Di Tolve: l'uomo giusto per svuotare il Seminario Romano
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Il neo-eletto vescovo ausiliare di Roma si occuperà dei seminaristi dell'Urbe, in virtù della precedente esperienza di rettore in diocesi ambrosiana. Dove non lascia un buon ricordo, ma poco importa: per lui garantisce la cugina del Papa.
«Senti io ho fatto il bonifico al conto che tu mi hai detto… Tu dimmi quando è arrivato, eh». «Certo… poi ci sentiamo per le altre due cose… È vero che mi ha scritto che vorrebbe vedere le due parrocchie da lei? Perché i ragazzi non ci credono...». «Sì, certo».
È la sintesi del surreale scambio telefonico tra papa Francesco e don Michele Di Tolve, attorniato dai ragazzi di un campeggio estivo, il 23 maggio scorso nominato vescovo ausiliare di Roma e dal 4 luglio rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore. Come se stesse telefonando a sua cugina, Di Tolve mette il telefono in viva voce, avvicina un microfono e si fa pure riprendere da una telecamera. A memoria dei posteri. Il tutto è finito ovviamente sui social, incluso il bonifico che il papa avrebbe fatto sul conto concordato con Di Tolve.
Al telefono, dunque, non c’era la cugina di Di Tolve, ma un’altra cugina – stavolta quella del papa – ha giocato un ruolo decisivo per la scelta del parroco di San Giovanni Battista di Rho e di Passirana. Lo ha rivelato lo stesso Francesco, ricevendo in udienza, il 25 marzo scorso – come promesso telefonicamente –, proprio i fedeli delle parrocchie di Rho.
Il Papa ha raccontato come ha conosciuto don Di Tolve: «L’ho conosciuto appena nominato cardinale: ero andato a visitare una mia cugina e lei mi ha parlato di un vice-parroco eccezionale che avevano lì, “guarda, lavora quel prete!” – “Ah sì? Fammelo conoscere, ma non dirgli che sono un cardinale” – “No, non lo dirò”. Mi sono tolto l’anello, siamo arrivati in oratorio e lui andava da una parte all’altra, si muoveva come un ballerino con tutti… Così l’ho conosciuto. E così è rimasto per tutta la vita: uno che sa muoversi, non aspetta che le pecore vengano a cercarlo».
Al Papa piacciono i preti che si muovono, che “fanno”, a prescindere da quello che fanno. Ed evidentemente anche a sua cugina, ritenuta decisamente più affidabile delle lungaggini del Dicastero dei Vescovi. Perché prendersi la briga di informarsi e di valutare un candidato, quando si ha la fortuna di avere un papa con la cugina dal fiuto infallibile? Proseguiva il Papa: «Come rettore del seminario ha fatto tanto bene, ai ragazzi che si preparano al sacerdozio, tanto bene». Nemmeno qui serviva di il Dicastero dei Vescovi: sarebbe bastato che il papa chiedesse in diocesi di Milano come Di Tolve aveva ridotto il seminario diocesano durante gli anni del suo rettorato. Fu una nomina infelice del cardinale Angelo Scola, che lo piazzò nel seminario arcivescovile per sostituire mons. Giuseppe Maffi; e lì vi rimase fino al 2020.
A far danni. Parola di chi lo ha conosciuto bene. Silere non possum raccoglie la confidenza di un sacerdote della Curia Arcivescovile: «Questo seminario lo ha distrutto»; e commenta che nei sei anni del suo rettorato «non si contano le persone che hanno preso la porta e l’hanno sbattuta». D’altra parte non è un mistero che al papa piacciano i seminari con pochi seminaristi. Continua Silere: «Molti mettono anche il carico sul carattere di quest’uomo che è amichevole con i ragazzini, durante i campi estivi, ma è convinto di avere solo lui la grazia dello Spirito Santo per poter discernere la vocazione di qualcuno. Se contraddetto, quindi, diventa iracondo e intrattabile». Profilo molto comune a quanti sono in ascesa sotto questo pontificato. Ad immagine e somiglianza del capo.
Un nostro contatto racconta gli anni del seminario: «Il tempo del rettorato di don Michele di Tolve sono stati anni di controlli e di vera persecuzione. Si può dire che don Michele avesse una vera e propria ossessione per il controllo tanto da fare installare in tutto il seminario le telecamere per la videosorveglianza che in realtà erano per controllare i movimenti dei seminaristi».
Impossibile, ci dice, dimenticare i “colloqui” con lui: «dovevano essere preparati secondo una traccia molto precisa che veniva consegnata in anticipo, affinché i seminaristi potessero rispondere inviando il loro colloquio tramite mail al rettore. Durante il colloquio il rettore prendeva appunti attraverso il suo tablet chiedendo chiarimenti e spesso, a detta di molti, sembrava anche registrare i colloqui». Un clima fraterno e disteso.
In preparazione all’ordinazione diaconale e sacerdotale, mons. Di Tolve «faceva firmare un foglio in cui il seminarista dichiarava di non essere omosessuale e diverse altre cose. Si aveva quasi l’impressione che volesse liberarsi da qualsiasi implicazione o ricaduta sul futuro del novello sacerdote». Confermata anche la sua facile irascibilità, almeno nei confronti di quelli che non gli andavano a genio: «Diversi seminaristi durante il suo rettorato sono stati dimessi o espulsi in malo modo»; altri invece, «omosessuali conclamati, hanno continuato il loro cammino e sono stati ordinati senza alcun problema». Preferenze si verificavano anche per alcuni che potevano permettersi di non essere presenti alle Lodi mattutine e alla Santa Messa.
Non erano affatto chiari i criteri di “discernimento” del rettore, vista la facilità con cui mandava via alcuni candidati al sacerdozio, mentre altri, palesemente problematici, sembravano intoccabili. Alcuni casi sono diventati dominio della stampa. Come quello di Emmanuel Santoro, per il quale era stata addirittura richiesta la deroga (cf CIC can. 1031 §1) per ordinarlo a soli 24 anni, ma che dopo 5 anni lascia tutto per andare con una donna.
Don Santoro era uno che piaceva a Di Tolve e sarebbe piaciuto anche al Papa. Così infatti lo presentava il Corriere della Sera: «Fino a poco tempo fa si è trovato a capo di quattro grandi parrocchie del centro nobile di Milano, tra Brera e il futuristico quartiere di Porta Nuova (…). Amatissimo dai fedeli e dalla comunità intera, che poteva incontrarlo ogni mattina al bar per confidarsi o in oratorio a organizzare concerti». Bar e concerti: uno che si «muoveva come un ballerino», tra l’altro attivissimo nel gruppo rock del seminario, il ParRock. Poi, nel 2020, fa le valigie per vivere con una donna, dimostrando che le idee sugli impegni della vita sacerdotali non li aveva molto chiari: «Non credo a chi sostiene che esista un amore terreno e un amore divino. Per me l’amore per Dio è sempre stato amore umano e il sentimento che provo adesso è omaggio al Signore». Quanto al celibato, «sarà un lungo cammino che la Chiesa dovrà affrontare con profondità, senza polemiche e strumentalizzazioni. E quando l’avrà finalmente compiuto, io ci sarò». Disponibilità encomiabile.
Poi c’è il caso, ancora più grave, di don Emanuele Tempesta, ex vicario parrocchiale a Busto Garolfo, ordinato nel 2019. Nell’estate del 2021 era stato arrestato per presunti abusi su almeno sette ragazzi tra gli 8 e i 12 anni, compiuti nel 2020, mentre erano in casa sua a giocare con la Playstation. Chiuse le indagini, don Tempesta, che protesta la sua innocenza, è stato rimesso in libertà con l’obbligo di non avvicinarsi alle vittime, in attesa della sentenza. Da seminarista, fu fermato per due anni dal rettore del biennio filosofico, mons. Luigi Panighetti. A sbloccare la situazione (vedi qui) sembra essere stato proprio mons. Di Tolve, che gli permise di proseguire il percorso e giungere al sacerdozio.
Insomma, il raccomandato della cugina del Papa sembra offrire sicurezze per il suo nuovo incarico a Roma.
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