Davanti alla croce di Gesù
Io non ce l’avrei fatta. Non avrei resistito se mi fosse capitato quello che è capitato ai primi discepoli di Gesù. Se avessi dovuto vedere Cristo catturato, imprigionato, percosso, crocifisso, morto. Capisco quelli che sono scappati. Avreste voluto esserci il mattino di Pasqua? A vederlo nel giardino, vivo, che ti chiama per nome?
Io non ce l’avrei fatta. Non avrei resistito se mi fosse capitato quello che è capitato ai primi discepoli di Gesù. Se avessi dovuto vedere Cristo catturato, imprigionato, percosso, crocifisso, morto. Capisco quelli che sono scappati, Pietro, Andrea, Tommaso. Sono scappati dalla loro stessa paura e dalla disperazione. Come resistere lì a guardare il Maestro percosso e crocifisso? E come resistere alla caduta delle proprie speranze? Il sole oscurato e il mondo diventato tutto nero. Le loro anime sprofondate nel baratro. Solo l’anima paziente e amorosa delle donne poteva resistere. Una donna accoglie il dolore del parto e può resistere al dolore dell’amore offeso e della perdita di un figlio. Una madre, una sorella, un’amica, sanno molto amare e molto patire accanto a chi patisce.
Poi ci sono gli estranei. Quelli stanno appresso proprio perché vogliono vedere. I soldati, abituati a peggio, notano alcuni particolari inediti: la tenerezza dei pochi amici e la strenua tenuta di quell’uomo che non grida disperazione ma invoca Elia, sospira alla Madre e al discepolo e promette l’impossibile al ladrone crocifisso accanto a lui. Il loro capitano resta scosso da quel modo strano di stare in croce, di parlare e respirare; da quel modo unico di morire. Dice il Vangelo: “Vedendolo morire così”. Il centurione che aveva diretto il martirio di tanti uomini crocifissi grida: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”. Chissà cosa quel romano metteva dentro quella parola, ‘figlio di Dio’. Questo sì avrei voluto vederlo e sentirlo.
E dopo, dopo il sepolcro, quel vuoto assoluto, quel silenzio impossibile, quella paura abissale, quella prostrazione indomabile. Il sabato santo è un giorno nel quale non si può vivere. E’ il giorno del nulla. Gesù non c’è più davanti agli occhi. Non più vivo. Le donne non l’hanno davanti nemmeno morto, nemmeno per piangerlo; non possono nemmeno fare i passi per raggiungerlo al sepolcro, e lavarlo e accarezzarlo e bagnarne il corpo morto con lacrime calde e vive.
E voi, avreste voluto esserci il mattino seguente, il mattino di Pasqua? Gli apostoli non ci sono. Dove sono? Rinchiusi dove? Le donne non vedono l’ora di uscire, a quell’ora impossibile, e non riescono a immaginare come togliere la pietra d’ingresso al sepolcro. Tutto quello che càpita dopo, la pietra rovesciata, il sepolcro vuoto, il grido di disperazione: “Hanno portato via il Signore…”. Voi avreste resistito? Io non avrei voluto esserci. Mi sarebbe scoppiato il cuore: a vedere i panni che l’avvolgevano, ben composti e piegati come se il corpo fosse ancora disteso sulla pietra; a vederlo nel giardino, vivo, che ti chiama per nome come Maria. A vederlo entrare nel cenacolo, d’improvviso a porte chiuse. “Sei tu? Sei veramente tu?”. Io mi sarei detto che ero diventato matto, che avevo le traveggole, che mi stava venendo una malattia e dovevo ricoverarmi.
Il Signore ha avuto pietà di me e mi ha fatto vivere in un altro tempo. Quando tutto quello che è già accaduto, arriva a me non nell’immediatezza della visione, ma nel gesto materno della Chiesa, nella pietà della liturgia, nella fede dei suoi nuovi amici, nella carità del tempo…