Dante come Einstein. Solo lo stupore conosce
Einstein la chiamava «ammirazione estasiata delle leggi della natura». È la marcia in più che accomuna i veri scienziati e i grandi poeti. Ecco perché certe intuizioni di Dante si dimostrano tanto vicine alle ultime teorie sull'origine dell'universo.
«La scienza nasce da questo atto di umiltà intellettuale: dare a oggetti volgari dignità intellettuale, studiandoli. Questa umiltà intellettuale aveva in Galileo Galilei radici profonde: la Fede nel fatto che in ciascun oggetto, fosse esso volgare o inutile, ci doveva esser la mano del Creatore […]. Le grandi scoperte galileiane sono le prime impronte di colui che ha fatto il mondo. Esse sono state ottenute partendo non da tecnologie ma da semplicissime pietre, spaghi e legni. Pezzi di legno o piombo, pietre e spaghi erano, ai tempi di Galilei, oggetti volgari. Essi […] non avrebbero dovuto essere degni di attenzione e di studio in quanto non potevano essere depositari di alcuna verità fondamentale. E invece Galilei considera quegli oggetti depositari delle impronte del Creatore». Così si esprime lo scienziato Antonino Zichichi (1929) in Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo.
Un altro grande scienziato contemporaneo, John Archibald Wheeler (1911-2008), scrivendo Gravità e spazio-tempo, annota che il nostro universo è uno «straordinario museo di bellezza e meraviglie, magnifica costruzione dell’esistente […]. Le meraviglie scoperte sono solo poca cosa di fronte alle molte altre che attendono ancora di essere svelate. L’ignoto ci circonda in ogni direzione, intorno a noi sono quelle che gli antiche romani amavano chiamare “flammantia moenia mundi”, “gli splendidi confini del mondo”. Com’è umiliante scoprire che noi, oggi, conosciamo così poco del nostro mondo e di noi stessi, quasi fossimo ancora nell’infanzia del genere umano! Eppure com’è entusiasmante, quale sfida ci si para dinnanzi!».
La vera ricerca scientifica può prendere avvio solo dalla meraviglia per la realtà. Quindi, non solo l’arte, ma anche la scienza deriva dall’osservazione e dallo stupore. Albert Einstein afferma che il sentimento religioso dello scienziato «consiste nell’ammirazione estasiata delle leggi della natura; gli si rivela una mente così superiore che tutta l’intelligenza messa dagli uomini nei loro pensieri non è al cospetto di essa che un riflesso assolutamente nullo […]. La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza».
Stupore, contemplazione, estasi di fronte alla bellezza della realtà: questi sono gli sproni che inducono il «vero uomo di scienza» a ricercare le leggi che descrivono (cioè dicono il «come», ma non il «perché») quell’ordine e quell’armonia che tralucono dal creato. Senza la certezza di un ordine nascosto non vi sarebbe ricerca.
È la stessa certezza che anima Dante: «Le cose tutte quante/hanno ordine tra loro, e questo è forma/che l’universo a Dio fa simigliante» (Paradiso I). Nell’universo esiste un ordine profondo che è il sigillo che Dio vi ha impresso. Una volta giunto alla sommità dell’Empireo, il sommo poeta ci riserva una descrizione sorprendente e sbalorditiva. Siamo nel canto XXVIII. Superati tutti i cieli, Dante è arrivato al Primo mobile, poi lo ha varcato in un punto qualunque ed è passato nell’Empireo da cui può vedere gli angeli e la candida rosa. Dante constata che «da quel punto/ depende il cielo e tutta la natura». Secondo autorevoli scienziati, questo e altri passaggi del testo dantesco possono essere compresi solamente se si prendono in considerazione le acquisizioni scientifiche del ventesimo secolo relative all’espansione dell’universo, alla relatività e al big bang. Sono state sottolineate le somiglianze tra le attuali teorie sull’universo e la rappresentazione del cosmo dantesco che emergerebbe da questa rilettura del poema.
L’astrofisico Marco Bersanelli (1960), che sta studiando l’universo primordiale attraverso il fondo cosmico, afferma che «Dante […] ha dovuto concepire uno spazio a quattro dimensioni, […] una geometria curva a quattro dimensioni, ma c’è una asimmetria in questo gioco, perché la terra e il punto attorno al quale ruota hanno un’asimmetria data dalla velocità dei cerchi. Nell’intuizione di Dante, infatti, è il desiderio che muove l’universo e quindi via via che io mi avvicino a questo punto, il movimento è sempre più rapido. Nonostante si continui a pensare che la visione medioevale concepisca la Terra al centro dell’universo» qui emerge «una visione medioevale in cui al centro c’è il mistero che fa tutto». Per quanto riguarda le recenti scoperte astrofisiche «più guardiamo lontano nello spazio più guardiamo indietro nel tempo, perché vediamo la luce che ha attraversato un certo spazio. Via via che ci allontaniamo possiamo immaginare dei cerchi: ad ogni cerchio abbiamo una visione dell’universo a una certa età dell’universo stesso. […] Questo spazio-tempo non è statico, si espande. Vuol dire che via via che io vado indietro nel tempo, in realtà vedo l’universo sempre più piccolo, perché nel frattempo l’universo si è espanso. […] L’ultimo cerchio è l’inizio! L’inizio è un cerchio che abbraccia tutto l’universo intorno a noi, nello spazio e nel tempo» (M. Bersanelli).
Le analogie tra il sistema dantesco e le osservazioni più recenti non sono finite qui. Infatti, «per Dante la velocità di rotazione dei vari cerchi è tanto più grande quanto più ci si allontana dalla Terra e ci si va ad avvicinare al famoso punto. […] Questa è l’analogia con l’evidenza sperimentale dovuta a Hubble e poi provata in modo straordinariamente forte dalle osservazioni più recenti. […] Vale la legge per cui la velocità di recessione è tanto più grande quanto più è distante la zona dell’universo che noi osserviamo». Un uomo medioevale come Dante con i suoi strumenti e le sue conoscenze non avrebbe potuto giungere a tali teorie. Il Fiorentino ha «una concezione in cui ogni particolare della realtà ha un significato ed è in rapporto con la totalità. Proprio questa aspirazione all’unità e al significato manca maggiormente alla scienza moderna» (Bersanelli).
Oggi, invece, in cui le potenzialità tecnologiche e scientifiche hanno raggiunto vertici impensabili fino a pochi anni fa, si assiste alla parcellizzazione del sapere, alle «collezioni di sabbia» (I. Calvino), ad un affrancamento delle discipline dal Mistero, dal significato totale. Nel sistema culturale moderno ogni pezzo del puzzle è percepito come slegato dal disegno complessivo da costruire. Nell’epoca contemporanea si dispongono di tanti pezzi del puzzle, più che in epoche come il Medioevo, ci sono più nozioni, più discipline, ma non si dispone del disegno da ricomporre, anzi si nega che questo esista.
Grazie alla sua attenzione alla realtà fisica, alla sua audacia immaginativa, alla sua grande aspirazione ad una visione unitaria del mondo e della cultura, chissà magari anche grazie ad una visione dell’aldilà, Dante ha rappresentato nel Paradiso un universo che in maniera sorprendente rispecchia le moderne teorie scientifiche.