“Diario di prigionia” di Pell: un martirio che ci spetta
È uscito il “Diario di prigionia” (Cantagalli) scritto dal cardinal Pell tra il 27 febbraio del 2019 – primo giorno di detenzione – e il 13 luglio di quello stesso anno, mentre si trovava ancora in attesa del verdetto del suo ricorso in appello. Nel volume si parla della difficoltà del perdono, della preoccupazione della Chiesa, del sollievo per le conversioni che questa ingiustizia ha provocato, dell’origine diabolica degli abusi, di papa Benedetto e Francesco.
Nel XX secolo abbiamo avuto diversi cardinali martiri di regimi sanguinari, alcuni dei quali perseguitati prima dai nazisti e poi dai comunisti come i cechi Beran e Trochta. L’avvento del XXI secolo, con la dissoluzione della cosiddetta cortina di ferro, sembrava fare da preludio alla fine della stagione delle persecuzioni nei confronti di donne e uomini della Chiesa cattolica. Così non è stato, fino al paradosso di vedere per la prima volta un cardinale martire in un sistema liberale. Il suo nome è George Pell e la vicenda giudiziaria che lo ha riguardato continua a fare rabbia nonostante poco più di un anno fa si sia conclusa con la sua liberazione dalla prigione di massima sicurezza di Barwon.
La Nuova Bussola Quotidiana ha seguito passo dopo passo l’evoluzione del caso, non facendo mistero di avere una solida convinzione della non colpevolezza del porporato. Non per simpatie pregiudiziali verso l’imputato, ma per l’evidente improbabilità dell’impianto accusatorio. Nei giorni scorsi è uscito in italiano, edito da Cantagalli, il “Diario di prigionia” scritto dal cardinale tra il 27 febbraio del 2019 – primo giorno di detenzione – e il 13 luglio di quello stesso anno. Il libro termina mentre Pell si trova ancora in attesa di sapere quale sarà il verdetto del suo ricorso in appello alla Corte Suprema di Victoria, poi inaspettatamente respinto nonostante il dettagliatissimo parere dissenziente del giudice Mark Weinberg. Il porporato racconta l’esperienza dietro le sbarre nella Melbourne Assessment Prison dal quale venne trasferito nel gennaio del 2020.
Si tratta di una lettura importante non tanto per la ricostruzione della vicenda processuale e delle numerose incongruenze che l’hanno caratterizzata fino al sacrosanto proscioglimento dell’Alta Corte, ma per comprendere quanto l’accettazione di una pena da espiare per una colpa non commessa sia un compito durissimo anche per un cardinale. “Sono ben consapevole - scrive il prefetto della Segreteria vaticana per l'Economia - che la volontà di perdono va e viene, e che la decisione di perdonare può essere minacciata, e persino sepolta, da un’ondata di emozioni o da un altro nuovo colpo”. Nei confronti dell’anonimo accusatore, di cui emergono a poco a poco in maniera sempre più eclatante le contraddizioni della testimonianza, Pell esprime sentimenti di umana comprensione, ma ammette di essere meno indulgente con quello che chiama il suo “entourage”. Definisce “una sfida” per sé stesso perdonare “chi ha distrutto la mia reputazione sui media”.
Anche in Italia più di qualche giornalista ha frettolosamente segnato il suo nome sulla lavagna nella lista dei ‘cattivi’. Uno degli aspetti che affiora con più chiarezza nel libro è l’attenzione che il detenuto Pell riserva alla ricezione del suo caso nell’opinione pubblica. Scoprire che di giorno in giorno aumentano le prese di posizione pubbliche in favore della sua innocenza lo rincuora enormemente. Il motivo di questo atteggiamento lo spiega quando scrive che “sono in gioco questioni più profonde della mia reputazione, per esempio il buon nome della Chiesa e il principio in base al quale una persona è innocente fino a quando non viene dichiarata colpevole e ha il diritto di difendersi dalle calunnie”. Un concetto ribadito quando, a proposito dell’imminente esito del ricorso in appello, l’autore sottolinea che “un verdetto di non-colpevolezza è molto importante per la Chiesa, ma anche per la credibilità del sistema giudiziario australiano qui da noi e oltreoceano”. In buona parte del racconto traspare tutto il timore del principe della Chiesa per le conseguenze che la sua vicenda giudiziaria avrebbe potuto avere tra i fedeli australiani. Quindi, l’abbondante corrispondenza che scandisce le sue giornate e le testimonianze di amici e sconosciuti che gli riportano le storie di chi ha scelto di tornare a Messa perché toccato profondamente da quell’ingiustizia in corso, infondono grande fiducia e serenità al cardinale. Stati d’animo che si uniscono alla solida certezza di avere tutte le ragioni dal punto di vista giuridico e che il preparatissimo team legale guidato da Bret Walker sarebbe riuscito a far valere soltanto davanti all’Alta Corte con uno schiacciante 7 a 0 nella decisione finale. “La difesa - ricorda Pell nel libro - non deve dimostrare la mia innocenza, ma soltanto stabilire che la decisione della giuria che mi ha condannato oltre ogni ragionevole dubbio era stata priva di fondamento e dubbia”. Cosa che Walker riuscirà a fare, mandando più volte in difficoltà la pubblica accusa alle prese con ritrattazioni, suggestioni ed incongruenze. E con un paradosso: la pubblicazione dei documenti e la diretta streaming vengono richieste a gran voce dalla difesa e sono invece ostacolate dall’accusa, caldeggiata da quella stessa opinione pubblica abituata ad invocare trasparenza in casi come questo.
Un po’ per convinzione sua, un po’ a seguito della lettura degli articoli di Chris S. Friel sui lati oscuri dell’indagine condotta dalla polizia di Victoria e sulla campagna d’odio, il porporato non crede di essere vittima di un semplice errore giudiziario ma di qualcosa di più grande. Come è stato possibile che si sia arrivati ad una condanna in primo grado nonostante le numerose prove della sua non colpevolezza? È lo stesso Pell a provare a darsi una spiegazione: “La mia opinione è che (…) la giuria mi avesse ritenuto riprovevole, meritevole di essere punito per questioni estranee al processo (…) in altre parole (…) sono stato vittima della politica dell’identità: bianco, maschio, in una posizione di potere, appartenente a una Chiesa i cui membri avevano commesso atti vili e i cui leader, fino a poco tempo fa, avevano messo in atto un vero e proprio insabbiamento”.
La piaga degli abusi sessuali su minori commessi dal clero è costantemente presente nei suoi pensieri e ne attribuisce l’origine, citando gli appunti di Benedetto XVI, “all’assenza di Dio” e alle “correnti oscure e sataniche che serpeggiano sotto la superficie” nella Chiesa. Questa forte consapevolezza del problema e dei danni conseguenti si mostra con chiarezza quando riceve una lettera di solidarietà dall’ex cardinale Theodore McCarrick, protagonista dell’ultimo scandalo pedofilia negli Stati Uniti, e la commenta con severità, ricordando che l’ex arcivescovo di Washington “ha causato parecchi danni e in molti modi”. Da dietro le sbarre, Pell continua ad essere un cardinale e a seguire attentamente tutto quello che avviene all’interno dell’amata Chiesa cattolica. Nel diario si ritrovano giudizi poco politically correct su cambiamenti climatici, unioni omosessuali, situazione dei gesuiti, vescovi troppo “accomodanti”.
All’uscita del libro in lingua inglese, in Italia erano state pubblicate alcune anticipazioni presentate come se ci fosse stato un attacco di Pell a Benedetto XVI. Leggendo il testo, si capisce come non fosse certo questo l’intento del cardinale che ha parole di ammirazione per Ratzinger del quale difende l’autenticità dei recenti scritti sul problema della pedofilia nella Chiesa. L’ex prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia si limita ad una riflessione sulla rinuncia – ampiamente condivisa da molti cattolici – nella quale sostiene di prediligere “la tradizione millenaria secondo la quale i papi non si dimettono, ma rimangono fino alla morte” ed esprimendo la preferenza per un papa emerito “che dovrebbe essere annoverato nel Collegio cardinalizio, (…) non dovrebbe indossare la tonaca papale bianca”, aggiungendo però che “forse queste misure potrebbero essere introdotte più facilmente da un papa il cui predecessore non sia ancora vivente”.
Di Papa Francesco parla poco, ma ne parla con riverenza pur non nascondendo qualche differenza di veduta, ad esempio in campo liturgico. La rievocata amicizia con il cardinale Angelo Scola e la sottolineatura sul fatto che l’arcivescovo emerito di Milano fu uno dei candidati più papabili nel 2013 lascerebbe pensare che la sua scelta in Conclave non ricadde sull’allora cardinale Bergoglio. Ma nel diario conferma anche di non essere stato abbandonato da Papa Francesco che lo presenta come suo amico personale ai vescovi australiani in visita ad limina a Roma nei giorni dell’attesa della sentenza sul suo ricorso in appello. Questo “Diario di prigionia” è la storia di una profezia parzialmente e tristemente avveratasi, quella del cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago, che prima di chiudere gli occhi per sempre avvertì gli altri vescovi: “Preparatevi, io morirò in un letto, il mio successore in prigione e il suo successore sarà martirizzato”.