L'EDITORIALE
Debiti, l'America dia il buon esempio
Con l'accordo sull'aumento del tetto del deficit, gli Usa sono riusciti a invertire la rotta. Ma non basta: serve una drastica revisione della spesa pubblica, un taglio delle spese militari, una più equilibrata politica fiscale che sia da monito per gli altri Paesi.
Editoriali
04_08_2011
Questa volta infatti l’America si è comportata come l’Italia: ha adottato per settimane la strategie del rinvio, ha cercato le strade di pasticciati compromessi, ha tentato in pratica di evitare l’ostacolo legislativo e il voto del congresso. Alla fine ne è uscito peraltro un accordo all’italiana che in cambio della possibilità (certa) di aumentare il tetto del deficit vi è la promessa (tutta da verificare) di attuare nei prossimi anni forti tagli alla spesa pubblica. E così in fondo sia i democratici sia i repubblicani hanno ottenuto quello che volevano.
Il partito del presidente può affermare che sono state salvaguardate le promesse fatte in passato e l’opposizione può affermare di aver bloccato il tanto temuto e impopolare tentativo di aumentare le tasse. I problemi di fondo tuttavia sono tutti ancora da risolvere. Soprattutto perché si è andata sempre più divaricando negli ultimi dieci anni la forbice tra le entrate e le uscite di Washington. Non dimentichiamo che tra un mese cadrà il decimo anniversario della strage delle torri gemelle e quindi di quella svolta nella guerra al terrorismo che ha portato ad una crescita esponenziale delle spese militari.
Gli interventi, ancora in corso, in Afghanistan ed Iraq hanno già costretto gli Stati Uniti ad una spesa superiore a quella affrontata nella seconda guerra mondiale. Dal 2007 poi le finanze pubbliche americane hanno dovuto sostenere il peso di una battaglia tutta finanziaria per evitare eccessive ripercussioni nella crisi iniziata con il crollo dei mutui subprime: le garanzie pubbliche per evitare fallimenti a catena nelle società immobiliari, bancarie, finanziarie ed assicurative hanno dato un altro colpo alla crescita del debito pubblico. E la politica di Obama, con il suo forte impegno sociale per varare una più equa riforma sanitaria, è andata anch’essa nella direzione di una tendenziale moltiplicazione della spesa pubblica.
Ma se la realtà è questa allora si può anche dire che non appare un compito impossibile quello di evitare che il debito americano vada in futuro ancora fuori controllo. E’ vero che l’Afghanistan è ancora una grande incognita, ma è altrettanto vero che in Iraq si sta consolidando un nuovo sistema di governo che sta permettendo un significativo disimpegno americano. Anche sul fronte della crisi finanziaria appare ormai consolidata la struttura delle imprese e non ci sono praticamente più rischi di dissesto nei grandi gruppi: il vero problema è quello di un’economia che continua a crescere poco e che quindi sembra avere ancora bisogno di stimoli fiscali per sostenere i consumi e ridurre il costo del lavoro. Vi è poi realisticamente anche lo spazio per salvaguardare le riforme sociali magari aumentando leggermente le tasse. In fondo negli Stati Uniti i ricchi pagano di imposte quasi la metà di quanto redditi equivalenti pagano in Europa: senza dimenticare le tasse molto favorevoli sui redditi finanziari e immobiliari.
In prospettiva quindi l’America ha i mezzi per dare un buon esempio di stabilità al resto del mondo. Onorando i propri impegni finanziari ed evitando scorciatoie come la svalutazione del dollaro che avrebbero benefici solo nel breve termine. Ma sarà necessaria una drastica revisione della spesa pubblica, un taglio delle spese militari, una più equilibrata politica fiscale. Obiettivi non impossibili.
In fondo se gli Stati Uniti spendessero come nel 2003 avrebbero già ora il pareggio di bilancio. Ma per raggiungere questo risultato sul piano politico bisognerà superare, magari con accordi meno pasticciati di quest’ultimo, le tradizionali divisioni tra destra e sinistra, tra democratici e repubblicani.