Diaconesse, il processo è avviato. Ecco come
Al Sinodo s'è aperto anche il processo per le diaconesse. Come? Iniziando a chiedere la revisione del motu proprio di Paolo VI che riserva ai soli uomini il Lettorato e l'Accolitato. Ordini minori, preparatori al sacerdozio, ma che, se aperti anche alle donne, potrebbero far scattare la fase due: perché allora non le diaconesse?
In un precedente articolo si è cercato di mostrare la ragione cristologica ed ecclesiologica alla base della decisione della Chiesa di non ammettere agli Ordini maggiori uomini che non fossero celibi o, se sposati, che vivessero in continenza. E’ la connessione tra il sacerdozio di Cristo ed il suo essere Sposo della Chiesa, dimensione vissuta ed espressa nel suo essere celibe, a costituire l’asse teologico della lex continentiae. Il sacramento dell’Ordine, unico nei suoi tre gradi (diaconato, presbiterato, episcopato), conforma il candidato al Sacerdozio di Cristo e pertanto anche al suo essere “marito di una sola donna” (1 Tm. 3, 2), la Chiesa, per usare l’espressione di san Paolo. Questa donazione unitiva con la Chiesa è la ragione del celibato del Signore e quindi dei suoi sacerdoti.
L’obbligo della continenza, giova ripeterlo, ha accomunato la disciplina delle Chiese orientali e occidentali lungo i primi sette secoli ed è stata poi custodita e difesa dalla Chiesa latina, fino ad oggi.
Occorre comprendere per quale profonda ragione l’eventuale decisione di far venir meno il celibato obbligatorio, mediante la creazione di una categoria di sacerdoti né celibi né continenti, si porterà dietro due inevitabili e disastrose conseguenze: l’ordinazione delle donne e l’ammissione agli ordini sacri di persone con orientamento omosessuale.
C’è una logica sacramentale che lega tra loro queste differenti realtà. San Tommaso, nel quarto libro delle Sentenze, spiega che nel sacramento «si richiede non solo la res, ma anche la significazione della res» (In IV Sent., dist. 25, q. 2, art. 1, quaestiuncula la, c.). Tutta l’economia sacramentale è infatti fondata su segni che «rappresentano ciò che significano – spiega ancora Tommaso – per una naturale rassomiglianza» (In IV Sent., dist. 25, q. 2, art. 2, quaestiuncula la, ad 4um). Si pensi all’acqua nel Battesimo: è l’acqua e solo l’acqua che ha naturalmente in sé il significato della purificazione e nel contempo quello della nuova nascita.
Nel sacramento dell’Ordine, la rassomiglianza riguarda il candidato e Cristo. Come affermato dal capitolo quinto della Dichiarazione circa la questione dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale, «allorché occorre esprimere sacramentalmente il ruolo del Cristo nell'Eucaristia, non si avrebbe questa “naturale rassomiglianza”, che deve esistere tra il Cristo e il suo ministro, se il ruolo del Cristo non fosse tenuto da un uomo: in caso contrario, si vedrebbe difficilmente in chi è ministro l'immagine di Cristo. In effetti, il Cristo stesso fu e resta un uomo». Non è un semplice aiuto offerto alla nostra immaginazione; si tratta invece di una significazione intrinseca alla res, per usare il linguaggio di Tommaso.
Poiché nel sacrificio della croce, reso sacramentalmente presente nella celebrazione eucaristica, «si realizza pienamente e definitivamente il mistero nuziale, annunziato e cantato nell'Antico Testamento», nel quale - osserva ancora la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede - «il Cristo è lo Sposo; la Chiesa è la sua sposa, che egli ama poiché se l'è acquistata col suo sangue», allora «non si deve mai trascurare questo fatto che Cristo è un uomo. Pertanto, a meno che non si voglia misconoscere l'importanza di questo simbolismo per l'economia della Rivelazione, bisogna ammettere che, nelle azioni che esigono il carattere dell'Ordinazione ed in cui è rappresentato il Cristo stesso, autore dell'Alleanza, sposo e capo della Chiesa, nell'esercizio del suo ministero di salvezza – e ciò si verifica nella forma più alta nel caso dell'Eucaristia –, il suo ruolo deve essere sostenuto (è questo il senso originario della parola persona) da un uomo». In parole povere, la mascolinità del candidato al diaconato, presbiterato ed episcopato è conditio sine qua non per esprimere, significare, realizzare la sponsalità di Cristo.
Come si è potuto notare, la logica sottesa al conferimento degli Ordini sacri a soli uomini e quella relativa all’obbligo della continenza è la medesima, con la netta differenza che nel caso di attentata ordinazione di una donna, il sacramento sarebbe conferito invalidamente; non così invece nel caso di un uomo sposato. Ma è importante capire la logica della significazione sacramentale.
L’attentato alla legge della continenza è in grado perciò di inferire un colpo anche alla legge dell’ordinazione dei soli uomini, in quanto mina la comune logica sacramentale. Non è un caso che infatti, di pari passo con la richiesta di ordinazione dei cosiddetti viri probati, che avrà il suo passo intermedio nell’ordinazione dei diaconi permanenti (non continenti), sia stata avanzata non solo la proposta di ridiscutere il diaconato femminile, ma anche la revisione del Motu Proprio di Paolo VI Ministeria quaedam, che riservava il conferimento dei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato ai soli uomini, «secondo la veneranda tradizione della Chiesa».
Perché questa richiesta del Sinodo, dal momento che già ovunque le donne proclamano le letture, servono all’altare e danno persino la Comunione come ministri straordinari? E’ solo questione di riconoscimento dell’attività svolta dalle donne?
Chi l’ha avanzata, sapeva molto bene che i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato venivano considerati, fino a Ministeria quaedam (1973), “Ordini minori” ed erano generalmente conferiti a coloro che poi ricevevano gli Ordini maggiori. Richiedere di estendere il conferimento di ministeri che erano considerati tappe verso il sacerdozio anche alle donne, è dunque un primo passo per poter poi avanzare la richiesta del diaconato femminile, che per ora è solo “in fase di studio”. Se il Lettorato e l’Accolitato erano in passato conferiti ai soli uomini ed ora non più (almeno, questa è la loro speranza), perché non anche il Diaconato?
E’ vero che tra gli Ordini minori e gli Ordini maggiori c’è un salto, ma è importante tener presente che il conferimento del Lettorato e dell’Accolitato ai soli uomini, secondo tutta la tradizione della Chiesa, è una difesa per gli Ordini maggiori, una specie di antemurale che permette di tenere lontani gli “aggressori”, custodendo la significazione intrinseca alla mascolinità dei candidati.
Il fatto di portare a casa intanto il risultato della revisione del Motu Proprio di Paolo VI permetterebbe anche un “guadagno” di non poco conto: le persone si abituerebbero all’idea che si conferiscano dei ministeri istituiti in qualche modo legati agli Ordini sacri anche alle donne. E’ la nota strategia della finestra di Overton: abituare poco alla volta la sensibilità e la mentalità comune, mediante piccoli passi, che non sembrano mettere in pericolo “il bersaglio grosso”. E’ probabile, sempre secondo questo principio di graduale assuefazione, che dopo Lettorato ed Accolitato si richieda un diaconato femminile “intermedio”, cioè un diaconato sui generis che non sia conferito mediante il sacramento dell’Ordinazione, ma che intanto permetta alle donne di svolgere quasi tutte le funzioni del diacono, tra le quali la predicazione. Ci è stato detto tante volte: è importante avviare i processi...
C’è ancora un altro punto fermo della Chiesa cattolica che rischia di essere travolto dal cedimento sul celibato, ossia la non ammissione agli Ordini sacri delle persone che praticano l’omosessualità o hanno comunque tendenze omosessuali profondamente radicate. A volte si sente dire che l’importante è che il candidato omosessuale si astenga dagli atti sessuali, siano essi omo o etero. Ma le cose stanno diversamente.
L’Istruzione del 2005 della Congregazione per l’Educazione cattolica focalizza con precisione la ragione per cui è impossibile ammettere una persona omosessuale agli Ordini sacri: «per mezzo del sacramento dell’Ordine, lo Spirito Santo configura il candidato, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo: il sacerdote, infatti, rappresenta sacramentalmente Cristo, Capo, Pastore e Sposo della Chiesa. A causa di questa configurazione a Cristo, tutta la vita del ministro sacro deve essere animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un'autentica carità pastorale». Chi viene conformato a Cristo, deve vivere la sua dimensione di dedizione sponsale alla Chiesa, che è molto di più che un’astensione dagli atti sessuali. Il sacerdote sacrifica una sponsalità ed una paternità naturali, per viverle in una dimensione superiore; ma nella persona omosessuale è proprio questa apertura sponsale a non essere presente, in quanto la sessualità viene vissuta, o tende ad essere vissuta, senza la sua cifra relazionale e generativa, senza una sponsalità. Pensare ad un celibato omosessuale, sarebbe come ammettere una sponsalità omosessuale, che è una contraddizione in termini.
Se dunque non sarà più vincolante che il sacerdote viva la sua dedizione ad un’unica sposa, la Chiesa, anche nel proprio corpo, mediante il celibato/continenza, verrà meno anche il fondamento oggettivo che proibisce l’ammissione agli Ordini di persone con orientamento omosessuale.
A ben vedere, il demonio si è letteralmente scatenato nel colpire la grande dimensione sponsale dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Prima, nel duplice Sinodo sulla famiglia, abbiamo assistito all’attacco al sacramento del matrimonio, figura del rapporto tra Cristo e la Chiesa, ed ora il bersaglio è passato dalla figura alla realtà: egli vuole cancellare il segno sacramentale della presenza dello Sposo, per condurre la Chiesa, sua sposa, a pervertirsi verso altri “mariti”.
Ma, per quanto la tenebra possa incatenare il mondo nell’oscurità, le porte degli inferi non prevarranno.