Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
IL DIBATTITO

Denatalità Un appello al di là del buio

La cultura “laica" sta entrando nella postmodernità in condizioni ben peggiori delle culture religiose, e di quella cristiana. In quanto testimoni della fiducia nel futuro e nel senso della vita, la gente di fede si trova quindi a doverne testimoniare le ragioni in pubblico. Promemoria per i vescovi. 

Editoriali 18_05_2016
Culle vuote

Quali che siano i motivi immediati che l’hanno spinta a prendere posizione al riguardo, si deve riconoscere al ministro Beatrice Lorenzin il merito di aver portato alla ribalta dell’Italia ufficiale il cruciale problema del declino demografico del nostro Paese (come peraltro di buona parte del mondo), rompendo un tabù sin qui rigorosamente osservato sia dal potere politico che dal potere mediatico. Non condividiamo la sua analisi dei motivi di tale declino, ma quell’originario merito resta. 

Fermo restando che un fisco e una politica dei servizi meno punitivi della famiglia e della natalità sarebbero utili e benvenuti, diventa ad ogni modo sempre più urgente rendersi conto che le radici della crisi in cui siamo immersi (di cui l’”inverno demografico” è assai più una causa che un effetto) attingono a sfere più profonde di quelle della politica e dell’economia. E’ proprio perciò che la presente crisi sembra irrisolvibile: perché emerge in sede politico-economica, ma non è sostanzialmente a tale livello che si possono reperire gli “anti-corpi”  indispensabili per venirne fuori. L’età moderna sta finendo anche da questo punto di vista: la sfera del potere politico dimostra di avere sempre meno quel ruolo “salvifico” di primo motore dello sviluppo umano che dal secolo XVIII in avanti aveva preteso di assumere. 

E’ significativo il caso del declino demografico: anche se una politica fiscale e sociale più favorevoli alla famiglia hanno di certo il loro peso, non è partendo da lì che si può invertire la tendenza. Con riguardo all’indice di fecondità, ossia al numero medio dei figli per donna in età feconda (15-49 anni), a parità di politiche molto favorevoli alla famiglia si va in Europa dal valore 2 in Francia a valori molto inferiori sia in Germania, 1,4, che in Svizzera, 1,5. Il nostro Paese è al riguardo alla pari con la Germania, benché da noi le famiglie con bambini non abbiano affatto le agevolazioni fiscali e la qualità e quantità dei servizi di cui godono le famiglie tedesche nella medesima situazione. Ciò non significa beninteso che non sia giusto mobilitarsi a favore di una più efficace politica di sostegno alla famiglia, ma questa da sola non basta affatto a indurre alla maternità e alla paternità persone timorose del futuro, persone incapaci di relazioni stabili, coppie ripiegate su se stesse fino al punto di vedere nei figli degli intrusi.

Un tempo, e più che mai nell’epoca pre-industriale, a indurre le famiglie a mettere al mondo dei figli bastavano sia la spontanea saggezza che la necessità di esserne aiutati negli anni della vecchiaia. Seppur a una scala globale, se il buon senso avesse superato la prova dei miti della modernità, ciò dovrebbe essere evidente anche oggi; troppo spesso invece non è così.

Oggi le evidenze non stanno più sulle loro gambe; occorre ricostruirle ad una ad una. In tale situazione non è di aiuto per nessuno far finta di non sapere che la cultura “laica” sta entrando nell’epoca post-moderna in condizioni ben peggiori delle culture religiose, e di quella cristiana in particolare. I cristiani faticano a vivere e a comunicare le ragioni della speranza, ma gli altri in generale stanno peggio. In quanto testimoni della fiducia nel futuro e nel senso della vita, la gente di fede, la Chiesa, e tutti gli uomini di buona volontà si trovano quindi ad avere un ruolo pubblico in quanto tali. 

E’ finito il tempo in cui, vivendo di rendita alle spalle di secoli di esperienza e di mentalità cristiane diffuse e radicate,  un poeta in sostanza post-cristiano come ad esempio Gibran Khalil Gibran poteva ancora trovare grande ascolto e grande successo scrivendo versi come quelli della sua celebre composizione “I vostri figli”:

I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
(………)
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.

Nei primi decenni del ‘900, al tempo di Gibran Khalil Gibran, vestire Dio da arciere e celarlo in una bella nube come questa sembrava cosa buona. L’esperienza ha invece dimostrato che tanta pur seducente poesia a lungo termine demotiva gli archi e fa svanire le frecce. Oggi chiunque tiene per fermo che la vita abbia un senso deve testimoniarlo e dirne le ragioni apertamente. Ciò vale per tutti gli uomini di buona volontà, e dunque per i cristiani e per la Chiesa.

Occorre in primo luogo e senza auto-censure testimoniare e insegnare le ragioni della propria speranza e della fiducia nel futuro: perciò le ragioni per cui ha senso fondare e far crescere una famiglia. Se tutto questo nella società viene meno non c’è infatti nuova legislazione sulla famiglia che tenga. Pertanto sarebbe a mio avviso molto importante, anzi provvidenziale, che l’Episcopato italiano rivolgesse alle famiglie un appello diretto e indipendente da quello, pur doveroso, allo Stato. Un appello alla presa di coscienza del loro ruolo pubblico, alla fiducia nel futuro e perciò alla ripresa della fecondità anche come primo motore della rinascita economica e sociale.