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CAGLIARI

Dice che i gay vanno curati. Prof condannata e multata

Istituto tecnico Martino di Cagliari. Una insegnante confida a quattro ragazze della stessa scuola i suoi pensieri su un suo alunno  omosessuale: «andrebbe curato da uno psichiatra». La confidenza arriva a un giudice. Multa di 700 euro. 

Cronaca 09_08_2014
Attacco alla libertà

Istituto tecnico Martino di Cagliari. Una insegnante di educazione fisica confida a quattro ragazze della stessa scuola i suoi pensieri su un suo alunno del secondo anno che è omosessuale: il ragazzo presenta «manifestazioni di peccato mortale e divino, contrarie a precisi dettati morali e religiosi». Ed aggiunge che «andrebbe curato da uno psichiatra». La confidenza arriva alle orecchie del Giudice di pace Maria Grazia Argiolas che ha condannato per diffamazione la docente ad una multa di 700 euro e al risarcimento delle spese processuali. 

Trattasi di prove tecniche del disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia. Anzi, questo disegno di legge è inutile, già esistendo oggi gli strumenti normativi e processuali per silenziare efficacemente l’opposizione, come ha dimostrato il giudice Argiolas. La differenza sta semmai che nel caso cagliaritano l’insegnante se l’è cavata con poco, se passerà invece la legge Scalfarotto il carcere è l’unica prospettiva per coloro i quali urteranno le delicatissime sensibilità dei gay. Poco servirà al cattolico duro e puro protestare dicendo che le esternazioni dell’insegnante di educazione fisica sono vere e sacrosante. Per il nostro ordinamento giuridico, infatti, il reato di diffamazione si concretizza anche nel caso in cui i giudizi espressi corrispondano al vero. L’importante è che oggettivamente ledano la buona reputazione di qualcuno. 

E qui sta il punto. Ammettiamo pure che la docente non sia stata prudente, che abbia peccato di ingenuità nel dimenticarsi che simili affermazioni nel contesto culturale attuale possono solo avere un effetto deflagrante pari ad una bomba di Hamas fatta esplodere in mezzo ad un mercato pieno zeppo di gente, che è da sprovveduti credere che tali giudizi possano, non dico essere condivisi, ma solo pur minimamente essere compresi dal popolino fin su ai magistrati. Aggiungiamo per soprammercato una mancanza di tatto e di stile: il quadretto disegnato, ammettiamolo, pare rimandare al mero e assai innocuo pettegolezzo tra donne. Ciò non toglie che chi apre bocca sui gay fa una brutta fine e che ormai dire la verità sull’omosessualità comporta una serie di requisiti soggettivi e la presenza di infinite condizioni ambientali che non si verificano praticamente quasi mai, con la conseguenza che tutti preferiscono la via del silenzio omertoso. Una sorta di gender-mafia che, come recitava una battuta di molti anni fa, piace alla gente che tace.

Come accennavamo prima, il punto dolente sta tutto lì: l’offesa alla reputazione della persona che deve essere valutata dal giudice in modo oggettivo, cioè astraendo dalla percezione soggettiva di chi è stato oggetto di critica. Ma come si fa a capire dove sta il confine tra irascibilità immotivata del soggetto e reale lesione alla sua dignità? Se io dicessi ad una persona affetta da nanismo che è bassa di statura, direi un qualcosa di vero. E se la persona si sentisse offesa da questo mio giudizio che registra meramente un dato di realtà? Dovrei sborsare 700 euro? Ovviamente se io l’avessi detto in tono spregiativo avrebbe motivo di risentirsi. Ma se io fossi un medico che illustro asetticamente una diagnosi a un mio paziente? 

Che dire poi, rimanendo in ambito scolastico, di tutte quelle volte che abbiamo preso dei votacci a scuola? Avremmo dovuto correre tutti quanti dal Giudice di pace lamentando che il professore ci aveva dato degli stupidi, certificando pure con il voto la nostra insipienza? E in modo analogo, al medico che senza coinvolgimento alcuno fa una diagnosi nefasta e al professore che senza malanimo dà voti pessimi, così l’insegnante cagliaritana si è limitata a riportare quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica e quanto un settore non proprio esiguo della scienze psicologiche e psichiatriche affermano in merito all’omosessualità, quando la giudicano un sintomo, un disturbo che qualcosa in profondità non va per il verso giusto nella persona. Eppure, questo non è bastato, perché qualsiasi parola di segno negativo indirizzata al mondo omo di per sé è già meritoria di sanzione. Configura sempre un atteggiamento discriminatorio. 

Ma, a parti invertite, non potrebbe essere la stessa sentenza del giudice una condotta diffamatoria per tutti coloro che criticano l’omosessualità? Non potrebbero tutti costoro sentirsi offesi da questa decisione perché vengono indirettamente qualificati, alla pari dell’insegnante cagliaritana, come delinquenti?