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ISLAM

Da'wah, l'islamizzazione silenziosa e nascosta

L'Islam sfrutta l'ignoranza occidentale e il senso di colpa del passato imperialista-colonialista. E' la strategia della da'wah. Laddove la jihad opera per terrorizzare e mira a sottomettere, la da'wah mira a ingannare ed asfaltare la strada dell'islamizzazione. Cominciando con la demografia e la democrazia. 

Libertà religiosa 21_01_2018

La daʿwa, in arabo دعوة‎ , è l'azione di proselitismo dell’islam. Vocabolo che letteralmente vuol dire “propaganda, appello, richiamo”. Per i musulmani l’azione di invitare il prossimo all’islam è un dovere e colui che si prodiga nel fantomatico esercizio di convincere il prossimo ad abbracciare l’islam è un dāʿī.

Eppure risulta opportuno, subito, chiarire che la daʿwa non ha nulla a che fare con l’attività missionaria cristiana o con le opere umanitarie: si tratta di una vera e propria azione politica. Lo scopo? L’islamizzazione sociale e civile del luogo in cui agisce. Il dāʿī non intende salvare anime, ma, dal momento in cui l’islam è un progetto politico, ha come unico scopo quello di cancellare ogni sorta di istituzione o simbolo di una società libera e sostituirla con la sharīʿah. Sostanzialmente quello che la “lunga marcia attraverso le istituzioni fu per i marxisti del ventesimo secolo: una sovversione dall’interno, l’uso della libertà religiosa per sconvolgere quella stessa libertà” è la daʿwa per gli islamici di oggi. È così, con poche battute, che Ayaan Hirsi Ali, la famosa scrittrice somala naturalizzata olandese, mette i puntini sulle ‘i’.

Oggi l’Occidente tutto è preoccupato, però, più a debellare i famosi ‘hate speech’ – i discorsi di incitamento all’odio – dei suprematisti bianchi, o l’islamofobia, che ad affrontare l’istigazione ai discorsi d’odio islamici ai danni dei non musulmani (gl’infedeli) e il modo violento di porsi nei confronti di questi ultimi. Un’istigazione che nasce proprio in seno all’azione della daʿwa. E si suppone che nessuna società vorrebbe al suo interno gruppi che cercano di sovvertire l’attività politica coadiuvati da un pizzico di ignoranza e dal paravento del precetto della libertà religiosa. Ma si suppone, appunto.

Nelle Filippine, di recente, i membri dell'organizzazione daʿwa nota come Tablighi Jamaat ("Gruppo che propaganda la fede") si sono inseriti nel Paese con la scusa dell'attività missionaria al fine di partecipare all'incontro annuale della Tablighi Jamaat. È bastato poco per scoprire che era stata una scusa per unirsi al gruppo di Isnilon Hapilon - il defunto "emiro" dello Stato islamico nel sud-est asiatico. La Tablighi Jamaat, più conosciuta, forse, come ‘Society for spreading faith’, è un'organizzazione religiosa transnazionale che ha come obiettivo principale la riforma spirituale islamica utile allo scopo di avvicinare tutti alla pratica di Maometto.

Per decenni l’organizzazione è rimasta sconosciuta ai più, fino a quando non è emerso che ben tre dei quattro attentatori islamici del 7 luglio 2005 a Londra militavano nel movimento. Colpevoli della morte di ben cinquantacinque persone. Ma la City, terreno fertile della daʿwa, è da sempre oggetto delle mire espansionistiche della Tablighi Jamaat, che in vista delle Olimpiadi di Londra2012 propose persino la costruzione di una gigantesca moschea – progettata per ospitare 70.000 fedeli – esattamente accanto al sito olimpico: punto strategico per la predicazione. Peccato che i Giochi richiedevano l’acquisizione obbligatoria di parte del terreno destinato alla moschea, in questo modo la dimensione del progetto della moschea finiva con il ridursi e quindi, solo per questa ragione, l’idea venne cestinata. Anche il terrorista di San Bernardino, Syed Farook, era uno di loro: pregava nella moschea di San Bernardino Dar al Uloom al Islamiyyah, famosa per essere il "paradiso per gli attivisti del Tablighi Jamaat".

L’organizzazione cerca di “di promuovere un senso di paranoia e perfino di disgusto della società non musulmana” scrisse nel 2006 Yoginder Sikand, noto esperto di islam. Ad oggi Tablighi Jamaat continua ad essere un'organizzazione legale che ha una considerevole influenza sui musulmani in Europa, in particolare nel Regno Unito e anche negli Stati Uniti. E l’Inghilterra multiculturale resta al centro del raggio di azione della Tablighi Jamaat. Nel 2012 un articolo del Telegraph disegnò un quadro dell’islamismo nelle scuole britanniche per lasciare al Daily Mail l’occasione per un lungo approfondimento sul Darul Uloom Islamic High School, noto liceo della Birmingham islamizzata – la seconda città più popolosa del Regno Unito, dove in certi quartieri i musulmani rappresentano il 95% della popolazione – espressamente legato al Tablighi Jamaat.

È là che tra violenza e nozioni di supremazia islamica vengono svezzati i terroristi di domani. “Dovete liberarvi dell'influenza dello Shaitan [Satana] e della società. [...] I Kuffar (termine dispregiativo che sta per non musulmani) hanno portato tante cose nuove là fuori. [...] Controllano le vostre menti. [...] Fate parte di coloro che preferiscono il loro modo di vivere: lo stile di vita dei Kuffar anziché quello del Profeta?”, sono questi gli estratti di lezioni didattiche registrate nell’ambito di un’inchiesta. La famosa didattica inclusiva.

Eppure non sembra che i governi occidentali nel corso degli anni abbiano dato credito a certi sospetti su quello che è precipuamente un mezzo per istigare sentimenti di supremazia islamica e odio verso i ‘non musulmani’. Perché da'wah significa islamizzazione. Laddove la jihad opera per terrorizzare e mira a sottomettere, la da'wah mira a ingannare ed asfaltare la strada dell'islamizzazione.  Una strategia è sicuramente quella di islamizzare le donne cristiane ed ebree attraverso il matrimonio e promuovendo la legge islamica della poligamia.

Da'wah significa anche conquistare la demografia. L'‘occupazione’ demografica è la forma vincente dell’islam da sempre. È il modo in cui, per esempio, è stato sottomesso (islam, com’è noto, vuol dire appunto sottomissione) il Medio Oriente un tempo completamente cristiano. E, oggi, l’invasione islamica dell’Occidente del Terzo millennio si serve proprio dell’immigrazione, dell’alto tasso di natalità e della conversione su larga scala per ultimare il cambio generazionale e soggiogare il dato demografico. I musulmani non immigrano per assimilarsi allo scopo di diventare cittadini: l’unica aspirazione è un dominio globale all'interno del califfato islamico. Convinti come sono che l'islam detenga la soluzione di tutti i problemi dell'umanità e che l'umanità debba, pertanto, essere sottomessa al dominio islamico. 

Da'wah significa opprimere la libertà di espressione. Attivisti e ONG musulmani sono impegnati nei tribunali occidentali in processi per diffamazione dell'islam o discriminazione contro i musulmani, ogni volta che lo trovano possibile. Questa è la "Jihad legale" che mira a demoralizzare e intimidire, e soprattutto, a mettere a rischio la libertà di espressione occidentale. E da'wah significa soprattutto monitorare i media occidentali, controllare il mondo accademico e partecipazione attiva alla vita pubblicaL'obiettivo è sfruttare l'ignoranza occidentale sull'islam: senso di colpa e rimorso occidentali del passato imperialista-colonialista giocano il loro ruolo coadiuvati dalla correttezza politica. Diventa sempre più facile, così, mantenere i kuff un r (gli infedeli) confusi e in contrasto tra loro.  

La da'wah si è dimostrata, e continua a farlo, vantaggiosa e di grande successo. In Occidente, operano tante organizzazioni da'wah. Una di queste è l’Islamic Education and Research Academy (IERA) diretta da due convertiti, Abdur Raheem Green e Hamza Andreas Tzortis, che agiscono a livello globale per diffondere l'islam. Oppure l'ICNA, un'organizzazione musulmana di spicco in America, che nel 2015 ha indetto il “Global da'wah day”, ed è considerata da esperti come Steven Emerson, fondatore e direttore esecutivo di The Investigative Project on Terrorism, legata ai Fratelli Musulmani.

Organizzazioni come Tablighi Jamaat, l’iERA e l’ICNA agiscono così indisturbate in un’Occidente silente e assoggettato che preferisce difendersi con il “mese dell’islamofobia” mostrandosi indifferente, o incurante, dei pericoli della da'wah e prono all’islamizzazione.