, si tratta di frasi a effetto che sia Renzi sia Grillo pronunciano per galvanizzare i rispettivi elettorati e per “minacciare” velatamente il Paese, lasciando intravvedere sullo sfondo un vuoto politico e un caos istituzionale che in fondo tutti temono. 

Sono in tanti a non amare Renzi, ma a ritenere il suo governo “il migliore dei mondi possibili”, almeno per ora. Sono in moltissimi a sentirsi vessati da un fisco iniquo e a temere per il futuro delle nuove generazioni tanto da accarezzare l’idea di una svolta radicale come quella prospettata dai pentastellati. Ecco perché potrebbero essere in molti a votare “Si” al referendum solo per paura dell’instabilità che deriverebbe dall’eventuale successo dei “No”. Si pensi al mondo imprenditoriale, che assapora una leggera ripresa economica, ai beneficiari degli 80 euro, che hanno apprezzato alcune riforme promosse dall’esecutivo, agli assunti grazie al Jobs Act, alle coppie omosessuali raggianti per la recente legge sulle unioni civili. Non si tratta di fedelissimi renziani, ma di persone che agiscono sulla base di valutazioni convenientistiche e di puro realismo. 

Soprattutto a loro si rivolge il Presidente del Consiglio quando annuncia che lascerebbe la politica se andasse male il referendum. E loro, che in molti casi non amano il premier, tuttavia temono un altro governo che possa fare scelte diverse e a loro avverse. Invece, nel campo grillino c’è in prevalenza un elettorato esasperato, svogliato, disilluso, che insegue un cambiamento e punta tutto sui disegni rivoluzionari della classe dirigente pentastellata. Si tratta, però, di cittadini non disposti a rimanere eternamente all’opposizione. Ecco perché l’ex comico prova a dare loro una prospettiva, a ricompattarli, a prepararli ad una vittoria che i sondaggi danno alla portata. «Ora o mai più», sembra dire Grillo ai suoi, sperando di stimolarli ad un ultimo sforzo decisivo e di scongiurare un anticipato “rompete le righe”.

Guardando a ritroso, non mancano esempi di politici che si sono dimessi in caso di sconfitta. Nel 2000 il premier Massimo D’Alema lasciò Palazzo Chigi a seguito della sconfitta alle regionali, ma non l’annunciò prima. Ritenne opportuno farlo a urne chiuse, dopo lo spoglio, prendendo atto di una débacle in parte imprevista. Poi, però, sappiamo che l’esponente Pd non ha certo chiuso lì la sua parabola politica e tutt’oggi cerca di dire la sua, pur stando nelle retrovie. Quel modello di comportamenti è al momento irripetibile. 

Renzi ha già messo le mani avanti: se perdesse le amministrative, se centrodestra e opposizione grillina strappassero a Pd e centrosinistra la guida delle principali città, nulla cambierebbe perché «si vota per i sindaci e non per il governo». Un modo come un altro per ribadire che la battaglia che a lui davvero interessa è quella di ottobre. Riforma si, riforma no, per dare uno scossone al Paese e per blindarsi a Palazzo Chigi da una posizione di forza, proiettandosi verso le politiche del 2018 con un solido “Partito della nazione” che prenderebbe forma proprio a partire dai “Comitati per il Si’”. 

Anche dai “Comitati per il No”, pur facenti capo a soggetti politici tra di loro incompatibili (Movimento Cinque Stelle da una parte, centrodestra più o meno compatto dall’altra, sinistra sociale e radicale assai attrattiva verso pezzi di sindacato, associazioni varie) potrebbe nascere una nuova classe dirigente post-renziana. Il collante di tutti i fautori del “No” è proprio l’anti-renzismo. Spetterebbe a loro candidarsi alla guida del Paese in caso di ritiro dalla politica dell’attuale premier.