Davanti a Charlie non c'è via di mezzo
In questi giorni la Bbc ha pubblicato i filmati di due bambini disabili i cui genitori hanno posizioni diametralmente opposte. Una realista, positva, per la vita e quindi umana, oltre che realmente cristiana. L'altra nichilista, perciò irragionevole e disperata, che accetta la vita solo a determinate condizioni. E' così che la vicenda di Charlie sta svelando i pensieri di molti cuori, chiamando in causa ciascuno di noi. E costringendoci a uscire da "zone grigie" ma illusorie, che servono solo a farci sentire traquilli.
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No, la vicenda di Charlie Gard non si risolve stabilendo se il diritto alla vita di una persona incapace di esprimere le sue opinioni sia da attribuire ai suoi familiari o agli “esperti” del campo. Sicuramente il parere dei primi, come abbiamo già spiegato, viene salvaguardato (sopra quello di ogni altra voce in campo) come il più probabilmente interessato al bene del paziente. Ma non è sacrosanto. Sacrosanto è solo il diritto alla vita, per cui se un genitore si ponesse contro di esso non andrebbe ascoltato. Questa non è appena una posizione teoricamente rispettosa del diritto naturale, che trova la sua massima valorizzazione nel cristianesimo inventore degli ospedali e culla di santi del calibro di Madre Teresa di Calcutta, ma è la posizione umanamente più corrispondente. La più faticosa, la più pretenziosa, ma la più vera, la più degna per ogni essere umano fatto per affermare la vita.
Per comprenderlo basta guardare due filmati recentemente pubblicati dalla Bbc. Si tratta delle storie di due genitori i cui figli sono malati, ma che li guardano in maniera diametralmente opposta. Nel primo caso vediamo una madre che chiede la soppressione della figlia di dieci anni nonostante essa si muova e interagisca, spesso con gioia. La piccola è sopravvissuta ad interventi e persino a malattie che a tutti gli esperti parevano, mortali, mostrando una forza enrme. E’ impressionante capire il perché di una richiesta tanto disumana nell’appello che la madre lancia: “Voglio che le persone guardino oltre il suo bel sorriso, al suo corpo (disabile, ndr)", perché "il punto è la qualità della sua vita”. Che, parafrasato, è come dire: “Non guardate al fatto che mia figlia è felice anche se soffre, non guardate al positivo di una vita che afferma la vita (la madre stessa ammette che la figlia "è bella e sorride"), piuttosto eliminatelo e concentratevi sul male e la sofferenza”. E’ una scelta, un’opzione angosciante e disperata, quella con cui questa donna guarda alla figlia, che fa fuori un dato della realtà: il sorriso di una bambina che qualcuno fa esistere e che quindi grida una speranza per cui la vita vale la pena in qualsiasi condizione. La madre, dunque, anziché lasciarsi interrogare da quegli occhi, preferisce rifiutare un'esistenza incapace di raggiungere un livello di benessere (qualità) che lei, più che sua figlia, ammette come il solo possibile. Come non provare ribellione di fronte a una bimba che ride nelle mani di una madre che la vorrebbe morta? Lei sì che andrebbe fermata e aiutata a sperare.
Nel secondo filmato, invece, vediamo il padre di un bambino di sei anni affetto dalla stessa patologia di Charlie, la sindrome da deflazione del Dna mitocondriale, che racconta della sua lotta con i medici convinti che suo figlio dovesse essere lasciato morire. Il piccolo nacque sano, “normale”, poi, dopo venti mesi, un medico disse loro che sarebbe morto entro sessanta giorni: “Eravamo totalmente a pezzi, ma io gli dissi: “Dottore non porterò a casa mio figlio a morire”. Mentre parla l’uomo gioca con il piccolo, guardandolo con una gioia e una nostalgia insieme che dicono di come tutti i figli, sani o malati che siano, vorrebbero e dovrebbero essere guardati: persone da accogliere come sono e per cui si è disposti a dare tutto, senza possibilità di resa, pur consapevoli del fatto che il loro destino ultimamente dipende da un Altro che però te li affida. Persone per cui lottare contro ogni pericolo finché sia possibile, finché non sia la morte ad a imporsi inesorabilmente dopo la strenua lotta della vita.
Perciò questo padre ha confessato alla Bbc di aver girato tutti gli Stati Uniti finché non scoprì un medico che stava avviando una sperimentazione clinica alla Columbia University: “Non mi importava se mio figlio era il primo ad essere sottoposto a questa cura”, dato che l’unica alternativa era la morte. Senza cure immediate però il piccolo non avrebbe retto, perciò “avevamo già chiamato il prete”. Come a dire che, una volta esaurite tutte le opzioni cliniche, per un cristiano ne resta una ragionevolissima, la sola che non fa fuori razionalisticamente la categoria della possibilità: l'esistenza di un Oltre che fa essere ogni cosa, ora e quindi per sempre. “Ma fummo fortunati perché ottenemmo l’approvazione per la sperimentazione velocemente in modo da cominciare le cure”.
Oggi il piccolo muove le mani, “piange, come ogni bambino”, continua suo padre mentre al pensiero il volto gli si riempie nuovamente di letizia. Sì, perché “siamo felici di assistere a questo, di vederlo reagire come ogni bambino di sei anni”. E mentre il bimbo in carrozzina gioca con la sorellina, l’uomo chiosa: “Morire con dignità, non ha alcuna dignità”. Ma sopratutto, ed è questo il giudizio non solo davvero cristiano (perché come afferma San Paolo siamo chiamati a lottare contro la morte (il peccato) fino al sangue) ma più umano, “gli esseri umani sono fatti per combattere, per andare oltre. E arrendersi non dà loro alcuna dignità”. Poi, da serissimo, l’uomo cambia tono girandosi con dolcezza a baciare il figlio per ribadirgli, probabilmente per l’ennesima volta, che “il papà ti vuole bene”. Mostrando così quale sia la realtà profonda di questi agnelli innocenti, chiamati a patire per trasformare i nostri cuori freddi e di pietra in cuori di carne capaci di ricevere e donare amore.
Sono due opzioni opposte, una per la morte, la disperazione e il male e così irragionevole da implorare il pubblico di eliminare un dato di realtà: il sorriso di una bambina che c'è ma si vuole morta. E un'altra che non nega il male, la morte, la difficoltà ma che tiene conto di tutto, scommettendo quindi sulla vita, fino alla fine. Perché l’uomo che vive, in qualsiasi condizione lo faccia, grida l'esisetenza di qualcuno che lo fa essere, per cui il male e la morte non hanno l’ultima parola. Non esiste nessuna via di mezzo. Bisogna scegliere da che parte stare.