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LETTERE IN REDAZIONE

Dante, Einstein e l'unità della coscienza

...Mi piace immensamente questa immagine della coscienza come un organo della persona: abbiamo un cervello, un cuore e un organo che, pur sfuggendo alla categoria del misurabile, è presente e certo quanto gli altri, e come questi va custodito, curato, rispettato...

Galassia

Mi ha fatto molto pensare questo passaggio contenuto nell’articolo di Giovanni Fighera: Dante come Einstein. Solo lo stupore conosce:

Oggi, invece, in cui le potenzialità tecnologiche e scientifiche hanno raggiunto vertici impensabili fino a pochi anni fa, si assiste alla parcellizzazione del sapere, alle «collezioni di sabbia» (I. Calvino), ad un affrancamento delle discipline dal Mistero, dal significato totale. Nel sistema culturale moderno ogni pezzo del puzzle è percepito come slegato dal disegno complessivo da costruire. Nell’epoca contemporanea si dispone di tanti pezzi del puzzle, più che in epoche come il Medioevo, ci sono più nozioni, più discipline, ma non si dispone del disegno da ricomporre, anzi si nega che questo esista. 

Da tempo rifletto sulla questione dell’unità della coscienza, che ha coinvolto personaggi, in diversi campi, molto più grandi di me. Tuttavia, l’attenzione a questa domanda mi ha fatto incontrare anche le risposte di persone semplici, del popolo, che la vivono con semplicità: come quella nonna che, al nipotino che le chiede: «Nonna, che cosa c’è dopo le stelle?», risponde con immediatezza: «Il Paradiso». Il puzzle è stato ricomposto con l’immediatezza di un soffio. Perché in alcune persone questo avviene e in altre no? Io mi sono data una risposta attraverso le parole dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger: «L’unità dell’uomo ha un organo: la coscienza».

La chiave, come sempre, sta nella radice. Mi piace immensamente questa immagine della coscienza come un organo della persona: abbiamo un cervello, un cuore e un organo che, pur sfuggendo alla categoria del misurabile, è presente e certo quanto gli altri, e come questi va custodito, curato, rispettato.

Perché? Credo sia esperienza comune ciò che Ludwig Wittgenstein afferma nel Tractatus logico-philosophicus: «Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le proposizioni e domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati».

I primi pezzi che hanno bisogno di collocazione, dunque, sono i nostri problemi vitali. Questa è un’esperienza elementare, riguarda tutti, ma ha bisogno di un organo: la coscienza. Certo, da quando è stata tirata una riga tra fisica e metafisica, il compito è diventato molto più difficile, ma non impossibile. Diventa improbo se lo si affronta da soli, ma per grazia possediamo il “noi” della Chiesa e della sua tradizione, che ci conforta e sorregge.