Democrazia, il problema della demofobia
A luglio si terrà la Settimana sociale dei cattolici italiani, il cui documento preparatorio insiste molto sulla partecipazione intesa come il “cuore della democrazia”. Ma la democrazia moderna fa rima con totalitarismo.
In vista della Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a Trieste agli inizi del prossimo mese di luglio, alcune diocesi (anche se non molte a dire il vero) si stanno dando da fare per organizzare qualcosa in merito: Ascoli Piceno, Aversa, Catania, Assisi, Gorizia [vedi qui]. In genere si insiste molto sulla partecipazione, parola che sta anche nel titolo della Settimana e che è intesa come il “cuore della democrazia”. Il Documento preparatorio, infatti, dice che «la partecipazione rivela la giovinezza della democrazia (…), è il motore che tiene in movimento la società, che formula le domande e suscita le risposte organizzate (…), è energia civile che rende vive le comunità locali (…) capaci di progettare politiche, azioni, risposte collettive».
L’idea non è nuova. Don Luigi Sturzo scriveva che l’unico limite reale al potere è la partecipazione; Karl Popper sosteneva che, in fondo, non importa chi governa, importa come controllare chi governa; e perfino Giorgio Gaber diceva che la libertà è partecipazione. È altrettanto chiaro, però, che se la Settimana si dovesse fermare a questo livello darebbe prova di superficialità. Questo almeno per due motivi.
In un bell’articolo sull’ultimo numero della rivista francese Catholica, Bernard Dumont si chiede: «Ma il popolo sopravvivrà?». La nostra è una democrazia che corrode, consuma e distrugge il popolo, altro che partecipazione! È una democrazia elitaria, che controlla e manipola, che appiattisce e diseduca, che produce un infantilismo popolare e che corrompe i principali valori morali del popolo. Dietro la democrazia formale c’è tutto un Deep State, uno Stato profondo, che decide cosa si deve fare e nei cui confronti l’appello alla partecipazione risulta ridicolo. Si profila sempre di più una società del controllo e della sorveglianza mediante la digitalizzazione della vita quotidiana, la concentrazione di dati in pochissimi centri a seguito del governo monopolistico di Internet, e l’intelligenza artificiale nei cui confronti parlare di partecipazione appare quantomeno ingenuo. Non c’è mai stata meno democrazia che nella democrazia attuale e la cosa non si risolve con le esortazioni a partecipare.
Il secondo motivo è che c’è uno stretto legame, organico ed essenziale, tra la democrazia intesa in senso moderno e il totalitarismo. Lo avevano previsto non solo i pontefici di fine Ottocento ma anche san Giovanni Paolo II. La democrazia è sempre stata considerata una forma di governo, ma nella modernità essa viene intesa come il fondamento del governo e, addirittura, della società stessa tra gli uomini. In questo secondo caso il governo democratico è tanto sovrano quanto quello di ogni altro Leviatano e il popolo (in teoria) diventa Dio. Oggi la democrazia pretende di decidere cosa significhino vita e morte, può considerare innaturale quanto è naturale, e viceversa, in tutti i campi della vita, della famiglia, della procreazione. Essa stabilisce artificialmente la distinzione tra umano e disumano.
Davanti a queste dinamiche e al facile entusiasmo con cui nelle diocesi si parla di partecipazione in vista della Settimana sociale si è presi da una certa percezione di insufficienza.
Stefano Fontana